L'Italia è ogni anno più disuguale
Articolo pubblicato da Avvenire
Non occorre andare troppo lontano per incontrare qualcuno che fa parte dell’1% delle persone più ricche del mondo, la cerchia nemmeno troppo ristretta dei 59,4 milioni di adulti che hanno un patrimonio complessivo di 208.300 miliardi di dollari: 1,3 milioni di questi milionari sono italiani.
Gli adulti italiani dentro il 10% dei più ricchi del mondo sono invece 19,8 milioni. Uno su due.
Questi numeri, contenuti nel Global Wealth Report di Credit Suisse e Ubs, fanno dell’Italia un Paese ancora piuttosto ricco, anche se non ricchissimo. Con un patrimonio di 221.370 euro ad adulto è fuori dai primi venti posti della classifica globale della ricchezza media, mentre ci rientra per la ricchezza “mediana”, cioè il dato che divide il 50% della popolazione più ricca dal 50% più povero: l’Italia in questo caso è quindicesima, con 107.320 euro a testa.
Medie e mediane però contano poco, se sono comunque il frutto di situazioni di grande disuguaglianza. I numeri del rapporto del Credit Suisse dicono che a livello di disparità della ricchezza l’Italia è in una situazione più o meno in linea con quella di altre economie sviluppate.
Esistono diversi metodi statistici per valutare le disuguaglianze. Gli analisti di Credit Suisse nella loro analisi – i cui dati sono abitualmente la base del rapporto presentato ogni anno da Oxfam alla vigilia del vertice di Davos – ne utilizzano tre. Uno è il rapporto tra ricchezza mediana e ricchezza media: più questo rapporto è alto più la ricchezza è distribuita equamente all’interno della popolazione. In Italia la ricchezza mediana è pari al 48,5% della ricchezza media, un dato peggiore del 42,6% della Francia e del 26,1% della Germania, ma migliore del 47,9% della Spagna o del 50,1% del Regno Unito. Il secondo parametro, quello più usato a livello internazionale, è il coefficiente di Gini, introdotto nel Novecento dallo statistico friulano Corrado Gini. È un indicatore della distribuzione della ricchezza o dei redditi e si muove dal livello 0, che esprime la situazione più omogenea possibile, e 1, che invece indica al contrario la massima disuguaglianza. A livello di ricchezza in Italia nel 2022 l’indice Gini è stato di 67,8 centesimi di punto, anche questo in caso in linea con quello dei nostri vicini Europei, anche se un po’ migliore: in Germania è a 76,9 centesimi, in Francia a 70,3 centesimi e in Spagna a 68,3 centesimi. In Paesi estremamente disuguali, come il Brasile o l’Arabia Saudita, l’indice Gini sfiora i 90 centesimi e negli Stati Uniti d’America è comunque superiore a 80.
L’elemento preoccupante è che secondo tutti questi parametri la situazione in Italia peggiora di anno in anno. Il coefficiente di Gini era a 60,4 centesimi nel 2000 ed è progressivamente salito (senza una discesa) fino ai livelli attuali. La quota di ricchezza che appartiene all’1% dei più ricchi del Paese, altro parametro utilizzato per valutare le disuguaglianze, era scesa dal 22% del 2000 fino al 17,4% del 2010 (complice la crisi finanziaria) ma poi è tornata a salire e nel 2022 è sopra il 23,1%. Il rapporto tra reddito mediano e medio nel 2000 era al 60%, la discesa fino all’attuale 48,5% è stata quindi particolarmente brusca. Pochi altri Paesi mostrano dinamiche così allarmanti: in Italia l’indice Gini è aumentato dello 0,5% all’anno nell’ultimo ventennio, mentre in Francia è rimasto fermo e in Germania è diminuito ogni anno dello 0,2%. Delle ventuno maggiori economie del pianeta soltanto una ha visto una crescita maggiore del principale indicatore di disuguaglianze: la Cina, con +0,8%.
In prospettiva, le cose possono anche andare peggio. Lo scorso anno, dice il rapporto di Credit Suisse, la ricchezza globale è diminuita del 2,4% (a 454.400 miliardi di dollari) e il numero di milionari è diminuito in diciotto delle venti principali economie. Ma è stato un anno anomalo, presto i milionari avranno la loro riscossa. Le proiezioni del Credit Suisse indicano un aumento della ricchezza globale del 38% da qui al 2027, con una parallela crescita dei milionari del 45%, a 86 milioni. Per l’Italia, i milionari saranno il 25% in più, cioè 1,67 milioni di persone. In genere, ma non sempre, un calo del numero dei ricchi comporta una riduzione della disuguaglianza e una più equa distribuzione delle risorse. «Molta della crescita della ricchezza delle famiglie in questo secolo ha escluso le classi di ricchezza medie e più basse» riconoscono gli autori dello studio, coordinato da Anthony Shorrocks, che dirige a Helsinki il World Institute for Devolpement Economomics Research, istituzione dell’Onu che da 30 anni «promuove lo sviluppo sostenibile ed equo per tutti».
Non occorre andare troppo lontano per incontrare qualcuno che fa parte dell’1% delle persone più ricche del mondo, la cerchia nemmeno troppo ristretta dei 59,4 milioni di adulti che hanno un patrimonio complessivo di 208.300 miliardi di dollari: 1,3 milioni di questi milionari sono italiani.
Gli adulti italiani dentro il 10% dei più ricchi del mondo sono invece 19,8 milioni. Uno su due.
Questi numeri, contenuti nel Global Wealth Report di Credit Suisse e Ubs, fanno dell’Italia un Paese ancora piuttosto ricco, anche se non ricchissimo. Con un patrimonio di 221.370 euro ad adulto è fuori dai primi venti posti della classifica globale della ricchezza media, mentre ci rientra per la ricchezza “mediana”, cioè il dato che divide il 50% della popolazione più ricca dal 50% più povero: l’Italia in questo caso è quindicesima, con 107.320 euro a testa.
Medie e mediane però contano poco, se sono comunque il frutto di situazioni di grande disuguaglianza. I numeri del rapporto del Credit Suisse dicono che a livello di disparità della ricchezza l’Italia è in una situazione più o meno in linea con quella di altre economie sviluppate.
Esistono diversi metodi statistici per valutare le disuguaglianze. Gli analisti di Credit Suisse nella loro analisi – i cui dati sono abitualmente la base del rapporto presentato ogni anno da Oxfam alla vigilia del vertice di Davos – ne utilizzano tre. Uno è il rapporto tra ricchezza mediana e ricchezza media: più questo rapporto è alto più la ricchezza è distribuita equamente all’interno della popolazione. In Italia la ricchezza mediana è pari al 48,5% della ricchezza media, un dato peggiore del 42,6% della Francia e del 26,1% della Germania, ma migliore del 47,9% della Spagna o del 50,1% del Regno Unito. Il secondo parametro, quello più usato a livello internazionale, è il coefficiente di Gini, introdotto nel Novecento dallo statistico friulano Corrado Gini. È un indicatore della distribuzione della ricchezza o dei redditi e si muove dal livello 0, che esprime la situazione più omogenea possibile, e 1, che invece indica al contrario la massima disuguaglianza. A livello di ricchezza in Italia nel 2022 l’indice Gini è stato di 67,8 centesimi di punto, anche questo in caso in linea con quello dei nostri vicini Europei, anche se un po’ migliore: in Germania è a 76,9 centesimi, in Francia a 70,3 centesimi e in Spagna a 68,3 centesimi. In Paesi estremamente disuguali, come il Brasile o l’Arabia Saudita, l’indice Gini sfiora i 90 centesimi e negli Stati Uniti d’America è comunque superiore a 80.
L’elemento preoccupante è che secondo tutti questi parametri la situazione in Italia peggiora di anno in anno. Il coefficiente di Gini era a 60,4 centesimi nel 2000 ed è progressivamente salito (senza una discesa) fino ai livelli attuali. La quota di ricchezza che appartiene all’1% dei più ricchi del Paese, altro parametro utilizzato per valutare le disuguaglianze, era scesa dal 22% del 2000 fino al 17,4% del 2010 (complice la crisi finanziaria) ma poi è tornata a salire e nel 2022 è sopra il 23,1%. Il rapporto tra reddito mediano e medio nel 2000 era al 60%, la discesa fino all’attuale 48,5% è stata quindi particolarmente brusca. Pochi altri Paesi mostrano dinamiche così allarmanti: in Italia l’indice Gini è aumentato dello 0,5% all’anno nell’ultimo ventennio, mentre in Francia è rimasto fermo e in Germania è diminuito ogni anno dello 0,2%. Delle ventuno maggiori economie del pianeta soltanto una ha visto una crescita maggiore del principale indicatore di disuguaglianze: la Cina, con +0,8%.
In prospettiva, le cose possono anche andare peggio. Lo scorso anno, dice il rapporto di Credit Suisse, la ricchezza globale è diminuita del 2,4% (a 454.400 miliardi di dollari) e il numero di milionari è diminuito in diciotto delle venti principali economie. Ma è stato un anno anomalo, presto i milionari avranno la loro riscossa. Le proiezioni del Credit Suisse indicano un aumento della ricchezza globale del 38% da qui al 2027, con una parallela crescita dei milionari del 45%, a 86 milioni. Per l’Italia, i milionari saranno il 25% in più, cioè 1,67 milioni di persone. In genere, ma non sempre, un calo del numero dei ricchi comporta una riduzione della disuguaglianza e una più equa distribuzione delle risorse. «Molta della crescita della ricchezza delle famiglie in questo secolo ha escluso le classi di ricchezza medie e più basse» riconoscono gli autori dello studio, coordinato da Anthony Shorrocks, che dirige a Helsinki il World Institute for Devolpement Economomics Research, istituzione dell’Onu che da 30 anni «promuove lo sviluppo sostenibile ed equo per tutti».