C'è voglia di comunità
Articolo di Avvenire.
La democrazia è il contrario dell'individualismo. Ecco perché «i cattolici in Italia desiderano essere protagonisti nel costruire una democrazia inclusiva, dove nessuno sia scartato o venga lasciato indietro». Sono le parole con cui il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha aperto oggi pomeriggio, 3 luglio, a Trieste la 50.ma Settimana Sociale dei Cattolica italiani, presente il capo dello Stato Sergio Mattarella, che ha come suo tema proprio la forma di governo del popolo.
Una democrazia, ha rimarcato, che fa rima con «voglia di comunità in una stagione in cui l’individualismo sembra sgretolare ogni costruzione di futuro e la guerra appare come la soluzione più veloce ai problemi di convivenza». In sostanza una democrazia aliena dai populismi, «che possono privarci di essa o indebolirla».
In altri termini, ha proseguito il porporato, i cattolici italiani vogliono essere «artigiani di democrazia». E la Chiesa «non rivendica privilegi, non li cerca, ben consapevole di come questi in passato l’hanno fatta percepire preoccupata per sé e meno madre». Leggere dunque «e qualificare le sue posizioni in un’ottica politica, deformando e immiserendo le sue scelte a convenienze o partigianerie, non fa comprendere la sua visione che avrà sempre e solo al centro la persona, senza aggettivi o limiti». La Chiesa «parla perché è libera e ha uno sguardo amorevole e benevolo verso ciascuno: di tutti è amica e preoccupata, nessuno è per lei nemico».
Qualcuno ha letto in queste parole anche una risposta indiretta a recenti prese di posizione, abbastanza risentite, del governo italiano per gli interventi dei vescovi in materia di premierato e di autonomia differenziata. Di certo c'è l'assicurazione che ciò che viene detto (e che verrà dibattuto da qui a domenica 7 luglio) non è contro qualcuno, ma unicamente a favore del bene comune. Per Zuppi, infatti, dal 1907 (data di inizio delle Settimane Sociali) a oggi «il cattolicesimo italiano non è rimasto a guardare, non si è chiuso in sacrestia, non si è fatto ridurre a un intimismo individualista o al culto del benessere individuale, ma ha sentito come propri i temi sociali, si è lasciato ferire da questi per progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale«. In sostanza, «ha pensato e operato non per sé ma per il bene comune del popolo italiano».
E tutto ciò è valido anche in questi giorni di Trieste, ha sottolineato il presidente della Cei, ringraziando per ben due volte Mattarella custode e garante della democrazia» per la sua presenza. È «una terra di confine, segnata dal dialogo interculturale, ecumenico e interreligioso, da tanta sapienza antica e recente, porta che unisce est e ovest, nord e sud, ma anche terra segnata da ferite profonde che non si sono del tutto rimarginate. I troppi morti - ha aggiunto - ci ammoniscono a non accettare i semi antichi e nuovi di odio e pregiudizio. Non vogliamo che i confini siano muri o, peggio, trincee, ma cerniere e ponti! Lo vogliamo perché questo è il testamento di chi sulle frontiere ha perso la vita. Lo vogliamo per quanti, a prezzo di terribili sofferenze, si sono fatti migranti e chiedono di essere considerati quello che sono: persone».
Il cardinale ha quindi rivolto il suo grazie «a chi continua a partecipare nonostante la crisi del “noi” perché la Chiesa è un luogo dove ci si appassiona al prossimo e, quindi, al dialogo. È così che si costruiscono inclusione e convivenza, si vincono i pessimismi, si sconfiggono le furbizie che piegano a interesse privato il bene pubblico». Ed è così che bisogna rivolgere «un affettuoso incoraggiamento agli sfiduciati, a chi è ai margini della strada, a chi si sente escluso e incompreso, ai poveri, a chi chiede riconoscimento e non lo trova, a chi ha perduto la speranza. Viviamo tutti una stagione difficile e complicata - ha detto Zuppi -. Cerchiamo di essere all’altezza della sfida». Il cardinale ha quindi fatto l'elenco dei «passaggi difficili e crisi epocali» del Paese. «Basti pensare all’inverno demografico, alla crescita delle disuguaglianze, alle percentuali di abbandono scolastico, all’astensionismo e alla disaffezione sempre più numerosa alla partecipazione democratica, alla vita scartata che diventa insignificante per l’onnipotenza che si trasforma in nichilismo distruttivo di sé stesso. Sentiamo - ha aggiunto il presidente della Cei - la sfida dell’accoglienza dei migranti, della transizione ecologica, della solitudine che avvolge molte persone, della difficoltà di spazi per i giovani, dell’aumento della conflittualità nei rapporti sociali e tra i popoli, infine della guerra che domina lo scenario internazionale e proietta le sue ombre su tutto questo. Ci angoscia il fatto che oggi i “poveri assoluti” siano cresciuti fino a diventare più di 5 milioni e mezzo: 1 su 10, tantissimi. Dovremmo interrogarci con severità: come è possibile?».
Importante anche il riferimento al caporalato, con la tragica esperienza di Satnam Singh. «Sognava il futuro e lavorava per ottenerlo: è uno di noi, lo ricordiamo con commozione e la sua vicenda è un monito che svela l’ipocrisia di tante parole che purtroppo rimangono tali e, quindi, beffarde. Sentiamo totalmente estraneo a noi il caporalato, la disumanità, lo sfruttamento delle braccia che dimenticano e umiliano la persona che offre le sue braccia».
Sono risorse sprecate. Bisogna tornare alla solidarietà. «Pensiamo agli anziani dei quali dobbiamo proteggere la fragilità, ai disabili, ai giovani che sentono di non avere un futuro ma in realtà lo cercano, alle donne vittime della violenza maschile, a chi lavora in condizioni inaccettabili, alla casa senza la quale non c’è integrazione e nemmeno famiglia e futuro. La solidarietà è verso tutti, non guarda il passaporto perché tutti diventano il nostro prossimo e parte nel nostro futuro».
Ecco allora che la democrazia è sfidata da tutti questi problemi. Ma soprattutto «oggi la democrazia soffre perché le società sono sempre più polarizzate, attraversate cioè da tensioni sempre più aspre tra gruppi antagonisti, dominate dalla contrapposizione amico-nemico, dalla pervasiva convinzione che l’individuo è tale quando è al centro, mentre è solo nella relazione che la persona comprende il suo valore». Quindi bisogna passare da tanti io al noi. «La partecipazione, cuore della nostra Costituzione, consente e richiede la fioritura umana dei singoli e della società, accresce il senso di appartenenza, educa ad avere un cuore che batte con gli altri, pur tra le differenze», ha rimarcato Zuppi. «Ben vengano nuove forme di democrazia incentrate sulla partecipazione. L’Enciclica Fratelli tutti ci offre un orizzonte concreto, possibile, attraente, condiviso. Un unico popolo».
Perciò, ha concluso il presidente della Cei, «quando la gente si sente parte, avviene il miracolo dell’umanizzazione dei rapporti sociali ed economici: ciò si realizza nei corpi intermedi, nelle istituzioni, sui territori, nelle grandi aree metropolitane e nelle aree interne, al Nord come al Sud. È bello per noi iniziare la Settimana Sociale in questa città di frontiera. Vogliamo incarnare uno stile inclusivo, di unità nelle differenze. Soprattutto vogliamo esprimere tutto l’amore di cui siamo capaci per il nostro Paese. Amiamo l’Italia e, per questo, ci facciamo artigiani di democrazia, servitori del bene comune».
La democrazia è il contrario dell'individualismo. Ecco perché «i cattolici in Italia desiderano essere protagonisti nel costruire una democrazia inclusiva, dove nessuno sia scartato o venga lasciato indietro». Sono le parole con cui il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha aperto oggi pomeriggio, 3 luglio, a Trieste la 50.ma Settimana Sociale dei Cattolica italiani, presente il capo dello Stato Sergio Mattarella, che ha come suo tema proprio la forma di governo del popolo.
Una democrazia, ha rimarcato, che fa rima con «voglia di comunità in una stagione in cui l’individualismo sembra sgretolare ogni costruzione di futuro e la guerra appare come la soluzione più veloce ai problemi di convivenza». In sostanza una democrazia aliena dai populismi, «che possono privarci di essa o indebolirla».
In altri termini, ha proseguito il porporato, i cattolici italiani vogliono essere «artigiani di democrazia». E la Chiesa «non rivendica privilegi, non li cerca, ben consapevole di come questi in passato l’hanno fatta percepire preoccupata per sé e meno madre». Leggere dunque «e qualificare le sue posizioni in un’ottica politica, deformando e immiserendo le sue scelte a convenienze o partigianerie, non fa comprendere la sua visione che avrà sempre e solo al centro la persona, senza aggettivi o limiti». La Chiesa «parla perché è libera e ha uno sguardo amorevole e benevolo verso ciascuno: di tutti è amica e preoccupata, nessuno è per lei nemico».
Qualcuno ha letto in queste parole anche una risposta indiretta a recenti prese di posizione, abbastanza risentite, del governo italiano per gli interventi dei vescovi in materia di premierato e di autonomia differenziata. Di certo c'è l'assicurazione che ciò che viene detto (e che verrà dibattuto da qui a domenica 7 luglio) non è contro qualcuno, ma unicamente a favore del bene comune. Per Zuppi, infatti, dal 1907 (data di inizio delle Settimane Sociali) a oggi «il cattolicesimo italiano non è rimasto a guardare, non si è chiuso in sacrestia, non si è fatto ridurre a un intimismo individualista o al culto del benessere individuale, ma ha sentito come propri i temi sociali, si è lasciato ferire da questi per progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale«. In sostanza, «ha pensato e operato non per sé ma per il bene comune del popolo italiano».
E tutto ciò è valido anche in questi giorni di Trieste, ha sottolineato il presidente della Cei, ringraziando per ben due volte Mattarella custode e garante della democrazia» per la sua presenza. È «una terra di confine, segnata dal dialogo interculturale, ecumenico e interreligioso, da tanta sapienza antica e recente, porta che unisce est e ovest, nord e sud, ma anche terra segnata da ferite profonde che non si sono del tutto rimarginate. I troppi morti - ha aggiunto - ci ammoniscono a non accettare i semi antichi e nuovi di odio e pregiudizio. Non vogliamo che i confini siano muri o, peggio, trincee, ma cerniere e ponti! Lo vogliamo perché questo è il testamento di chi sulle frontiere ha perso la vita. Lo vogliamo per quanti, a prezzo di terribili sofferenze, si sono fatti migranti e chiedono di essere considerati quello che sono: persone».
Il cardinale ha quindi rivolto il suo grazie «a chi continua a partecipare nonostante la crisi del “noi” perché la Chiesa è un luogo dove ci si appassiona al prossimo e, quindi, al dialogo. È così che si costruiscono inclusione e convivenza, si vincono i pessimismi, si sconfiggono le furbizie che piegano a interesse privato il bene pubblico». Ed è così che bisogna rivolgere «un affettuoso incoraggiamento agli sfiduciati, a chi è ai margini della strada, a chi si sente escluso e incompreso, ai poveri, a chi chiede riconoscimento e non lo trova, a chi ha perduto la speranza. Viviamo tutti una stagione difficile e complicata - ha detto Zuppi -. Cerchiamo di essere all’altezza della sfida». Il cardinale ha quindi fatto l'elenco dei «passaggi difficili e crisi epocali» del Paese. «Basti pensare all’inverno demografico, alla crescita delle disuguaglianze, alle percentuali di abbandono scolastico, all’astensionismo e alla disaffezione sempre più numerosa alla partecipazione democratica, alla vita scartata che diventa insignificante per l’onnipotenza che si trasforma in nichilismo distruttivo di sé stesso. Sentiamo - ha aggiunto il presidente della Cei - la sfida dell’accoglienza dei migranti, della transizione ecologica, della solitudine che avvolge molte persone, della difficoltà di spazi per i giovani, dell’aumento della conflittualità nei rapporti sociali e tra i popoli, infine della guerra che domina lo scenario internazionale e proietta le sue ombre su tutto questo. Ci angoscia il fatto che oggi i “poveri assoluti” siano cresciuti fino a diventare più di 5 milioni e mezzo: 1 su 10, tantissimi. Dovremmo interrogarci con severità: come è possibile?».
Importante anche il riferimento al caporalato, con la tragica esperienza di Satnam Singh. «Sognava il futuro e lavorava per ottenerlo: è uno di noi, lo ricordiamo con commozione e la sua vicenda è un monito che svela l’ipocrisia di tante parole che purtroppo rimangono tali e, quindi, beffarde. Sentiamo totalmente estraneo a noi il caporalato, la disumanità, lo sfruttamento delle braccia che dimenticano e umiliano la persona che offre le sue braccia».
Sono risorse sprecate. Bisogna tornare alla solidarietà. «Pensiamo agli anziani dei quali dobbiamo proteggere la fragilità, ai disabili, ai giovani che sentono di non avere un futuro ma in realtà lo cercano, alle donne vittime della violenza maschile, a chi lavora in condizioni inaccettabili, alla casa senza la quale non c’è integrazione e nemmeno famiglia e futuro. La solidarietà è verso tutti, non guarda il passaporto perché tutti diventano il nostro prossimo e parte nel nostro futuro».
Ecco allora che la democrazia è sfidata da tutti questi problemi. Ma soprattutto «oggi la democrazia soffre perché le società sono sempre più polarizzate, attraversate cioè da tensioni sempre più aspre tra gruppi antagonisti, dominate dalla contrapposizione amico-nemico, dalla pervasiva convinzione che l’individuo è tale quando è al centro, mentre è solo nella relazione che la persona comprende il suo valore». Quindi bisogna passare da tanti io al noi. «La partecipazione, cuore della nostra Costituzione, consente e richiede la fioritura umana dei singoli e della società, accresce il senso di appartenenza, educa ad avere un cuore che batte con gli altri, pur tra le differenze», ha rimarcato Zuppi. «Ben vengano nuove forme di democrazia incentrate sulla partecipazione. L’Enciclica Fratelli tutti ci offre un orizzonte concreto, possibile, attraente, condiviso. Un unico popolo».
Perciò, ha concluso il presidente della Cei, «quando la gente si sente parte, avviene il miracolo dell’umanizzazione dei rapporti sociali ed economici: ciò si realizza nei corpi intermedi, nelle istituzioni, sui territori, nelle grandi aree metropolitane e nelle aree interne, al Nord come al Sud. È bello per noi iniziare la Settimana Sociale in questa città di frontiera. Vogliamo incarnare uno stile inclusivo, di unità nelle differenze. Soprattutto vogliamo esprimere tutto l’amore di cui siamo capaci per il nostro Paese. Amiamo l’Italia e, per questo, ci facciamo artigiani di democrazia, servitori del bene comune».