Il lavoro al primo posto
Articolo di Piero Fassino.
Il lavoro non è soltanto lo strumento con cui ogni persona procura a sé e alla propria famiglia il necessario per vivere. Il lavoro è anche il luogo in cui si esprime l'intelligenza, la creatività, il saper fare di ogni persona. Di più, il lavoro definisce l'identità stessa di ciascuno di noi. Ne è semplice conferma il fatto che quando entriamo in contatto con un interlocutore, dopo averne conosciuto il nome, subito gli chiediamo quale sia il suo lavoro o attività.
Il lavoro è dunque centrale per la vita di ogni individuo. Per questo il lavoro deve essere riconosciuto nei suoi diritti e nella sua dignità. E un lavoro è degno se è adeguatamente retribuito, professionalmente riconosciuto, contrattualmente e legislativamente tutelato. E queste condizioni di dignità vanno riconosciute a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici, quali che siano le modalità e le forme del lavoro, sia a tempo indeterminato, sia a tempo determinato.
Vanno in direzione esattamente opposta i provvedimenti adottati dal governo con il recente "decreto lavoro", con cui si estendono i contratti a termine senza alcuna garanzia, si reintroducono i vaucher e il lavoro a chiamata senza criteri applicativi, non si adotta alcuna misura per l'incremento dell'occupazione femminile. Anche la riduzione del cuneo fiscale - peraltro operativa solo fino a dicembre - è inferiore alle riduzioni introdotte dai governi Renzi, Conte e Draghi. Tant'è che il beneficio netto per i salari sarà di 50 euro al mese, meno dei benefici assicurati dalle riduzioni contributive adottate dai governi precedenti. Se a questo si aggiunge la drastica riduzione del reddito di cittadinanza (che andava riformato, ma non semplicemente abolito) risulta evidente che i provvedimenti del governo, a dispetto degli annunci propagandistici, accresceranno in realtà precarietà e insicurezza.
Altra deve essere la strada: sostegni alle imprese per una politica industriale che crei nuovo lavoro; introduzione di un salario minimo legale che contrasti i lavori sottopagati; estensione dei congedi parentali per ridurre il peso delle incombenze familiari a carico delle donne; politiche di conciliazione casa/lavoro - asili e nidi per i bambini e misure di sostegno alle famiglie con anziani - per favorire la possibilità per le donne di lavorare; riduzione strutturale dei prelievi contributivi su salari e stipendi; incentivi alla trasformazione ecologica delle produzioni; regole certe e diritti per i lavori flessibili; politiche di formazione e di avviamento al lavoro.
Nulla di tutto questo si ritrova nel decreto lavoro, né nel DEF, il Documento di Economia e Finanza presentato dal governo in vista della predisposizione della legge di bilancio.
Riconoscere dignità al lavoro e contrastare la deriva alla precarietà richiama tutte le forze di opposizione ad un impegno comune in Parlamento e nel Paese. Il PD c'è e ci sarà, operando ogni giorno per fare del lavoro uno degli assi portanti di uno schieramento unitario e di una proposta di governo alternativi alla destra.
Il lavoro non è soltanto lo strumento con cui ogni persona procura a sé e alla propria famiglia il necessario per vivere. Il lavoro è anche il luogo in cui si esprime l'intelligenza, la creatività, il saper fare di ogni persona. Di più, il lavoro definisce l'identità stessa di ciascuno di noi. Ne è semplice conferma il fatto che quando entriamo in contatto con un interlocutore, dopo averne conosciuto il nome, subito gli chiediamo quale sia il suo lavoro o attività.
Il lavoro è dunque centrale per la vita di ogni individuo. Per questo il lavoro deve essere riconosciuto nei suoi diritti e nella sua dignità. E un lavoro è degno se è adeguatamente retribuito, professionalmente riconosciuto, contrattualmente e legislativamente tutelato. E queste condizioni di dignità vanno riconosciute a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici, quali che siano le modalità e le forme del lavoro, sia a tempo indeterminato, sia a tempo determinato.
Vanno in direzione esattamente opposta i provvedimenti adottati dal governo con il recente "decreto lavoro", con cui si estendono i contratti a termine senza alcuna garanzia, si reintroducono i vaucher e il lavoro a chiamata senza criteri applicativi, non si adotta alcuna misura per l'incremento dell'occupazione femminile. Anche la riduzione del cuneo fiscale - peraltro operativa solo fino a dicembre - è inferiore alle riduzioni introdotte dai governi Renzi, Conte e Draghi. Tant'è che il beneficio netto per i salari sarà di 50 euro al mese, meno dei benefici assicurati dalle riduzioni contributive adottate dai governi precedenti. Se a questo si aggiunge la drastica riduzione del reddito di cittadinanza (che andava riformato, ma non semplicemente abolito) risulta evidente che i provvedimenti del governo, a dispetto degli annunci propagandistici, accresceranno in realtà precarietà e insicurezza.
Altra deve essere la strada: sostegni alle imprese per una politica industriale che crei nuovo lavoro; introduzione di un salario minimo legale che contrasti i lavori sottopagati; estensione dei congedi parentali per ridurre il peso delle incombenze familiari a carico delle donne; politiche di conciliazione casa/lavoro - asili e nidi per i bambini e misure di sostegno alle famiglie con anziani - per favorire la possibilità per le donne di lavorare; riduzione strutturale dei prelievi contributivi su salari e stipendi; incentivi alla trasformazione ecologica delle produzioni; regole certe e diritti per i lavori flessibili; politiche di formazione e di avviamento al lavoro.
Nulla di tutto questo si ritrova nel decreto lavoro, né nel DEF, il Documento di Economia e Finanza presentato dal governo in vista della predisposizione della legge di bilancio.
Riconoscere dignità al lavoro e contrastare la deriva alla precarietà richiama tutte le forze di opposizione ad un impegno comune in Parlamento e nel Paese. Il PD c'è e ci sarà, operando ogni giorno per fare del lavoro uno degli assi portanti di uno schieramento unitario e di una proposta di governo alternativi alla destra.