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Il nostro futuro demografico

Written by Alessandro Rosina.

Articolo di Alessandro Rosina pubblicato da Il Sole 24 Ore.

La demografia italiana, un po’ come la costruzione della Torre di Pisa, via via che evolve nel corso di questo secolo rischia di andare verso uno sbilanciamento sempre meno sostenibile. Due soluzioni sono possibili. La prima impone la rinuncia di un percorso solido di crescita, con relativa condanna all’Italia del XXI a rimanere un progetto incompiuto.
La seconda, analogamente all’operazione fatta a su tempo con la Torre di Pisa, richiede di reimpostare il progetto di sviluppo del Paese seguendo una curvatura opposta alla pendenza. I punti dell’infrastruttura demografica da cui partire adottando questa seconda soluzione sono quelli delle generazioni di chi ha oggi tra i 45 e i 50 anni e di chi ha tra i 20 e i 25 anni.
La prima di queste due coorti avrà attorno ai 75 anni nel 2050. È con essa che l’Italia sposterà il baricentro della propria struttura demografica dal cuore dell’età attiva alla piena età anziana. Si tratta, quindi, del passaggio in cui maggiore è il rischio di tenuta del sistema sociale ed economico se non accompagnato da politiche ben mirate e incisive. A metà di questo secolo, quella di chi avrà 75 anni sarà l’età in valore assoluto più popolosa (830mila residenti secondo lo scenario mediano Istat, contro poco più di 500mila trentenni e circa 680mila cinquantenni). L’italiano tipo sarà, pertanto, un 75enne. Ma che tipo di 75enni avremo? La risposta dipenderà da come costruiranno il loro percorso di vita da qui al 2050 coloro che si trovano oggi al centro dell’età adulta. Questa generazione avrà la forza di trascinare l’Italia verso il basso oppure, al contrario, l’opportunità di far entrare in modo solido il Paese nella sua fase matura, mantenendo coesione e capacità di generare benessere.
Quello attorno ai 50 anni è anche uno snodo cruciale della vita delle persone, al quale ci si arriva con vari fronti aperti ed eventi inattesi da gestire. C’è la preoccupazione per i figli giovani-adulti che ancora non hanno consolidato il proprio percorso professionale e stanno affrontando i costi per un’autonomia abitativa e la formazione di una propria famiglia. Alto è anche il rischio di trovarsi con genitori anziani fragili con necessità di accudimento e assistenza. Sono in aumento le separazioni di coppia con lunga durata di unione, questo espone più che in passato all’evenienza di dover affrontare un cambiamento nel proprio percorso di vita, con non semplici implicazioni economiche e organizzative. Rispetto al passato è maggiore anche il rischio di perdere il lavoro quando la pensione è ancora lontana o comunque la necessità di adattarsi a un mondo del lavoro che cambia, ma in cui è richiesta anche una lunga vita attiva.
Le scelte che si compiono e gli strumenti che si hanno a disposizione in questo particolare snodo hanno ripercussioni rilevanti sulla qualità della vita dei singoli, con importanti ricadute anche verso le altre fasi della vita: su quella dei figli giovani-adulti e su quella dei genitori anziani. Questo snodo può diventare un punto di raccordo per lo sviluppo di una visione strategica e progettuale verso il futuro, nella proiezione in avanti verso quella che sarà la propria condizione quando si avrà l’età dei propri genitori anziani, ma anche con effetto indiretto sui propri figli giovani-adulti che fanno esperienza vicaria delle scelte a cui prepararsi nella piena fase adulta dei genitori.
Gli attuali cinquantenni e dintorni rappresentano, quindi, la fascia di mercato quantitativamente più interessante (tra i 45 e i 55 anni ci sono oltre 10 milioni di residenti), ma attraversano anche una fase di vita piena di sfide in cerca di risposte. Metterli nelle condizioni di affrontare bene tali sfide favorisce anche altre fasi della vita, oltre a rendere più solido lo spostamento del baricentro del Paese verso i 75 anni. Politiche pubbliche e prodotti privati devono però puntare sulla qualità e adottare come prospettiva il corso di vita, per essere davvero efficaci e generare risposte virtuose che dal singolo si riverberino verso il futuro e verso gli altri.
Si tratta di una generazione che può dare una spinta cruciale nel mettere in relazione positiva invecchiamento e sviluppo sostenibile. Il suo peso demografico può dare un impulso determinante alla silver ecology, ovvero a quella parte di consumi e investimenti che favoriscono la transizione verde e digitale, alimentano l’economia reale legata a occupazione di qualità per i giovani, in coerenza con gli obiettivi dell’Agenda 2030 (aggiornati al 2050). Vi rientrano anche le attività di impegno civico che aiutano a valorizzare cultura, ambiente e territorio, oltre alle pratiche di age management funzionali al trasferimento di esperienze e competenze tra generazioni.
Cogliere positivamente la sfida dell’invecchiamento non significa, però, solo ridurre costi sociali e valorizzare ricchezza ed esperienza del passato. È necessario anche rafforzare la capacità di creare nuova ricchezza e generare benessere. Ne consegue la necessità di intervenire anche sull’altra generazione chiave, quella oggi attorno ai 20-24 anni. Dal suo percorso formativo e professionale e dalle scelte di vita che realizzerà (o meno) dipenderà gran parte della capacità di sviluppo economico e della sostenibilità sociale fino a metà di questo secolo, quando gli squilibri demografici andranno maggiormente ad accentuarsi (in termini di rapporto tra anziani e popolazione in età attiva).
In questo cruciale tratto della storia del nostro Paese gli attuali ventenni vivranno la fase centrale della loro vita produttiva e riproduttiva. Tutto ciò che non funzionerà nel loro corso di vita (come limiti di partenza e come ostacoli nella piena valorizzazione del proprio capitale umano), si sentirà in modo diretto e accentuato come debolezza e fragilità del Paese. In termini quantitativi portano una riduzione di circa un terzo di potenziale forza lavoro rispetto a chi è attualmente nel pieno dell’età attiva. Senza un forte piano di investimento del Paese che, a partire dalle risorse di Next Generation Eu, vada a rafforzare la qualità della loro formazione, la qualità dei servizi delle politiche attive, la qualità del lavoro, la qualità dei servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia, il destino è quello di una generazione perdente in un’Italia in irreversibile declino. Assegnarle, al contrario, un ruolo da protagonista – facendo in modo che sia ben preparata e ben inclusa nei processi di sviluppo del Paese, sia sul versante maschile che femminile – oltre a migliorare la condizione di chi oggi è giovane, consente all’economia e al sistema di welfare di rimanere solidi nella delicata fase di traghettamento verso una società più matura (con popolazione anziana prevalente rispetto a quella in età da lavoro). Andare in questa direzione riduce anche la perdita di talenti verso l’estero e rende più attrattiva l’Italia all’immigrazione di qualità.
Questo significa, anche, che ciò che davvero serve non sono misure per singole categorie di età, ma in grado di mettere assieme fasi della vita e generazioni. Una prospettiva di fatto assente dal Pnrr, ma senza la quale – a differenza dell’operazione fatta con la Torre di Pisa – il Paese rischia di trovarsi con una debole base strutturale e con la linea del baricentro che cade fuori dall’area che garantisce il sostegno.
Il 2050 non è lontano e abbiamo, soprattutto, i piedi già dentro i processi che fanno la differenza su come ci arriveremo. Dobbiamo metterci però anche la testa. I margini per non subire lo scenario peggiore ci sono. Continua, però, a essere troppo debole la nostra lettura collettiva delle sfide che abbiamo davanti e troppo lenta la nostra capacità di adottare in modo compatto ed efficiente le risposte che servono.
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