Sei milioni di poveri? Uno scandalo
Articolo di Avvenire.
Il cardinale Matteo Zuppi si presenta a Genova con gli arnesi del sarto. Impegnato a rammendare la pace, ma anche un’emergenza sociale che scandalizza. «C’è tanta sofferenza - dice - e i sei milioni di italiani che vivono in povertà sono una cosa che ci deve scandalizzare. Spessissimo chi vive la sofferenza più diretta sono i Comuni e la Chiesa».
L’intervento dell’arcivescovo di Bologna alla quarantesima assemblea dei Comuni italiani è il riconoscimento di un ruolo alle autonomie e di un’alleanza con la Chiesa. Danilo Moriero, che lo intervista sul palco per l’Anci, insiste più volte su cosa si possa «fare insieme» e il porporato gli risponde valorizzando l’assistenza quotidiana che amministrazioni e parrocchie prestano alle categorie più deboli, dai migranti ai disabili. Il ragionamento di Zuppi muove da una constatazione politica: nei Comuni si respira «aria civica e aria civile», mentre «la polarizzazione fa sempre dimenticare l'insieme: spesso dimentica anche la storia, o ne prende solo un pezzetto, o la ideologizza e questo diventa ancora più complicato».
Non pare una critica al governo, che in effetti si presenta a Genova con l’annuncio che nella legge di bilancio «non ci sono tagli sulla disabilità. C’è semplicemente uno slittamento delle risorse per permettere di averne di più nel momento in cui la legge entrerà davvero in vigore, cioè a partire dal primo gennaio del 2025 e poi progressivamente implementata tra il 2026 e il 2027» come assicura il ministro Alessandra Locatelli. La quale promette anche una drastica semplificazione per le invalidità con i decreti attuativi della legge delega sulla disabilità e sul “Progetto di vita”. Già dal 2024. Anche questi sono rammendi, dopo un anno che il Governo e i Comuni hanno trascorso a duellare su tagli e revisioni del Pnrr. «Come insegna il Papa - ricorda Zuppi ai sindaci -, la priorità è rammendare, proprio perché la guerra non è solo quando scoppia». Il cardinale riconosce agli enti locali un ruolo importante - «l'incontro di oggi serve anche a ringraziarli per il loro senso civico che mette al centro la persona» - e spezza una bella lancia per loro - «se avessero un po' di contributi e aiuti da parte dello Stato potrebbero fare un po’ di più nel sostegno alle fragilità. Altrimenti sono lasciati soli» - ma sembra altrettanto preoccupato di propiziare un nuovo clima nel mondo politico, sulla spinta delle emergenze. Infatti, esorta i sindaci, pur nelle differenze di partito, a «gareggiare nel bene» e ad evitare, appunto, quella «polarizzazione che ci fa dimenticare i problemi reali e ci rende surreali». Si sofferma sui meccanismi dell’accoglienza, sulle «comprensibili paure» e sulla capacità di molte comunità di «adottare gli stranieri, perché spesso sono ragazzi che non aspettano altro». Avverte che «il problema immigrazione non può più essere governato come un’emergenza» e che sui minori non accompagnati «c’è bisogno di sistema». Si spinge a dire che «noi Chiesa facciamo ancora troppo poco».
Tuttavia, il sarto non sa capacitarsi dello squarcio aperto dalla povertà. Non a caso usa la parola “scandalo” e cambia tono, ogni volta che affronta l’argomento. Lo squarcio diventa più profondo se si sommano povertà e solitudine. Il cardinale chiede risposte “di sistema” alla politica, se davvero si vuole portare il Paese fuori dal buio: «Bisogna esser consapevoli che la solitudine fa male. L’io ha bisogno del noi. Al di là delle proprie convinzioni e fede una dimensione verticale ce l’abbiamo tutti. I sindaci sono quelli che lo capiscono di più perché ci si confrontano continuamente; ora, il problema è come costruire una rete nelle grandi città e come difenderla nelle aree interne, evitando lo spopolamento». Ma che siano grandi città o piccoli paesi, le risposte, sottolinea più volte, debbono essere “di sistema”. Ed allora ecco che per malati e anziani il porporato difende l’assistenza domiciliare, con la quale «cambia tutto. Io preferisco starmene a casa negli ultimi giorni, preferisco che ci sia qualcuno che mi aiuti, e paradossalmente, con questa forma di assistenza, faccio anche risparmiare la struttura pubblica che evita che i pronti soccorsi siano pieni. Questo è un problema di sistema».
Il cardinale Matteo Zuppi si presenta a Genova con gli arnesi del sarto. Impegnato a rammendare la pace, ma anche un’emergenza sociale che scandalizza. «C’è tanta sofferenza - dice - e i sei milioni di italiani che vivono in povertà sono una cosa che ci deve scandalizzare. Spessissimo chi vive la sofferenza più diretta sono i Comuni e la Chiesa».
L’intervento dell’arcivescovo di Bologna alla quarantesima assemblea dei Comuni italiani è il riconoscimento di un ruolo alle autonomie e di un’alleanza con la Chiesa. Danilo Moriero, che lo intervista sul palco per l’Anci, insiste più volte su cosa si possa «fare insieme» e il porporato gli risponde valorizzando l’assistenza quotidiana che amministrazioni e parrocchie prestano alle categorie più deboli, dai migranti ai disabili. Il ragionamento di Zuppi muove da una constatazione politica: nei Comuni si respira «aria civica e aria civile», mentre «la polarizzazione fa sempre dimenticare l'insieme: spesso dimentica anche la storia, o ne prende solo un pezzetto, o la ideologizza e questo diventa ancora più complicato».
Non pare una critica al governo, che in effetti si presenta a Genova con l’annuncio che nella legge di bilancio «non ci sono tagli sulla disabilità. C’è semplicemente uno slittamento delle risorse per permettere di averne di più nel momento in cui la legge entrerà davvero in vigore, cioè a partire dal primo gennaio del 2025 e poi progressivamente implementata tra il 2026 e il 2027» come assicura il ministro Alessandra Locatelli. La quale promette anche una drastica semplificazione per le invalidità con i decreti attuativi della legge delega sulla disabilità e sul “Progetto di vita”. Già dal 2024. Anche questi sono rammendi, dopo un anno che il Governo e i Comuni hanno trascorso a duellare su tagli e revisioni del Pnrr. «Come insegna il Papa - ricorda Zuppi ai sindaci -, la priorità è rammendare, proprio perché la guerra non è solo quando scoppia». Il cardinale riconosce agli enti locali un ruolo importante - «l'incontro di oggi serve anche a ringraziarli per il loro senso civico che mette al centro la persona» - e spezza una bella lancia per loro - «se avessero un po' di contributi e aiuti da parte dello Stato potrebbero fare un po’ di più nel sostegno alle fragilità. Altrimenti sono lasciati soli» - ma sembra altrettanto preoccupato di propiziare un nuovo clima nel mondo politico, sulla spinta delle emergenze. Infatti, esorta i sindaci, pur nelle differenze di partito, a «gareggiare nel bene» e ad evitare, appunto, quella «polarizzazione che ci fa dimenticare i problemi reali e ci rende surreali». Si sofferma sui meccanismi dell’accoglienza, sulle «comprensibili paure» e sulla capacità di molte comunità di «adottare gli stranieri, perché spesso sono ragazzi che non aspettano altro». Avverte che «il problema immigrazione non può più essere governato come un’emergenza» e che sui minori non accompagnati «c’è bisogno di sistema». Si spinge a dire che «noi Chiesa facciamo ancora troppo poco».
Tuttavia, il sarto non sa capacitarsi dello squarcio aperto dalla povertà. Non a caso usa la parola “scandalo” e cambia tono, ogni volta che affronta l’argomento. Lo squarcio diventa più profondo se si sommano povertà e solitudine. Il cardinale chiede risposte “di sistema” alla politica, se davvero si vuole portare il Paese fuori dal buio: «Bisogna esser consapevoli che la solitudine fa male. L’io ha bisogno del noi. Al di là delle proprie convinzioni e fede una dimensione verticale ce l’abbiamo tutti. I sindaci sono quelli che lo capiscono di più perché ci si confrontano continuamente; ora, il problema è come costruire una rete nelle grandi città e come difenderla nelle aree interne, evitando lo spopolamento». Ma che siano grandi città o piccoli paesi, le risposte, sottolinea più volte, debbono essere “di sistema”. Ed allora ecco che per malati e anziani il porporato difende l’assistenza domiciliare, con la quale «cambia tutto. Io preferisco starmene a casa negli ultimi giorni, preferisco che ci sia qualcuno che mi aiuti, e paradossalmente, con questa forma di assistenza, faccio anche risparmiare la struttura pubblica che evita che i pronti soccorsi siano pieni. Questo è un problema di sistema».