Serve sussidiarietà, non assistenzialismo
Articolo della Stampa.
«Questo rapporto è un cazzotto allo stomaco per quello che ci racconta ma troppo spesso ci giriamo dall’altra parte. Abbiamo imparato ad accettare le diseguaglianze perché ha vinto l’individualismo». Il cardinale Matteo Maria Zuppi, Presidente Conferenza Episcopale Italiana, ha commentato così i dati emersi dal primo Rapporto sulle diseguaglianze voluto e realizzato dalla Fondazione Cariplo.
«Di fronte alle disparità, ai disagi, non serve l’assistenzialismo, serve la sussidiarietà. Lo ricorda anche Papa Francesco nella sua Enciclica “Fratelli Tutti”. Per questo, la retorica del merito è fuori luogo, bisogna andare all’origine, al punto di partenza», ha detto ancora Zuppi.
La fotografia che emerge dallo studio “Crescere in Italia, oltre le disuguaglianze” evidenzia quanto la condizione di povertà per le famiglie italiane sia aumentata: nel 2021, circa due milioni di famiglie versavano in condizioni di povertà assoluta. Il doppio rispetto al 2005. Il che vuol dire, evidenziano i relatori del rapporto, che le disparità sono aumentate invece che diminuite, nonostante il progresso tecnologico e sociale. Insomma: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Il rapporto traccia anche le linee guida degli indicatori principali della diseguaglianza e le dimensioni che concorrono a generarla, ma si concentra anche sull’impatto della disuguaglianza nei percorsi di apprendimento, nella costruzione della persona e della visione del «proprio posto nel mondo» raccontando la condizione dei giovani che sono «condannati» nel loro status senza possibilità di emancipazione economica. Questo, stando ai dati, incide sul percorso scolastico, nella scelta degli studi e sulle aspettative lavorative, oltre che nell’interazione con gli altri. Il percorso di istruzione obbligatoria, infatti, fatica da solo a svolgere il ruolo di ascensore sociale per i gruppi di studenti più svantaggiati, contribuendo anzi a sedimentare le diseguaglianze iniziali di apprendimento che derivano dai diversi background socioeconomici.
Il territorio di Milano, in particolare, ha fatto da «incubatore» per un’analisi sul campo tra i giovani che ha permesso di indagare lo sguardo sul proprio futuro da parte dei giovani.
«Alcuni ragazzi del quartiere Lorenteggio (semi-periferia ovest di Milano, ndr) non avevano mai visitato il Duomo», racconta Filippo Artoni, direttore della sede milanese del centro di formazione professionale Enaip Lombardia. Il crescere in un certo contesto sociale tende infatti «a influenzare fin dai primissimi anni di vita le attitudini delle persone e questo si evidenzia sempre più precocemente, a partire dai bambini della scuola materna. Questo condiziona gli apprendimenti ma, in modo più profondo, condiziona lo sguardo su di sé e sul mondo», spiega il gruppo di ricerca. Il 55% dei ragazzi che crescono in centro, inoltre, pensa di andare all’estero; tra chi cresce in periferia solo il 29%. «Emergono differenze, sin dall’età prescolare, tra la capacità di immedesimazione, la capacità di fiducia e di lettura del contesto: tutte competenze cruciali per la persona e per la sua vita sociale, lavorativa e collettiva». La mobilità sociale è quindi «un obiettivo che va sostenuto con opportuni interventi per garantire la rimozione degli ostacoli che non la permettono, contrastando la disuguaglianza di opportunità».
Infine, emerge dal rapporto, che le fragilità si propagano e si sommano: esiste una compresenza tra diverse forme di esclusione e di «povertà» che toccano varie dimensioni della vita delle persone; «laddove il livello di studio è più̀ alto, la popolazione presenta delle condizioni di salute generale migliori. Inoltre, solo l’8% dei giovani con genitori senza un titolo superiore ottiene un diploma universitario (22% la media Ocse)».
La presentazione dello studio voluto da Fondazione Cariplo si è tenuta stamattina a Milano, hanno partecipato anche la vicesindaca della città e assessora all’Istruzione Anna Scavuzzo, che ha ribadito l’importanza di «fare sistema» per agire contro le diseguaglianze ma soprattutto di «prendersi un impegno per il futuro» a favore delle generazioni giovani. Concetto ribadito dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, che ha sottolineato quanto sia necessario non lasciare indietro una generazione «ma neanche gli individui».
Alla presentazione hanno partecipato anche al Presidente di Fondazione Cariplo, Giovanni Fosti, la professoressa Enrica Chiappero, ordinaria di Politica Economica dell'Università di Pavia, l’Amministratore Delegato Intesa Sanpaolo Carlo Messina, l’architetto e urbanista e direttore del Mit SenseableCity Lab di Boston Carlo Ratti, Andrea Sironi, Presidente di Assicurazioni Generali oltre a Valentina Amorese, programme officer Area Ricerca Scientifica di Fondazione Cariplo e Gian Paolo Barbetta della Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore Evaluation Lab di Milano.
«Questo rapporto è un cazzotto allo stomaco per quello che ci racconta ma troppo spesso ci giriamo dall’altra parte. Abbiamo imparato ad accettare le diseguaglianze perché ha vinto l’individualismo». Il cardinale Matteo Maria Zuppi, Presidente Conferenza Episcopale Italiana, ha commentato così i dati emersi dal primo Rapporto sulle diseguaglianze voluto e realizzato dalla Fondazione Cariplo.
«Di fronte alle disparità, ai disagi, non serve l’assistenzialismo, serve la sussidiarietà. Lo ricorda anche Papa Francesco nella sua Enciclica “Fratelli Tutti”. Per questo, la retorica del merito è fuori luogo, bisogna andare all’origine, al punto di partenza», ha detto ancora Zuppi.
La fotografia che emerge dallo studio “Crescere in Italia, oltre le disuguaglianze” evidenzia quanto la condizione di povertà per le famiglie italiane sia aumentata: nel 2021, circa due milioni di famiglie versavano in condizioni di povertà assoluta. Il doppio rispetto al 2005. Il che vuol dire, evidenziano i relatori del rapporto, che le disparità sono aumentate invece che diminuite, nonostante il progresso tecnologico e sociale. Insomma: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Il rapporto traccia anche le linee guida degli indicatori principali della diseguaglianza e le dimensioni che concorrono a generarla, ma si concentra anche sull’impatto della disuguaglianza nei percorsi di apprendimento, nella costruzione della persona e della visione del «proprio posto nel mondo» raccontando la condizione dei giovani che sono «condannati» nel loro status senza possibilità di emancipazione economica. Questo, stando ai dati, incide sul percorso scolastico, nella scelta degli studi e sulle aspettative lavorative, oltre che nell’interazione con gli altri. Il percorso di istruzione obbligatoria, infatti, fatica da solo a svolgere il ruolo di ascensore sociale per i gruppi di studenti più svantaggiati, contribuendo anzi a sedimentare le diseguaglianze iniziali di apprendimento che derivano dai diversi background socioeconomici.
Il territorio di Milano, in particolare, ha fatto da «incubatore» per un’analisi sul campo tra i giovani che ha permesso di indagare lo sguardo sul proprio futuro da parte dei giovani.
«Alcuni ragazzi del quartiere Lorenteggio (semi-periferia ovest di Milano, ndr) non avevano mai visitato il Duomo», racconta Filippo Artoni, direttore della sede milanese del centro di formazione professionale Enaip Lombardia. Il crescere in un certo contesto sociale tende infatti «a influenzare fin dai primissimi anni di vita le attitudini delle persone e questo si evidenzia sempre più precocemente, a partire dai bambini della scuola materna. Questo condiziona gli apprendimenti ma, in modo più profondo, condiziona lo sguardo su di sé e sul mondo», spiega il gruppo di ricerca. Il 55% dei ragazzi che crescono in centro, inoltre, pensa di andare all’estero; tra chi cresce in periferia solo il 29%. «Emergono differenze, sin dall’età prescolare, tra la capacità di immedesimazione, la capacità di fiducia e di lettura del contesto: tutte competenze cruciali per la persona e per la sua vita sociale, lavorativa e collettiva». La mobilità sociale è quindi «un obiettivo che va sostenuto con opportuni interventi per garantire la rimozione degli ostacoli che non la permettono, contrastando la disuguaglianza di opportunità».
Infine, emerge dal rapporto, che le fragilità si propagano e si sommano: esiste una compresenza tra diverse forme di esclusione e di «povertà» che toccano varie dimensioni della vita delle persone; «laddove il livello di studio è più̀ alto, la popolazione presenta delle condizioni di salute generale migliori. Inoltre, solo l’8% dei giovani con genitori senza un titolo superiore ottiene un diploma universitario (22% la media Ocse)».
La presentazione dello studio voluto da Fondazione Cariplo si è tenuta stamattina a Milano, hanno partecipato anche la vicesindaca della città e assessora all’Istruzione Anna Scavuzzo, che ha ribadito l’importanza di «fare sistema» per agire contro le diseguaglianze ma soprattutto di «prendersi un impegno per il futuro» a favore delle generazioni giovani. Concetto ribadito dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, che ha sottolineato quanto sia necessario non lasciare indietro una generazione «ma neanche gli individui».
Alla presentazione hanno partecipato anche al Presidente di Fondazione Cariplo, Giovanni Fosti, la professoressa Enrica Chiappero, ordinaria di Politica Economica dell'Università di Pavia, l’Amministratore Delegato Intesa Sanpaolo Carlo Messina, l’architetto e urbanista e direttore del Mit SenseableCity Lab di Boston Carlo Ratti, Andrea Sironi, Presidente di Assicurazioni Generali oltre a Valentina Amorese, programme officer Area Ricerca Scientifica di Fondazione Cariplo e Gian Paolo Barbetta della Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore Evaluation Lab di Milano.