Una violenza cieca
Articolo di Piero Fassino.
Non c’è, non può esserci alcuna giustificazione alle atroci violenze perpetrate da Hamas. Quando si uccidono bambini, si sterminano intere famiglie, si massacrano centinaia di giovani, si rapiscono persone inermi per farne ostaggio o scudi umani, non vi può essere ambiguità: sono crimini contro l’umanità.
Nessuna ragione politica o ideologica può essere accettata.
Invocare l’espansione degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania o i palestinesi morti negli scontri con militari israeliani per giustificare le violenze di Hamas è un’ipocrisia.
Tra quegli eventi - che la comunità internazionale ogni volta ha censurato - e le orribili atrocità commesse da Hamas non vi può essere alcuna comparazione.
Così come è tempo di dire che se Gaza è una “prigione a cielo aperto”, la responsabilità è prima di tutto di Hamas che si è impadronita del potere espellendo l’Autorità Nazionale Palestinese, imponendo un regime dispotico e violento, facendo di Gaza la base di operazioni terroristiche e militari. E rendendo così la popolazione palestinese prigioniera, costretta a vivere nella insicurezza e nella paura.
Anche per questo è necessario che il legittimo diritto di Israele alla difesa non si scarichi sull’intera popolazione palestinese, per spezzare le catene con cui Hamas sequestra ogni giorno la popolazione di Gaza.
Condannare senza se e senza ma Hamas e soprattutto impedirle di continuare a commettere misfatti è la condizione per riaprire la strada ad una soluzione politica del conflitto israelo-palestinese. Anche perché Hamas non persegue una soluzione di convivenza, ma la eliminazione dello Stato di Israele.
Certo di fronte alle terribili violenze di questi giorni parlare di pace può sembrare utopico. L’odio e la volontà devastatrice di Hamas hanno scavato un solco di incomunicabilità e ferite così dolorose che richiederanno tempo per essere superate. E peraltro il decorso di 30 anni senza che gli Accordi di Oslo e Washington abbiano avuto esito ha disseminato frustrazione e disillusione.
Qui sta oggi il ruolo della comunità internazionale che deve sentire la responsabilità di agire per rimettere in moto un percorso negoziale, abbandonando la passività di questi anni. Proprio gli eventi drammatici di questi giorni dimostrano che il passivo decorrere del tempo non porta alla pace. La allontana.
Non c’è, non può esserci alcuna giustificazione alle atroci violenze perpetrate da Hamas. Quando si uccidono bambini, si sterminano intere famiglie, si massacrano centinaia di giovani, si rapiscono persone inermi per farne ostaggio o scudi umani, non vi può essere ambiguità: sono crimini contro l’umanità.
Nessuna ragione politica o ideologica può essere accettata.
Invocare l’espansione degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania o i palestinesi morti negli scontri con militari israeliani per giustificare le violenze di Hamas è un’ipocrisia.
Tra quegli eventi - che la comunità internazionale ogni volta ha censurato - e le orribili atrocità commesse da Hamas non vi può essere alcuna comparazione.
Così come è tempo di dire che se Gaza è una “prigione a cielo aperto”, la responsabilità è prima di tutto di Hamas che si è impadronita del potere espellendo l’Autorità Nazionale Palestinese, imponendo un regime dispotico e violento, facendo di Gaza la base di operazioni terroristiche e militari. E rendendo così la popolazione palestinese prigioniera, costretta a vivere nella insicurezza e nella paura.
Anche per questo è necessario che il legittimo diritto di Israele alla difesa non si scarichi sull’intera popolazione palestinese, per spezzare le catene con cui Hamas sequestra ogni giorno la popolazione di Gaza.
Condannare senza se e senza ma Hamas e soprattutto impedirle di continuare a commettere misfatti è la condizione per riaprire la strada ad una soluzione politica del conflitto israelo-palestinese. Anche perché Hamas non persegue una soluzione di convivenza, ma la eliminazione dello Stato di Israele.
Certo di fronte alle terribili violenze di questi giorni parlare di pace può sembrare utopico. L’odio e la volontà devastatrice di Hamas hanno scavato un solco di incomunicabilità e ferite così dolorose che richiederanno tempo per essere superate. E peraltro il decorso di 30 anni senza che gli Accordi di Oslo e Washington abbiano avuto esito ha disseminato frustrazione e disillusione.
Qui sta oggi il ruolo della comunità internazionale che deve sentire la responsabilità di agire per rimettere in moto un percorso negoziale, abbandonando la passività di questi anni. Proprio gli eventi drammatici di questi giorni dimostrano che il passivo decorrere del tempo non porta alla pace. La allontana.