Cosa ci insegna il medagliere olimpico dell'Unione Europea
Articolo di Mauro Magatti pubblicato da Avvenire.
Il medagliere delle Olimpiadi è una chiave di lettura del mondo. Dietro le vittorie dei singoli atleti ci sono i Paesi che con investimenti economici, sostegni alle carriere, qualità delle infrastrutture coltivano i loro talenti.
Non è un caso che le due principali economie della terra, Stati Uniti e Cina, siano ai primi due posti della classifica. In realtà, guardando bene, si nota un’assenza: l’Unione Europea che, non essendo uno Stato, non risulta nel medagliere ufficiale. Eppure, se sommiamo le medaglie d’oro di tutti i 27 Paesi europei, scopriamo che la UE doppia abbondantemente le due superpotenze in testa alla classifica (anche se la partecipazione degli atleti e delle squadre sarebbe ovviamente diversa nel caso di un’unica rappresentanza).
Un risultato che dovrebbe convincerci del valore di quella “Unione” di cui parliamo tanto. Ma che pure rimane in qualche modo sospesa. O comunque non sufficientemente riconosciuta e valorizzata. Non è un caso che questa primazia sia ottenuta nello sport. L’Europa è il continente dove ogni persona è seguita e accompagnata a diventare adulta. È la terra della cura, dove il sistema scolastico è obbligatorio, dove il welfare è universale e dove l’economia sociale di mercato riesce, più che altrove, a trovare un punto di compromesso tra le esigenze della concorrenza e quelle della solidarietà. Sarebbe però ugualmente sbagliato immaginare di vedere attribuite le medaglie direttamente all’Unione Europea, senza rimando alle sue 27 nazioni. Perché ogni singolo Paese è fatto di una storia esemplare, esprime un particolare orgoglio nazionale, si avvantaggia di un’organizzazione istituzionale che ne riflette le specificità.
L’Europa non esiste senza i 27 Paesi che la costituiscono. Non c’è senza gli atleti che hanno orgogliosamente sfilato dietro la bandiera del proprio Paese. Perché è proprio questa varietà che costituisce la condizione stessa per pensare l’Europa. Così, in fondo, l’avevano sognata i suoi padri fondatori: l’Europa terra della pace, cioè dell’incontro tra diversi che sanno rispettarsi divenendo uniti pur rimanendo distinti. Unità nella diversità. L’Europa non sarebbe se stessa se si pensasse come un superstato. E tantomeno come una burocrazia centralizzata. O peggio ancora come una tecnocrazia. L’Europa è prima di tutto una civiltà, una storia secolare che si esprime - in una ricerca mai conclusa - in un modello di vita dell’umano.
Alla storia europea si può applicare il termine di “rinascenza”. Per dire che, a differenza di altri modelli, l’Europa si è stratificata nelle sue diversità territoriali ricomponendo di continuo la tradizione con il nuovo; chi c’era prima con chi è venuto dopo; rimanendo sempre se stessa eppure cambiando di continuo. Creando così una cultura stratificata e proprio per questa ricca e prospera.
Non c’è Europa senza stratificazione storica e senza diversificazione territoriale. È questa una immagine potente per pensare quella forma istituzionale nuova che cerchiamo da più di 70anni. Una forma istituzionale capace di pensare e fare esistere una sovranità in relazione.
Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: proprio qui, nel Vecchio continente che mostra tutte le sue rughe e che per alcuni aspetti appare stanco e affaticato, si gioca la partita decisiva del futuro: capire che c’è un bene più grande che ci tiene insieme. E che ci spinge a unirci senza per questo rinunciare a quella diversità che fa la trama meravigliosa delle nostre storie. Ciò richiede un pensiero costituzionale e istituzionale nuovo. Adeguato al XXI secolo, alla sua complessità, alla sua articolazione. Che sa di dover fare un salto in avanti. Senza il quale si faranno solo passi indietro.
Prendiamo lo spunto dai nostri atleti. Prendiamo lo spunto da questa assenza-presenza così importante dello sport europeo alle 50 Olimpiadi. L’Europa continua ad avere un ruolo fondamentale nel mondo. E ha a tutte possibilità per continuare a esserlo. A condizione che non dimentichi chi è: il futuro è la capacità di interpretare il passato; il nuovo si avvantaggia dell’esperienza di ciò che è tradizione; e l’unione non cancella la diversità. Questa è ciò che i giochi olimpici e il loro medagliere ci insegnano.
Il medagliere delle Olimpiadi è una chiave di lettura del mondo. Dietro le vittorie dei singoli atleti ci sono i Paesi che con investimenti economici, sostegni alle carriere, qualità delle infrastrutture coltivano i loro talenti.
Non è un caso che le due principali economie della terra, Stati Uniti e Cina, siano ai primi due posti della classifica. In realtà, guardando bene, si nota un’assenza: l’Unione Europea che, non essendo uno Stato, non risulta nel medagliere ufficiale. Eppure, se sommiamo le medaglie d’oro di tutti i 27 Paesi europei, scopriamo che la UE doppia abbondantemente le due superpotenze in testa alla classifica (anche se la partecipazione degli atleti e delle squadre sarebbe ovviamente diversa nel caso di un’unica rappresentanza).
Un risultato che dovrebbe convincerci del valore di quella “Unione” di cui parliamo tanto. Ma che pure rimane in qualche modo sospesa. O comunque non sufficientemente riconosciuta e valorizzata. Non è un caso che questa primazia sia ottenuta nello sport. L’Europa è il continente dove ogni persona è seguita e accompagnata a diventare adulta. È la terra della cura, dove il sistema scolastico è obbligatorio, dove il welfare è universale e dove l’economia sociale di mercato riesce, più che altrove, a trovare un punto di compromesso tra le esigenze della concorrenza e quelle della solidarietà. Sarebbe però ugualmente sbagliato immaginare di vedere attribuite le medaglie direttamente all’Unione Europea, senza rimando alle sue 27 nazioni. Perché ogni singolo Paese è fatto di una storia esemplare, esprime un particolare orgoglio nazionale, si avvantaggia di un’organizzazione istituzionale che ne riflette le specificità.
L’Europa non esiste senza i 27 Paesi che la costituiscono. Non c’è senza gli atleti che hanno orgogliosamente sfilato dietro la bandiera del proprio Paese. Perché è proprio questa varietà che costituisce la condizione stessa per pensare l’Europa. Così, in fondo, l’avevano sognata i suoi padri fondatori: l’Europa terra della pace, cioè dell’incontro tra diversi che sanno rispettarsi divenendo uniti pur rimanendo distinti. Unità nella diversità. L’Europa non sarebbe se stessa se si pensasse come un superstato. E tantomeno come una burocrazia centralizzata. O peggio ancora come una tecnocrazia. L’Europa è prima di tutto una civiltà, una storia secolare che si esprime - in una ricerca mai conclusa - in un modello di vita dell’umano.
Alla storia europea si può applicare il termine di “rinascenza”. Per dire che, a differenza di altri modelli, l’Europa si è stratificata nelle sue diversità territoriali ricomponendo di continuo la tradizione con il nuovo; chi c’era prima con chi è venuto dopo; rimanendo sempre se stessa eppure cambiando di continuo. Creando così una cultura stratificata e proprio per questa ricca e prospera.
Non c’è Europa senza stratificazione storica e senza diversificazione territoriale. È questa una immagine potente per pensare quella forma istituzionale nuova che cerchiamo da più di 70anni. Una forma istituzionale capace di pensare e fare esistere una sovranità in relazione.
Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: proprio qui, nel Vecchio continente che mostra tutte le sue rughe e che per alcuni aspetti appare stanco e affaticato, si gioca la partita decisiva del futuro: capire che c’è un bene più grande che ci tiene insieme. E che ci spinge a unirci senza per questo rinunciare a quella diversità che fa la trama meravigliosa delle nostre storie. Ciò richiede un pensiero costituzionale e istituzionale nuovo. Adeguato al XXI secolo, alla sua complessità, alla sua articolazione. Che sa di dover fare un salto in avanti. Senza il quale si faranno solo passi indietro.
Prendiamo lo spunto dai nostri atleti. Prendiamo lo spunto da questa assenza-presenza così importante dello sport europeo alle 50 Olimpiadi. L’Europa continua ad avere un ruolo fondamentale nel mondo. E ha a tutte possibilità per continuare a esserlo. A condizione che non dimentichi chi è: il futuro è la capacità di interpretare il passato; il nuovo si avvantaggia dell’esperienza di ciò che è tradizione; e l’unione non cancella la diversità. Questa è ciò che i giochi olimpici e il loro medagliere ci insegnano.