In nome della legalità 2.0
Intervento ad un workshop (video).
Porre la questione della legalità quando si parla di gioco è importante, si tratta infatti di un tema decisivo. Sembrerebbe scontato, invece, non lo è e, nella discussione di questi mesi, si è perso il ragionamento sulla legalità. La questione, infatti, è stata sottovalutata per lasciare il posto ad una discussione spesso ideologica. Invece di ragionare su come combattere l’illegalità e come promuovere il gioco responsabile e consapevole, c’è stata una sorta di criminalizzazione ideologica di un intero settore e di numeri importanti di giocatori. Si è quasi cercato di affermare un giudizio morale sulla questione del gioco.
Personalmente, penso che il problema della legalità sia centrale. Credo che occorra dire con grande chiarezza che il gioco legale è quello che viene regolamentato, controllato e che mette in campo strumenti di contrasto rispetto all’illegalità.
Se non ci sono regole chiare, se non ci sono strumenti ben definiti - e nel disegno di legge che abbiamo presentato e che è stato mutuato dal decreto che il Governo aveva preparato per la Delega Fiscale ci sono - è difficile parlare di legalità. Eppure questa deve essere la priorità: mettere in campo regole chiare, volte a garantire trasparenza e strumenti adeguati.
A mio avviso, oggi non ci sono troppe regole, anzi penso che ci sia una grande confusione dal punto di vista della regolamentazione e per questo serve ricostruire un quadro di riferimento e, quindi, serve una legge di riordino che colga la complessità del settore del gioco.
Se stiamo a dividerci tra chi dice che giocare è bello e chi dice che giocare è brutto, perdiamo di vista un mondo che è fatto di un’industria, di abitudini consolidate e molti degli aspetti che, invece, vanno affrontati e regolamentati, garantendo poi che le regole siano certe.
Questa è la scelta vera che noi possiamo fare rispetto all’illegalità.
Per affrontare e le risolvere le questioni aperte in tema di gioco, innanzitutto bisogna ammettere che è oggettivamente aumentata l’offerta in questi anni, quando è calato un settore ne è cresciuto un altro ed è anche cresciuta una domanda di gioco indotta. È sufficiente guardare la televisione il sabato e la domenica per capire che è necessario che venga fatta una riflessione sul tema della pubblicità e devono farla anche gli operatori perché è evidente che il codice di autoregolamentazione non funziona o non viene applicato.
Personalmente penso che si debba ridurre di molto la pubblicità. Ci sono anche proposte di legge che mirano ad abolire del tutto la pubblicità, li approfondiremo. In ogni caso, il metodo attuale - in cui ogni tre minuti in tv si viene invitati a scommettere su ciò che accadrà nei minuti successivi - non va bene.
È, quindi, necessario intervenire per ridurre domanda e offerta di gioco.
Questo significa da una parte intervenire sulla pubblicità e sull’educazione e dall’altra parte vuol dire anche regolamentare meglio il settore del gioco.
Uno dei temi che è emerso di più all’opinione pubblica è quello della moltiplicazione ad un certo punto delle macchinette nei locali pubblici. Lì si è sviluppato il problema del gioco patologico, in assenza di una regolamentazione seria.
Un intero comparto economico come quello dei bar, del commercio e dei tabaccai praticamente oggi dipende dalle macchinette.
Ci sono, quindi, delle cose che bisogna rimettere in discussione.
È evidente, inoltre, che c’è un problema di rapporto tra i diversi poteri dello Stato.
Di fronte all’espansione dell’offerta del gioco sui territori, gli Enti Locali e le Regioni hanno provato a svolgere un ruolo di supplenza per regolamentare.
Oggi, dunque, c’è bisogno di dare regole certe a tutti.
Ci vuole uno Stato che recuperi a pieno il proprio ruolo di concessionario perché quella del gioco è una riserva statale. Comuni e Regioni devono partecipare alle scelte sulla distribuzione territoriale, però non può continuare a succedere ciò che succede oggi perché il conflitto permanente non aiuta a fare chiarezza e, molto spesso, la delega sulla decisione viene data ai tribunali amministrativi.
La discussione deve, quindi, ripartire stabilendo che vi è una concessione statale e che poi sulla distribuzione territoriale si faranno delle intese tra Stato, Enti Locali e Regioni per definirne i criteri ma non ci possono essere Comuni in cui, usando le distanze, si decide che lì non ci sia più il gioco, e Comuni in cui si rischia di costruire degli interi quartieri adibiti al gioco.
L’altro tema da porre è che una parte della tassazione venga destinata a finanziare soggetti terzi perché studino i fenomeni. Oggi, ad ogni convegno a cui si partecipa, vengono forniti dati completamente diversi tra loro su quante sono i numeri dei malati patologici da gioco. C’è bisogno di ragionare su dati certi anche per capire come muoversi e come regolamentare meglio il settore.
Gli obiettivi di una legge seria, quindi, a mio avviso, devono essere: regole certe, combattere l’illegalità, ridurre domanda e offerta di gioco sapendo. Per fare ciò è necessario che vi sia da parte di tutti i soggetti interessati la capacità di metterci in gioco e di capire cosa può fare ognuno nel rispetto degli interessi di tutti per migliorare la situazione.
Personalmente, credo anche che lo Stato nei prossimi anni debba pensare le entrate derivanti dai giochi si riducano. Nell’attuale Legge di Stabilità l’entrata derivante dal gioco rappresenta la seconda entrata statale. Tuttavia, non si può pensare di ridurre le concessioni mantenendo sempre lo stesso livello di entrate derivanti dalla tassazione.
È un’impresa complicata quella ci troviamo ad affrontare sui giochi ma occorre portarla avanti perché altrimenti si rischia di creare le condizioni favorevoli perché chi vuole lucrare illegalmente sul gioco ci riesca benissimo.
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