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La guerra non può più essere la vera soluzione

Written by Leonardo Becchetti.

Articolo di Leonardo Becchetti pubblicato da Avvenire.

Lo storia recente ci insegna la via giusta Ogni volta che dopo la Seconda guerra mondiale l’Occidente ha cercato di prevalere militarmente ha perso (Afghanistan, Vietnam, Iraq) o non ha vinto (Corea) e la guerra si è conclusa con un armistizio, sancendo il fatto che nessuna delle due parti riuscisse a prevalere.
Le uniche che possiamo considerare come vittorie vere e durature sono quelle arrivate con la caduta del muro di Berlino per “contagio di valori”.
Se oggi molti temono che Israele non possa davvero diventare un Paese sicuro nei prossimi anni, è perché la pace conquista molto più della guerra. L’errore strategico - che si somma a quello etico, nella cui prospettiva la guerra è un assurdo e una contraddizione del valore di ogni vita umana al di là di appartenenze e differenze - è sempre lo stesso: pensare che la superiorità tecnologica con il massimo risparmio di vite umane (proprie) basti a sconfiggere il nemico.
Anche da un punto di vista strategico, questo è un grave errore: le democrazie occidentali hanno sì spesso, anche se non sempre, una superiorità tecnologico- militare; ma tale supremazia induce a scegliere tattiche come i massicci bombardamenti chirurgici - che poi chirurgici non sono - non in grado di ottenere il risultato pieno. Il caso di Israele è forse il più paradossale da questo punto di vista. Il piano dichiarato è quello di eliminare Hamas per l’atroce bagno di sangue scatenato dai terroristi il 7 ottobre scorso. I bombardamenti chirurgici nel Nord della Striscia di Gaza fanno migliaia di vittime civili mentre i vertici e i miliziani di Hamas hanno avuto tutto il tempo di rifugiarsi a Sud della Striscia o di gestire le operazioni dall’estero. Il risultato di questa strategia, soprattutto nel medio termine, non sarà quello di aumentare la sicurezza di Israele.
E già nel breve sta aumentando le ostilità verso lo Stato ebraico di chi si schiera con i civili palestinesi in tutto il mondo. È, infatti, la logica della de-escalation che raffredda gli animi e prepara un futuro di pace. I grandi conflitti del Secondo dopoguerra non si sono risolti con vittorie militari di una parte o dell’altra, ma con processi di pace che hanno disinnescato conflitti asimmetrici e fatto emergere possibilità di convivenza: a Belfast come a Bilbao o nella trattativa colombiana. La guerra è stata sconfitta e la pace raggiunta non con la repressione o l’eliminazione dell’Eta, ma con trattative e negoziati.
E la pace sostenuta e difesa non ultimo con la riconversione di uno dei maggiori centri minerari d’Europa in un’attrazione per il turismo e con la creazione del museo Guggenheim. Certo, non si fa fatica a capire che il conflitto tra Israele e palestinesi che dura da 75 anni è la più ingarbugliata di tutte queste situazioni; ma lo è anche perché la de-escalation e i processi di pace sono stati sostenuti troppo debolmente e sono di fatto falliti. Bisognerebbe ripartire da forze d’interposizione Onu che impedissero un contatto tra le parti che per adesso, per le ferite aperte e recentissime, sembra poter essere solo bellico.
E poi stabilire regole di convivenza nelle differenze che si realizza in mille parti del mondo. La guerra non finirà mai per eliminazione dell’avversario, ma con un compromesso di entrambe le parti disposte a cedere qualcosa per creare una convivenza tra le differenze. Tanto di questo abbiamo visto in giro per il mondo in questi decenni. Perché in Palestina non può a priori essere possibile? Per iniziare bisognerebbe convincerci che non siamo in grado strategicamente di vincere una guerra perché siamo nati con un’altra vocazione che è quella di vincere attraverso la pace.
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