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Non solo Niger

Written by Piero Fassino.

Intervista di Formiche a Piero Fassino.

Se l’Ue non sarà punto di riferimento per l’Africa, saranno altri player a farsi largo in un’area dove abitano circa un miliardo e mezzo di persone, che diventeranno 4 entro la fine del secolo. Lo dice a Formiche.net Piero Fassino, già ministro degli Esteri e della Giustizia, presidente della commissione Esteri della Camera dei deputati nella XVII legislatura e ora vicepresidente della commissione Difesa, che ragiona sulle conseguenze dirette e indirette della crisi in Niger, nella consapevolezza che l’Ue non può più sottovalutare un quadrante altamente sensibile come questo.
Mali e Burkina Faso sul piede di guerra: quanto è vicino il conflitto allargato dopo il golpe in Niger?
Il golpe in Niger viene dopo analoghi colpi di Stato in Mali, Burkina Faso, Sud Sudan, Sudan: si allarga a macchia d’olio l’area dell’autocrazia e dell’instabilità nella regione del Sahel. Un golpe che ha effetti devastanti sul Niger dove si era avviato un percorso, lento ma costante, di crescita economica. Ma non è tutto.
Ovvero?
È un golpe che va oltre lo stesso Niger, collocato in una posizione geopolitica particolarmente delicata ed esiste il rischio che la crisi si allarghi ad altri Paesi della regione tentati dalla scelta della autocrazia. Tanto più alla luce di un altro elemento ormai del tutto evidente: nel Sahel la Russia tende a marcare una propria influenza con un’ambizione di presenza africana.
La Russia con l’Africa ha sempre avuto rapporti significativi…
Certo, penso ai rapporti con l’Algeria di Ben Bella e con l’Egitto fin dai tempi di Nasser. Penso alla presenza in Somalia o in Angola insieme ai cubani negli anni 90, o all’attenzione maggiore che la Russia – dopo lo scoppio della guerra in Ucraina – ha dedicato al continente africano con i molti viaggi di Lavrov nella regione. E da ultimo il vertice di San Pietroburgo, con la promessa di Putin ai Paesi africani di fornire in ogni caso le granaglie di cui quei Paesi hanno bisogno per alimentare i loro popoli.
La tendenza a espandere l’influenza russa è legata alle mire della Wagner?
La Wagner è stata in questi anni l’avanguardia della presenza russa nel continente. Dopo il tentativo di Prighozin di insubordinazione a Putin, oggi Mosca tende a rappresentarsi direttamente. Di fronte al forte isolamento, sopratutto da parte dell’occidente, di cui la Russia soffre per l’aggressione all’Ucraina, Mosca prova ad uscirne ponendosi come un punto di riferimento per il Global South e per i Paesi degli altri continenti, a partire da quelli africani. E anche se non ha le risorse e la forza della Cina – ormai fortemente radicata in molti Paesi del continente – sarebbe tuttavia un errore sottovalutare l’ambizione africana di Mosca. Tutto questo credo chiami in causa la responsabilità dell’Europa.
Con quali prospettive?
Se c’è un continente che è vitalmente interessato a quello che accadrà in Africa nei prossimi anni è l’Europa. Ciò che accadrà in quel continente nei prossimi anni determinerà il destino del mondo. Le dinamiche demografiche sono inequivocabili. Oggi vivono in Africa un miliardo e mezzo di persone che saranno due miliardi e mezzo nel 2050 e saranno 4 miliardi alla fine del secolo. La Nigeria, in virtù di questa dinamica demografica, diventerà il terzo paese più popoloso del mondo, dopo India e Cina e davanti agli Stati Uniti. E chiunque comprende che il destino dei 4 miliardi di persone non può certo essere affidato alle migrazioni, se non altro per ovvie ragioni dimensionali.
Quindi il problema investe lo sviluppo?
Sviluppo e crescita, e chi è direttamente interessato a farlo in primis è l’Europa, soprattutto nel momento in cui gli Stati Uniti, in modo esplicito concentrano la loro attenzione alla regione indopacifica. L’Europa deve dotarsi di un piano per l’Africa adeguato: se si fa la somma aritmetica degli investimenti dei Paesi dell’Unione europea, più la Gran Bretagna, in Africa sono dieci volte superiori agli investimenti cinesi. Ma una somma aritmetica non è l’espressione di un progetto organico dell’Europa sull’Africa, che è proprio il salto di qualità che l’Unione europea deve fare.
Perché la vacatio francese non è stata colmata dall’Ue?
La Francia paga il costo di un’eredità coloniale che non ha mai del tutto abbandonato anche in epoca post coloniale. E oggi tutto questo emerge nel modo più violento e brutale, come si vede nelle manifestazioni in Burkina Faso, in Mali e in Niger. L’Unione europea deve decidere: è consapevole del valore dell’Africa, ma a questa consapevolezza non è fin qui corrisposta una politica adeguata. Abbiamo ridotto in buona misura il problema del nostro rapporto con l’Africa alla gestione dei flussi migratori. È un tema ovviamente cruciale, ma la gestione dei flussi migratori se vuole ottenere risultati deve essere parte di una strategia per lo sviluppo e la crescita di quel continente.
È questo il salto di qualità che l’Unione europea deve fare oggi?
Sì, ma per evitare tentazioni neocoloniali, occorre che sia un Piano condiviso, coprogettato e cogestito con i Paesi africani. E Unione europea e Unione africana possono esserne la cabina di regia. E bisogna dare consapevolezza alle opinioni pubbliche europee che non si tratta di avere un atteggiamento “caritatevole” ma di avere chiaro che per la prossimità geofisica e per i rapporti demografici, economici, sociali e politici che si sono via via stabiliti fanno sì che Europa, Mediterraneo e Africa costituiscano ormai un “macrocontinente verticale” dai destini comuni. E un tema che dovrà essere al centro anche dei programmi di candidati e partiti per l’elezione del Parlamento europeo e della stessa Commissione europea del prossimo settennato.
Cina e Wagner sono attori portanti in Africa: quali rischi vi sono per la stabilità regionale?
Se l’Ue non sarà punto di riferimento per l’Africa, saranno altri player a ricoprire quel ruolo. Cina e Russia rischiano di diventare il cardine di questi Paesi, con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Tuttavia Cina e Russia possono dare all’Africa investimenti nelle infrastrutture, ma non possono dare ciò che invece solo l’Europa può offrire: welfare, politiche sociali e sanitarie, empowerment femminile, strategie formative, tecnologie avanzate. E politiche ambientali in un continente devastato da siccità, surriscaldamento, desertificazioni, migrazioni forzate. E anche promozione di democratic institution building per assetti politici e istituzionali trasparenti e stabili. Insomma: l’Africa come grande occasione per ridisegnare gli equilibri geopolitici e perseguire uno sviluppo sostenibile. E l’Europa deve esserne protagonista.
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