Il 41 bis può essere difeso se rispetta la Costituzione
Articolo di Franco Mirabelli pubblicato da Il Riformista.
L’istituto del 41bis è stato ed è uno strumento fondamentale per la lotta alle mafie.
Impedire che i boss possano continuare a dirigere la propria organizzazione dal carcere, come avveniva in precedenza, continua ad essere una necessità se si vuole spezzare la catena di comando delle cosche.
Il 41bis è uno strumento che ha funzionato e funziona, che deve essere difeso e preservato ma, per farlo nel modo migliore, serve fare i conti con le osservazioni fatte recentemente dal Garante dei diritti dei detenuti.
Innanzitutto, si tratta di riportare l’istituto alla dimensione che gli è propria.
Il 41bis è nato per impedire la possibilità che i capimafia di comunicare con l’esterno, questa è la sua funzione.
L’isolamento, le limitazioni rigide ai contatti con l’esterno ma anche all’interno del carcere hanno questa finalità.
Troppo spesso, invece, sentiamo dalla politica e persino dagli operatori penitenziari definire il 41bis come “carcere duro”, quasi servisse a rendere più afflittiva la pena e non a impedire le comunicazioni con l’esterno.
Se passasse l’idea di un regime semplicemente finalizzato a rendere la detenzione più gravosa, sia pure di fronte a reati molto gravi, è chiaro che si darebbe un argomento a chi attacca il 41bis, ritenendolo un trattamento contrario alla finalità rieducativa della pena, che la nostra Costituzione stabilisce.
Allo stesso modo, Mauro Palma ha ragione quando sollecita una riflessione sul numero di detenuti al 41bis.
Il numero di oltre 700 persone recluse con quel regime è, certamente, un dato sproporzionato rispetto alla finalità e può anch’esso avvalorare l’idea di uno strumento che viene utilizzato per scopi diversi.
Quindi, per difendere il 41bis è necessario utilizzarlo per come è stato pensato: un regime straordinario che serve a impedire che i capi delle mafie e del terrorismo comunichino con i loro sodali all’esterno e per evitare che gli stessi controllino la vita del carcere.
Ma bisogna prendere atto che la reclusione di oltre 700 mafiosi costituisce una anomalia, per risolverla occorre intervenire sulle cause che portano i magistrati a moltiplicare le richieste di detenzione in regime di 41bis.
È evidente che manca una soluzione alternativa per chi, comunque, dovrebbe avere più limitazioni durante la reclusione.
Il tema è quello della necessità di migliorare il funzionamento delle sezioni di alta sicurezza e aumentarne la capienza.
Si potrebbero così fornire le garanzie di controllo necessario e consentire di limitare il ricorso al 41bis. Da tempo il nostro Paese è sotto osservazione degli organismi internazionali ed europei proprio per il ricorso a quel regime detentivo.
Periodicamente emergono accuse che intravedono in esso violazioni dei diritti umani e dei detenuti a cui è possibile e giusto rispondere difendendo un istituto che, in una realtà in cui il radicamento delle mafie è ancora purtroppo alto, consente di impedire ai boss di proseguire la propria attività dalla reclusione.
Ma questo è possibile se continuiamo a poter dimostrare che il 41bis garantisce il rispetto della persona e non costituisce un trattamento pensato per essere più afflittivo e se resta evidente la sua eccezionalità circoscritta alla funzione che l’ordinamento attribuisce a quel regime.
L’istituto del 41bis è stato ed è uno strumento fondamentale per la lotta alle mafie.
Impedire che i boss possano continuare a dirigere la propria organizzazione dal carcere, come avveniva in precedenza, continua ad essere una necessità se si vuole spezzare la catena di comando delle cosche.
Il 41bis è uno strumento che ha funzionato e funziona, che deve essere difeso e preservato ma, per farlo nel modo migliore, serve fare i conti con le osservazioni fatte recentemente dal Garante dei diritti dei detenuti.
Innanzitutto, si tratta di riportare l’istituto alla dimensione che gli è propria.
Il 41bis è nato per impedire la possibilità che i capimafia di comunicare con l’esterno, questa è la sua funzione.
L’isolamento, le limitazioni rigide ai contatti con l’esterno ma anche all’interno del carcere hanno questa finalità.
Troppo spesso, invece, sentiamo dalla politica e persino dagli operatori penitenziari definire il 41bis come “carcere duro”, quasi servisse a rendere più afflittiva la pena e non a impedire le comunicazioni con l’esterno.
Se passasse l’idea di un regime semplicemente finalizzato a rendere la detenzione più gravosa, sia pure di fronte a reati molto gravi, è chiaro che si darebbe un argomento a chi attacca il 41bis, ritenendolo un trattamento contrario alla finalità rieducativa della pena, che la nostra Costituzione stabilisce.
Allo stesso modo, Mauro Palma ha ragione quando sollecita una riflessione sul numero di detenuti al 41bis.
Il numero di oltre 700 persone recluse con quel regime è, certamente, un dato sproporzionato rispetto alla finalità e può anch’esso avvalorare l’idea di uno strumento che viene utilizzato per scopi diversi.
Quindi, per difendere il 41bis è necessario utilizzarlo per come è stato pensato: un regime straordinario che serve a impedire che i capi delle mafie e del terrorismo comunichino con i loro sodali all’esterno e per evitare che gli stessi controllino la vita del carcere.
Ma bisogna prendere atto che la reclusione di oltre 700 mafiosi costituisce una anomalia, per risolverla occorre intervenire sulle cause che portano i magistrati a moltiplicare le richieste di detenzione in regime di 41bis.
È evidente che manca una soluzione alternativa per chi, comunque, dovrebbe avere più limitazioni durante la reclusione.
Il tema è quello della necessità di migliorare il funzionamento delle sezioni di alta sicurezza e aumentarne la capienza.
Si potrebbero così fornire le garanzie di controllo necessario e consentire di limitare il ricorso al 41bis. Da tempo il nostro Paese è sotto osservazione degli organismi internazionali ed europei proprio per il ricorso a quel regime detentivo.
Periodicamente emergono accuse che intravedono in esso violazioni dei diritti umani e dei detenuti a cui è possibile e giusto rispondere difendendo un istituto che, in una realtà in cui il radicamento delle mafie è ancora purtroppo alto, consente di impedire ai boss di proseguire la propria attività dalla reclusione.
Ma questo è possibile se continuiamo a poter dimostrare che il 41bis garantisce il rispetto della persona e non costituisce un trattamento pensato per essere più afflittivo e se resta evidente la sua eccezionalità circoscritta alla funzione che l’ordinamento attribuisce a quel regime.
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