Politica migratoria con meno ideologia e più concretezza
Articolo del Sole 24 Ore.
La morte di almeno 76 persone a pochi metri dalle coste calabresi “grida vergogna”, al nostro Paese e all'Europa.
Per evitare altri Cutro, occorre cambiare l’approccio all’immigrazione.
Come? Il fenomeno migratorio ha una natura strutturale e non contingente. Esso include migranti costretti a fuggire dai loro Paesi e migranti che hanno scelto di fuggire per cercare condizioni migliori di vita.
Per quanto riguarda i primi (i migranti forzati), nel 2022, nel mondo, 100 milioni di persone sono state obbligate a lasciare il posto dove vivevano per via di guerre civili e religiose.
Sempre nel 2022, in Europa, quasi un milione di persone entrate senza autorizzazione ha chiesto asilo a uno stato membro dell’Unione europea, oltre che alla Svizzera e alla Norvegia, così come 13 milioni di ucraini sono entrati nella Ue chiedendo la protezione temporanea. Per quanto riguarda i migranti economici, si tratta di milioni di persone che fuggono da povertà e indigenza per cercare un lavoro in un Paese avanzato.
Come fecero, d'altronde, i milioni di italiani emigrati nel nord e nel sud dell'America tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento (un'emigrazione che, in realtà, si è protratta fino agli anni Cinquanta del secolo scorso).
Per di più, i flussi migratori scorrono verso Paesi, come il nostro, caratterizzati da un preoccupante declino demografico. La popolazione del nostro Paese è diminuita, tra il 2021 e il 2022, di 253.100 persone. È come se, in un anno, l'Italia avesse perso una città di medie dimensioni come Verona. Si tratta di cambiamenti di proporzioni bibliche che la mentalità da “ordine burocratico” del nostro ministro degli Interni non riesce neppure a concepire.
L'immigrazione solleva un doppio problema, securitario e integrativo. Il problema securitario non si risolve dando a caccia agli scafisti (che pure vanno sottoposti a pene severe, come propone il recente decreto governativo) ma europeizzando la protezione delle frontiere. A partire dal 1985 (con l'accordo di Schengen divenuto una Convenzione nel 1990 e quindi parte dei Trattati dal 1995) sono state abolite le frontiere interne tra i Paesi europei, lasciando però ad ogni singolo Stato la protezione delle proprie frontiere esterne. Sempre nel 1990, gli Stati hanno sottoscritto la Convenzione di Dublino (entrata in vigore nel 1997), quindi trasformata in regolamento europeo nel 2003 (Dublino II), poi riformato nel 2008 (Dublino III), che riconosce l'immigrazione come un problema comune, lasciando però ai singoli Stati la responsabilità di gestire gli immigrati che arrivano o approdano nel loro territorio. Poiché gli immigrati debbono registrarsi nel Paese di primo arrivo, ciò ha prodotto inevitabili effetti sperequativi tra i Paesi, penalizzando quelli più esposti (come il nostro) ai flussi migratori. Per aiutare gli Stati più esposti, nel 2005 fu istituita un'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), quindi rafforzata nel 2016 dopo la crisi migratoria dell'anno precedente (quando più di un milione di rifugiati siriani giunsero in Europa). Tuttavia, seppure rafforzata, Frontex rimane alle dipendenze dei governi nazionali, aiutandoli solamente se loro lo richiedono. Anzi, il regolamento del 2016 prevede una clausola (art. 19) secondo la quale, persino nel caso dell'evidente incapacità di un governo nazionale a gestire una crisi migratoria alle sue frontiere, Frontex potrà intervenire solamente «su proposta della Commissione europea e con l'approvazione del Consiglio dei ministri (europei)», dove siede anche il ministro del governo in questione. Eppure, l'incapacità di un governo nazionale a proteggere la propria frontiera mette in discussione l'intera area Schengen, in quanto gli immigrati che entrano in quel Paese potranno poi trasferirsi negli altri Paesi.
Così, l'Ue ha abolito le frontiere interne ai suoi Stati membri ma non può farsi carico (come Ue) del controllo delle frontiere esterne. Il risultato di questa incongruenza lo si è visto a Cutro, con il governo italiano che accusa “l'Europa” di non aiutarlo, nonostante quel governo sia guidato da nazionalisti che non vogliono che “l'Europa” ci aiuti, perché minaccerebbe la nostra sovranità territoriale.
È necessario rovesciare la logica di Dublino, affidando preminentemente all'Ue (e a Frontex) il controllo delle frontiere europee.
I governi nazionali dovrebbero invece assolvere un ruolo preminente nell'integrazione degli immigrati. Finalmente, il governo Meloni ha riconosciuto la necessità (con il decreto appena proposto) di regolare i flussi migratori, anche se Giorgia Meloni, quando era all'opposizione, criticò duramente il Patto mondiale sull'immigrazione delle Nazioni Unite del 2018 che impegnava i governi firmatari a fare esattamente ciò che il suo governo vuole fare oggi. La regolazione, però, non basta. In particolare, l'Italia, per ovviare al suo declino demografico, dovrebbe attrarre gli immigrati qualificati attraverso leggi che ne garantiscano i diritti sul lavoro e imprese e istituzioni che ne valorizzino le potenzialità.
Dovrebbe implementare politiche sociali ed economiche capaci di indirizzare gli immigrati nelle attività con carenze lavorative.
Dovrebbe accelerare il riconoscimento della cittadinanza agli immigrati che lavorano e pagano le tasse, dandola subito ai loro figli se sono nati e studiano da noi. Possibile che siamo l'unico Paese avanzato dove non c'è diversità, dal parlamento alla squadra nazionale di calcio?
In conclusione, se si vogliono evitare altri Cutro, occorre cambiare l'approccio alla politica migratoria. Meno ideologia e più concretezza.
La morte di almeno 76 persone a pochi metri dalle coste calabresi “grida vergogna”, al nostro Paese e all'Europa.
Per evitare altri Cutro, occorre cambiare l’approccio all’immigrazione.
Come? Il fenomeno migratorio ha una natura strutturale e non contingente. Esso include migranti costretti a fuggire dai loro Paesi e migranti che hanno scelto di fuggire per cercare condizioni migliori di vita.
Per quanto riguarda i primi (i migranti forzati), nel 2022, nel mondo, 100 milioni di persone sono state obbligate a lasciare il posto dove vivevano per via di guerre civili e religiose.
Sempre nel 2022, in Europa, quasi un milione di persone entrate senza autorizzazione ha chiesto asilo a uno stato membro dell’Unione europea, oltre che alla Svizzera e alla Norvegia, così come 13 milioni di ucraini sono entrati nella Ue chiedendo la protezione temporanea. Per quanto riguarda i migranti economici, si tratta di milioni di persone che fuggono da povertà e indigenza per cercare un lavoro in un Paese avanzato.
Come fecero, d'altronde, i milioni di italiani emigrati nel nord e nel sud dell'America tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento (un'emigrazione che, in realtà, si è protratta fino agli anni Cinquanta del secolo scorso).
Per di più, i flussi migratori scorrono verso Paesi, come il nostro, caratterizzati da un preoccupante declino demografico. La popolazione del nostro Paese è diminuita, tra il 2021 e il 2022, di 253.100 persone. È come se, in un anno, l'Italia avesse perso una città di medie dimensioni come Verona. Si tratta di cambiamenti di proporzioni bibliche che la mentalità da “ordine burocratico” del nostro ministro degli Interni non riesce neppure a concepire.
L'immigrazione solleva un doppio problema, securitario e integrativo. Il problema securitario non si risolve dando a caccia agli scafisti (che pure vanno sottoposti a pene severe, come propone il recente decreto governativo) ma europeizzando la protezione delle frontiere. A partire dal 1985 (con l'accordo di Schengen divenuto una Convenzione nel 1990 e quindi parte dei Trattati dal 1995) sono state abolite le frontiere interne tra i Paesi europei, lasciando però ad ogni singolo Stato la protezione delle proprie frontiere esterne. Sempre nel 1990, gli Stati hanno sottoscritto la Convenzione di Dublino (entrata in vigore nel 1997), quindi trasformata in regolamento europeo nel 2003 (Dublino II), poi riformato nel 2008 (Dublino III), che riconosce l'immigrazione come un problema comune, lasciando però ai singoli Stati la responsabilità di gestire gli immigrati che arrivano o approdano nel loro territorio. Poiché gli immigrati debbono registrarsi nel Paese di primo arrivo, ciò ha prodotto inevitabili effetti sperequativi tra i Paesi, penalizzando quelli più esposti (come il nostro) ai flussi migratori. Per aiutare gli Stati più esposti, nel 2005 fu istituita un'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), quindi rafforzata nel 2016 dopo la crisi migratoria dell'anno precedente (quando più di un milione di rifugiati siriani giunsero in Europa). Tuttavia, seppure rafforzata, Frontex rimane alle dipendenze dei governi nazionali, aiutandoli solamente se loro lo richiedono. Anzi, il regolamento del 2016 prevede una clausola (art. 19) secondo la quale, persino nel caso dell'evidente incapacità di un governo nazionale a gestire una crisi migratoria alle sue frontiere, Frontex potrà intervenire solamente «su proposta della Commissione europea e con l'approvazione del Consiglio dei ministri (europei)», dove siede anche il ministro del governo in questione. Eppure, l'incapacità di un governo nazionale a proteggere la propria frontiera mette in discussione l'intera area Schengen, in quanto gli immigrati che entrano in quel Paese potranno poi trasferirsi negli altri Paesi.
Così, l'Ue ha abolito le frontiere interne ai suoi Stati membri ma non può farsi carico (come Ue) del controllo delle frontiere esterne. Il risultato di questa incongruenza lo si è visto a Cutro, con il governo italiano che accusa “l'Europa” di non aiutarlo, nonostante quel governo sia guidato da nazionalisti che non vogliono che “l'Europa” ci aiuti, perché minaccerebbe la nostra sovranità territoriale.
È necessario rovesciare la logica di Dublino, affidando preminentemente all'Ue (e a Frontex) il controllo delle frontiere europee.
I governi nazionali dovrebbero invece assolvere un ruolo preminente nell'integrazione degli immigrati. Finalmente, il governo Meloni ha riconosciuto la necessità (con il decreto appena proposto) di regolare i flussi migratori, anche se Giorgia Meloni, quando era all'opposizione, criticò duramente il Patto mondiale sull'immigrazione delle Nazioni Unite del 2018 che impegnava i governi firmatari a fare esattamente ciò che il suo governo vuole fare oggi. La regolazione, però, non basta. In particolare, l'Italia, per ovviare al suo declino demografico, dovrebbe attrarre gli immigrati qualificati attraverso leggi che ne garantiscano i diritti sul lavoro e imprese e istituzioni che ne valorizzino le potenzialità.
Dovrebbe implementare politiche sociali ed economiche capaci di indirizzare gli immigrati nelle attività con carenze lavorative.
Dovrebbe accelerare il riconoscimento della cittadinanza agli immigrati che lavorano e pagano le tasse, dandola subito ai loro figli se sono nati e studiano da noi. Possibile che siamo l'unico Paese avanzato dove non c'è diversità, dal parlamento alla squadra nazionale di calcio?
In conclusione, se si vogliono evitare altri Cutro, occorre cambiare l'approccio alla politica migratoria. Meno ideologia e più concretezza.