La fraternità come destino
Articolo di Mauro Magatti pubblicato da Avvenire.
L’eredità degli anni della globalizzazione è la difficile sfida per la costruzione delle condizioni culturali e istituzionali in grado di sostenere la convivenza di culture diverse in un mondo diventato piccolo e interconnesso.
Dopo che, un po’ ingenuamente, si era pensato che bastasse la crescita economica per poter convivere pacificamente, la ruvidezza della realtà è tornata a farsi sentire. Gli choc che hanno colpito l’intero pianeta hanno fatto emergere le tante questioni – dalle migrazioni al cambiamento climatico, dall’approvvigionamento delle materie prime alle tensioni geopolitiche – che ora bisogna affrontare e risolvere. Insieme.
Questa sfida vale a livello delle relazioni internazionali, come dimostrano la feroce guerra in Ucraina e gli altri conflitti che insanguinano tante parti del mondo: l’uso delle armi per dirimere le questioni territoriali o la costruzione di muri per separare ciò che è unito sono non-soluzioni destinate solo a peggiorare le cose.
Ma vale anche nei rapporti privati: dal mondo del lavoro alla famiglia. Lo sconcerto per la sequela senza fine dei femminicidi è grande. Persino nel nucleo originario dove ci si dovrebbe prendere cura della vita la capacità risolvere pacificamente divergenze e controversie sembra venire meno. La sfida di fondo del nostro tempo ha un nome: fraternità. Parola antica, che oggi però risuona con una forza e una pertinenza nuove.
Le condizioni nelle quali la vita umana ha luogo sul pianeta richiede un salto di qualità in grado di portarci oltre la modernità. Allora si trattò di affermare la persona umana nella sua dignità e integrità. Un lungo e difficile travaglio storico che si è sviluppato attorno ai due cardini della libertà individuale e della sovranità territoriale.
Ma, al punto in cui siamo, queste due conquiste non bastano più. Ciò che va recuperato è che la libertà e la sovranità non cancellano il legame, ma lo presuppongono e lo qualificano. Non come una obbligazione giustapposta che impone dei limiti, ma come elemento costitutivo che va continuamente custodito e rinnovato.
Ecco perché, in questo preciso momento storico, la giornata che Papa Francesco ha voluto oggi in Piazza San Pietro (#notalone) ha un enorme valore simbolico. Il compito che ci aspetta nei prossimi anni è proprio quello di imparare a vivere da fratelli all’interno dell’unica madre terra che tutti abitiamo. Non c’è altra via che prendersi la responsabilità di una vita insieme. Ogni altro pensiero, ogni altra categoria è destinata a portare alla distruzione del pianeta. Ciò significa riconoscere che la libertà è costitutivamente legata a quella degli altri e che nessuno, in fondo, è libero da solo. Riconoscere, ancora, che la sovranità assoluta non esiste: che il legame che ci precede è ciò che ci precede e ci costituisce come uomini e donne liberi e come nazioni indipendenti. Siamo tutti, allo stesso tempo, liberi e legati, cioè, come direbbe Raimon Pannikar, inter-indipendenti. Ci troviamo su una soglia che ci può portare oltre la modernità, verso un futuro desiderabile, o precipitare nella barbarie della guerra o del disastro ecologico. Ecco perché è essenziale riuscire a compiere quel passo in avanti che Piazza San Pietro oggi suggerisce.
Una proposta che interpella direttamente la politica: l’unica prospettiva per creare pace e prosperità è la difficile via del dialogo tra culture che sono e rimarranno profondamente diverse. Ma che mette in gioco anche le grandi confessioni religiose, chiamate a ripensarsi per creare le condizioni di un’amicizia che solo qualche volta nella storia è stata realizzata.
E che sollecita infine tutti noi: nei diversi ambiti quotidiani della vita economica e sociale, la fraternità – parola evangelica evocata dalla rivoluzione francese – è capace di delineare la cornice per immaginare un mondo in cui finalmente nessuno sia lasciato indietro e in cui a ciascuno sia data la possibilità di portare il proprio contributo al bene di tutti. Ecco un vero messaggio di futuro in un mondo scosso da così profonde tensioni. Un messaggio straordinario soprattutto per i giovani a cui è affidata, in modo particolare, la responsabilità della sua realizzazione.
L’eredità degli anni della globalizzazione è la difficile sfida per la costruzione delle condizioni culturali e istituzionali in grado di sostenere la convivenza di culture diverse in un mondo diventato piccolo e interconnesso.
Dopo che, un po’ ingenuamente, si era pensato che bastasse la crescita economica per poter convivere pacificamente, la ruvidezza della realtà è tornata a farsi sentire. Gli choc che hanno colpito l’intero pianeta hanno fatto emergere le tante questioni – dalle migrazioni al cambiamento climatico, dall’approvvigionamento delle materie prime alle tensioni geopolitiche – che ora bisogna affrontare e risolvere. Insieme.
Questa sfida vale a livello delle relazioni internazionali, come dimostrano la feroce guerra in Ucraina e gli altri conflitti che insanguinano tante parti del mondo: l’uso delle armi per dirimere le questioni territoriali o la costruzione di muri per separare ciò che è unito sono non-soluzioni destinate solo a peggiorare le cose.
Ma vale anche nei rapporti privati: dal mondo del lavoro alla famiglia. Lo sconcerto per la sequela senza fine dei femminicidi è grande. Persino nel nucleo originario dove ci si dovrebbe prendere cura della vita la capacità risolvere pacificamente divergenze e controversie sembra venire meno. La sfida di fondo del nostro tempo ha un nome: fraternità. Parola antica, che oggi però risuona con una forza e una pertinenza nuove.
Le condizioni nelle quali la vita umana ha luogo sul pianeta richiede un salto di qualità in grado di portarci oltre la modernità. Allora si trattò di affermare la persona umana nella sua dignità e integrità. Un lungo e difficile travaglio storico che si è sviluppato attorno ai due cardini della libertà individuale e della sovranità territoriale.
Ma, al punto in cui siamo, queste due conquiste non bastano più. Ciò che va recuperato è che la libertà e la sovranità non cancellano il legame, ma lo presuppongono e lo qualificano. Non come una obbligazione giustapposta che impone dei limiti, ma come elemento costitutivo che va continuamente custodito e rinnovato.
Ecco perché, in questo preciso momento storico, la giornata che Papa Francesco ha voluto oggi in Piazza San Pietro (#notalone) ha un enorme valore simbolico. Il compito che ci aspetta nei prossimi anni è proprio quello di imparare a vivere da fratelli all’interno dell’unica madre terra che tutti abitiamo. Non c’è altra via che prendersi la responsabilità di una vita insieme. Ogni altro pensiero, ogni altra categoria è destinata a portare alla distruzione del pianeta. Ciò significa riconoscere che la libertà è costitutivamente legata a quella degli altri e che nessuno, in fondo, è libero da solo. Riconoscere, ancora, che la sovranità assoluta non esiste: che il legame che ci precede è ciò che ci precede e ci costituisce come uomini e donne liberi e come nazioni indipendenti. Siamo tutti, allo stesso tempo, liberi e legati, cioè, come direbbe Raimon Pannikar, inter-indipendenti. Ci troviamo su una soglia che ci può portare oltre la modernità, verso un futuro desiderabile, o precipitare nella barbarie della guerra o del disastro ecologico. Ecco perché è essenziale riuscire a compiere quel passo in avanti che Piazza San Pietro oggi suggerisce.
Una proposta che interpella direttamente la politica: l’unica prospettiva per creare pace e prosperità è la difficile via del dialogo tra culture che sono e rimarranno profondamente diverse. Ma che mette in gioco anche le grandi confessioni religiose, chiamate a ripensarsi per creare le condizioni di un’amicizia che solo qualche volta nella storia è stata realizzata.
E che sollecita infine tutti noi: nei diversi ambiti quotidiani della vita economica e sociale, la fraternità – parola evangelica evocata dalla rivoluzione francese – è capace di delineare la cornice per immaginare un mondo in cui finalmente nessuno sia lasciato indietro e in cui a ciascuno sia data la possibilità di portare il proprio contributo al bene di tutti. Ecco un vero messaggio di futuro in un mondo scosso da così profonde tensioni. Un messaggio straordinario soprattutto per i giovani a cui è affidata, in modo particolare, la responsabilità della sua realizzazione.