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Un anno cruciale

Written by Piero Fassino.

Articolo di Piero Fassino.

Il 2024 si profila come un anno cruciale per la vita di molti Paesi e per gli assetti internazionali, a partire dagli esiti dei conflitti che scuotono il mondo. La guerra russo-ucraina prosegue senza che, fino ad oggi, nessuno dei contendenti appaia in grado di prevalere, ma senza peraltro che si siano aperti spazi ad una composizione politica, stante le posizioni radicalmente opposte: Putin rivendica come ormai acquisiti i territori annessi in Crimea e nel Donbass; la dirigenza ucraina rifiuta un accordo fondato sulla mutilazione del proprio Paese.
Né appare a portata di mano una soluzione politica in Medio Oriente, dove il feroce massacro perpetrato da Hamas ha innescato una guerra devastante che prosegue con effetti drammatici sulle popolazioni civili. E la soluzione due popoli/due Stati - ancorché da tutti invocata - deve fare i conti con il solco di odio, rancore e incomunicabilità scavato dalla guerra, reso ancor più profondo dalla radicalità delle attuali leadership, stante che Hamas e i suoi alleati - Iran, Hezbollah, Houti yemeniti - proclamano di non recedere dal disegno di annientare lo Stato ebraico e Nethanyahu rifiuta testardamente di accedere ad uno Stato palestinese. E peraltro Abu Mazen e l'attuale leadership dell'ANP - pur sostenuti da Stati Uniti e comunità internazionale - appaiono logorati nella loro autorevolezza.
Scenari di guerra che non potranno non influenzare i molti passaggi elettorali che scandiranno il 2024 e gli equilibri che ne scaturiranno.
Gli occhi di tutti sono puntati sulle elezioni Presidenziali americane di novembre su cui grava il rischio incombente di un ritorno di Donald Trump, fatto che modificherebbe in modo sostanziale il posizionamento di Washington negli assetti internazionali.
Non minore rilievo avranno le elezioni presidenziali russe con cui Putin, scommettendo su un esito vincente che ritiene scontato, intende dimostrare un consenso interno non incrinato dalla avventura ucraina.
L'Europa a sua volta sarà investita da una ampia stagione elettorale.
All'inizio di giugno elettrici ed elettori dei 27 paesi dell'Unione europea saranno chiamati a eleggere il Parlamento Europeo. Se nel passato le elezioni europee erano una sorta di passaggio elettorale di "medio termine" che consentiva di verificare in ogni Paese i rapporti di forza interni, questa volta non sarà solo così. L'Unione europea è a un bivio: alle spalle un lungo periodo di criticità - la crisi 2008/2015, il Covid, le guerre alle porte di casa - e davanti la urgenza di riforme che consentano alla UE di misurarsi con le sfide del mondo globale. Per la prima volta i cittadini europei saranno chiamati a votare tra due idee contrapposte di Europa: se per un'Europa che realizzi un più alto livello di integrazione e coesione per essere in grado di parlare con una sola voce e agire con una sola mano; o per un'Europa che riduca le sue politiche comuni ripiegando in ogni Paese alla sola dimensione nazionale.
Se il successo elettorale della destra antieuropea in Olanda e i sondaggi che in Francia e in Germania assegnano oggi i maggiori favori a formazioni populiste e nazionaliste sono lì a dirci che l'esito delle elezioni europee è tutt'altro che scontato, le recenti elezioni in Spagna e Polonia dimostrano tuttavia che populismo e anti europeismo possono essere fermati se le forze progressiste e europeiste sono capaci di mettere in campo una proposta di Europa che riconquisti fiducia e consenso in opinioni pubbliche deluse e impaurite.
Ma le elezioni per il Parlamento europeo non saranno l'unico passaggio elettorale che investe il nostro continente. In 9 paesi dell'Unione - Austria, Belgio, Croazia, Finlandia, Lituania, Malta, Portogallo, Romania, Slovacchia - nel '24 si andrà anche a voti nazionali, mentre aleggia l'ipotesi, evocata peraltro solo dall'opposizione, di elezioni anticipate in Germania, fatto che qualora accadesse avrebbe un impatto non solo sulla società tedesca.
Andranno inoltre a voti particolarmente significativi Moldavia e Georgia - a cui l'Unione europea ha recentemente aperto le sue porte - e la Bielorussia in elezioni pilotate con cui Lukaschenko cercherà di continuare a opprimere il suo popolo.
Il 2024 prevede inoltre altri appuntamenti elettorali rilevanti per gli assetti del pianeta: andranno al voto quattro paesi su cinque dei Brics (oltre alla Russia anche Brasile, India, SudAfrica); grandi paesi asiatici come Pakistan, Corea del Sud, Indonesia; paesi "critici" come Iran e Venezuela; player dell'economia globale come il Messico; e a Taiwan nazione cruciale per gli equilibri sino-americani. E andrà a elezioni presidenziali e/o legislative mezzo continente africano - dall'Algeria ed Etiopia alle tormentate nazioni del Sahel (Mali, Ciad, Burkina Faso, Sud-Sudan, Mauritania) a paesi del Golfo di Guinea(Togo, Ghana, Guinea Bissau e Senegal) a Rwanda, Namibia e Botswana.
La semplice lettura dei paesi chiamati al voto rende evidente quanto dalle urne possano uscire profondamente ridisegnati equilibri nazionali e assetti continentali e internazionali.
Tanto più in uno scenario globale segnato da una condizione di "anarchia" resa evidente dalle lacerazioni profonde prodotte dai conflitti ucraino e mediorientale, dalla condizione di impotenza in cui versa l'Onu paralizzata dagli opposti orientamenti di Washington, Pechino e Mosca e dal manifestarsi di un Global South che in modo esplicito mette in discussione quella leadership euro-atlantica che per lungo periodo ha guidato il mondo.
Lo si è visto nella crescente presa di distanza di molti paesi non europei dalla solidarietà all'Ucraina. Lo si è visto nelle troppe mancate condanne dei massacri di Hamas e viceversa in un diffuso atteggiamento di ostilità e pregiudizio verso Israele. Lo si è visto nella difficoltà di comporre un'intesa tra Occidente e global south sul cruciale tema del climate change. E lo si è visto nella decisione dei Brics di aprirsi alla partecipazione anche di Egitto, Etiopia, Arabia Saudita, Iran e Emirati Arabi Uniti dando forma ad una volontà di pesare e incidere sulle dinamiche del pianeta senza più delegarne gli esiti all'Occidente.
Dal 1 gennaio l'Italia ha assunto la Presidenza di turno del G7 in uno scenario in cui il tema strategico è come ricomporre un sistema multilaterale di governance del pianeta. Decisiva sarà la capacità del club dei paesi più industrializzati - che peraltro corrispondono al campo occidentale (anche il Giappone per valori democratici, stili di vita e economia di mercato è organicamente "occidente") - di confrontarsi con un mondo in movimento e i suoi tanti attori. Per farlo il governo italiano - e la Presidente del Consiglio - sono chiamati a un esercizio di umiltà e di apertura, evitando di presentarsi al mondo con l'arroganza a cui troppo spesso la destra e la sua leader ricorrono nella politica italiana.
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