Lo spazio ci insegna a salvare la Terra
Intervista della Stampa a Luca Parmitano.
«Se sogno di andare sulla Luna? Mentirei se dicessi di no». Luca Parmitano, 47 anni appena compiuti, astronauta italiano dell’Esa (l’Agenzia spaziale europea), è in piena forma. E dopo le sue due missioni del 2013 e 2019, con le quali ha trascorso 366 giorni nello spazio e ha effettuato sei “passeggiate spaziali”, in questi giorni è in Italia per una breve tour tra le scuole.
È stato ospite a BergamoScienza, che si svolge ogni anno in ottobre con appuntamenti e ricercatori internazionali. Parmitano, colonnello dell’Aeronautica militare italiana, ha raggiunto Bergamo con la moglie Marta Guidarelli e prima di tenere una conferenza per il pubblico, si è intrattenuto al Bergamo Science Center con i giornalisti, parlando delle imprese spaziali di oggi e domani, e del suo attuale ruolo di astronauta. Sulla maglietta blu, lo stemma di “Artemis”, il Programma lunare a guida Nasa, ma con forte coinvolgimento europeo: «Sì, ci stiamo lavorando un po’ tutti - racconta - è la nuova, grande frontiera dell’esplorazione umana nello spazio».
Rispetto alle missioni Apollo, quali sono le differenze?
«Innanzitutto la tecnologia, assai più avanzata. Come quella dei computer e degli apparati automatici di volo, che sessant’anni fa erano molto più spartani. Ecco perché quegli astronauti effettuarono imprese straordinarie. E da collaudatore, ricordo che l’Apollo 9 è stata un po’ una missione dimenticata, ma senza quei primi test dell’astronave e del modulo lunare non sarebbe stato possibile programmare l’allunaggio di quattro mesi dopo. Ecco, con le prime missioni verso la Luna di Artemis, sarà un po’ come testare ciò che poi diventerà regolare per raggiungere la stazione in orbita lunare e poi le basi abitate sulla superficie».
E ovviamente ti senti più che pronto…
«Magari, ci penso eccome, e mi terrei pronto. La prima missione, la Artemis 2 è in programma per fine 2024, e sarà un volo attorno alla Luna senza atterraggio. Mi fa piacere che in questo equipaggio vi sia Cristina Koch, che ha fatto parte della seconda parte della mia Expedition 61 nel 2019 e 2020. Poi vi saranno certamente opportunità per noi europei, e quindi anche per gli astronauti italiani».
Anche per il contributo economico e industriale dell’Italia?
«Esa e l’Asi, con l’industria italiana, stanno realizzando o hanno già costruito molte delle componenti della stazione Gateway, e della navicella Orion. Quindi le opportunità arriveranno anche per noi, o sulla superficie selenica oppure anche solo in orbita lunare. Ci vorrà ancora un po’ di tempo, perché l’architettura delle missioni non è ancora definita, in attesa di confermare quale, e come opererà, il veicolo destinato proprio alla discesa lunare».
Di cosa ti occupi attualmente, in attesa di una tua prossima missione?
«Considerata la mia esperienza di attività extraveicolari, sono impegnato ad addestrare gli astronauti proprio per le passeggiate spaziali. Compreso il collega dell’Esa, il danese Mogensen, che ora è in orbita. E poi vi sono alcuni aspetti di preparazione ai futuri allunaggi. Uno dei problemi, imparando dalle missioni Apollo, è l’enorme nuvola di polvere e terra che si solleva al momento dell’allunaggio. Per questo ho effettuato dei test in elicottero in zone desertiche per testare queste condizioni».
E la Stazione spaziale? È vero che terminerà la sua vita operativa nel 2030?
«La Stazione spaziale internazionale è un grande e meraviglioso laboratorio per realizzare esperimenti impossibili da condurre sulla Terra. E prima di essere dismessa, si dovrà dapprima disporre di un’altra stazione in orbita attorno alla Terra, in grado di sostituirla. Al di là dei materiali che ovviamente con il tempo, e con l’ambiente spaziale, tendono a logorarsi, credo possa andare anche oltre, e gestita da compagnie private».
Cosa ci ha insegnato, in particolare, sulla Terra?
«Oltre ai numerosi esperimenti biomedici, che ci daranno informazioni importanti per la cura o la prevenzione di alcune patologie, direi la sostenibilità. Dovremmo imparare di più sulla Terra a usare per esempio i pannelli solari, come quelli che ci danno energia sulla Iss. Mi piacerebbe vedere in Italia più pannelli solari, una fonte che non inquina e fa risparmiare. Oltretutto di Sole sicuramente non ne manca da noi, specie in questa epoca».
E oltre all’energia elettrica?
«Ad esempio il riciclo dell’acqua. Sulla Stazione spaziale il 95 per cento è riciclata, anche per rinnovare l’atmosfera interna. Ne abbiamo le capacità, e l’acqua è una risorsa fondamentale sul nostro pianeta, come ben sappiamo. Lo spazio, da sempre, insegna a guardare ai problemi della Terra, oltre a guardare all’esplorazione, naturalmente».
Le tue conferenze sono molto seguite dai giovani, per i quali sei un esempio da seguire. Cosa puoi suggerire loro, per una carriera come la tua?
«Che in futuro le opportunità per andare nello spazio aumenteranno e quindi di crederci. E poi, se non vi si riesce, vi sono molte altre professioni straordinarie: per andare nello spazio già oggi e così in futuro, oltre agli astronauti saranno importanti medici, biologi, fisici, e nelle aziende di settore anche esperti di marketing, comunicazione e molto altro. Credeteci, perché lo spazio diventerà molto più vicino di quanto crediate».
«Se sogno di andare sulla Luna? Mentirei se dicessi di no». Luca Parmitano, 47 anni appena compiuti, astronauta italiano dell’Esa (l’Agenzia spaziale europea), è in piena forma. E dopo le sue due missioni del 2013 e 2019, con le quali ha trascorso 366 giorni nello spazio e ha effettuato sei “passeggiate spaziali”, in questi giorni è in Italia per una breve tour tra le scuole.
È stato ospite a BergamoScienza, che si svolge ogni anno in ottobre con appuntamenti e ricercatori internazionali. Parmitano, colonnello dell’Aeronautica militare italiana, ha raggiunto Bergamo con la moglie Marta Guidarelli e prima di tenere una conferenza per il pubblico, si è intrattenuto al Bergamo Science Center con i giornalisti, parlando delle imprese spaziali di oggi e domani, e del suo attuale ruolo di astronauta. Sulla maglietta blu, lo stemma di “Artemis”, il Programma lunare a guida Nasa, ma con forte coinvolgimento europeo: «Sì, ci stiamo lavorando un po’ tutti - racconta - è la nuova, grande frontiera dell’esplorazione umana nello spazio».
Rispetto alle missioni Apollo, quali sono le differenze?
«Innanzitutto la tecnologia, assai più avanzata. Come quella dei computer e degli apparati automatici di volo, che sessant’anni fa erano molto più spartani. Ecco perché quegli astronauti effettuarono imprese straordinarie. E da collaudatore, ricordo che l’Apollo 9 è stata un po’ una missione dimenticata, ma senza quei primi test dell’astronave e del modulo lunare non sarebbe stato possibile programmare l’allunaggio di quattro mesi dopo. Ecco, con le prime missioni verso la Luna di Artemis, sarà un po’ come testare ciò che poi diventerà regolare per raggiungere la stazione in orbita lunare e poi le basi abitate sulla superficie».
E ovviamente ti senti più che pronto…
«Magari, ci penso eccome, e mi terrei pronto. La prima missione, la Artemis 2 è in programma per fine 2024, e sarà un volo attorno alla Luna senza atterraggio. Mi fa piacere che in questo equipaggio vi sia Cristina Koch, che ha fatto parte della seconda parte della mia Expedition 61 nel 2019 e 2020. Poi vi saranno certamente opportunità per noi europei, e quindi anche per gli astronauti italiani».
Anche per il contributo economico e industriale dell’Italia?
«Esa e l’Asi, con l’industria italiana, stanno realizzando o hanno già costruito molte delle componenti della stazione Gateway, e della navicella Orion. Quindi le opportunità arriveranno anche per noi, o sulla superficie selenica oppure anche solo in orbita lunare. Ci vorrà ancora un po’ di tempo, perché l’architettura delle missioni non è ancora definita, in attesa di confermare quale, e come opererà, il veicolo destinato proprio alla discesa lunare».
Di cosa ti occupi attualmente, in attesa di una tua prossima missione?
«Considerata la mia esperienza di attività extraveicolari, sono impegnato ad addestrare gli astronauti proprio per le passeggiate spaziali. Compreso il collega dell’Esa, il danese Mogensen, che ora è in orbita. E poi vi sono alcuni aspetti di preparazione ai futuri allunaggi. Uno dei problemi, imparando dalle missioni Apollo, è l’enorme nuvola di polvere e terra che si solleva al momento dell’allunaggio. Per questo ho effettuato dei test in elicottero in zone desertiche per testare queste condizioni».
E la Stazione spaziale? È vero che terminerà la sua vita operativa nel 2030?
«La Stazione spaziale internazionale è un grande e meraviglioso laboratorio per realizzare esperimenti impossibili da condurre sulla Terra. E prima di essere dismessa, si dovrà dapprima disporre di un’altra stazione in orbita attorno alla Terra, in grado di sostituirla. Al di là dei materiali che ovviamente con il tempo, e con l’ambiente spaziale, tendono a logorarsi, credo possa andare anche oltre, e gestita da compagnie private».
Cosa ci ha insegnato, in particolare, sulla Terra?
«Oltre ai numerosi esperimenti biomedici, che ci daranno informazioni importanti per la cura o la prevenzione di alcune patologie, direi la sostenibilità. Dovremmo imparare di più sulla Terra a usare per esempio i pannelli solari, come quelli che ci danno energia sulla Iss. Mi piacerebbe vedere in Italia più pannelli solari, una fonte che non inquina e fa risparmiare. Oltretutto di Sole sicuramente non ne manca da noi, specie in questa epoca».
E oltre all’energia elettrica?
«Ad esempio il riciclo dell’acqua. Sulla Stazione spaziale il 95 per cento è riciclata, anche per rinnovare l’atmosfera interna. Ne abbiamo le capacità, e l’acqua è una risorsa fondamentale sul nostro pianeta, come ben sappiamo. Lo spazio, da sempre, insegna a guardare ai problemi della Terra, oltre a guardare all’esplorazione, naturalmente».
Le tue conferenze sono molto seguite dai giovani, per i quali sei un esempio da seguire. Cosa puoi suggerire loro, per una carriera come la tua?
«Che in futuro le opportunità per andare nello spazio aumenteranno e quindi di crederci. E poi, se non vi si riesce, vi sono molte altre professioni straordinarie: per andare nello spazio già oggi e così in futuro, oltre agli astronauti saranno importanti medici, biologi, fisici, e nelle aziende di settore anche esperti di marketing, comunicazione e molto altro. Credeteci, perché lo spazio diventerà molto più vicino di quanto crediate».