Riforme istituzionali
Non mi piacciono gli atteggiamenti idolatrici nei confronti di Matteo Renzi, che pure ho votato, alle primarie, dopo aver scelto Bersani, la volta prima, essendomi via via convinto che, dopo il “flop”, per il PD, delle ultime politiche, fosse assolutamente necessario uno “scossone”. Del “premier” non condivido taluni atteggiamenti un poco “guasconeschi”, o, se vogliamo, da toscanaccio, e sono per un partito in qualche misura “plurale”, o comunque piuttosto inclusivo che non escludente. Sono stato abituato del resto, io, che sono di “quei tempi”, i tempi della DC moroteo-zaccagniniana e, al nord, marcorian-granelliana (mi riferisco a Giovanni Marcora e a Luigi Granelli, noti, splendidi esponenti della sinistra DC milanese), all’idea che la politica fosse anche, se non soprattutto, “mediazione”.
Pur se, certo, una mediazione che fosse tale da non impedire, alla fine, il momento della “decisione”. Capisco allora talune impazienze, anche se non ne giustifico le intemperanze, della “minoranza” del partito. Della quale, pur venendo io stesso da quella parte, in qualche misura, non condivido però affatto, con riferimento alle vicende ultimissime (ed è queste il tema che voglio qui trattare), la programmata guerra “contro” la riforma costituzionale del Senato. C’est à dire: io sono personalmente convinto, e da tempo, che va superato il “bicameralismo perfetto”, previsto dai ‘Costituenti’, pur tra contrasti interni, nei tempi dell’immediato ‘post-fascismo’.
Pur se, certo, una mediazione che fosse tale da non impedire, alla fine, il momento della “decisione”. Capisco allora talune impazienze, anche se non ne giustifico le intemperanze, della “minoranza” del partito. Della quale, pur venendo io stesso da quella parte, in qualche misura, non condivido però affatto, con riferimento alle vicende ultimissime (ed è queste il tema che voglio qui trattare), la programmata guerra “contro” la riforma costituzionale del Senato. C’est à dire: io sono personalmente convinto, e da tempo, che va superato il “bicameralismo perfetto”, previsto dai ‘Costituenti’, pur tra contrasti interni, nei tempi dell’immediato ‘post-fascismo’.
Va da sé che, tutt’oggi, emeriti costituzionalisti, quelli che confortano, mi pare, gli stessi, citati dissidenti Pd, ci vengono ad illustrarci con dotte esposizioni il “vulnus” che la riforma in questione produrrebbe nel sistema politico-istituzionale. Io sono invece del tutto persuaso che:
- l’attuale “bicameralismo perfetto” non ha più senso. E non soltanto perché la società del duemila, in continua evoluzione, ha bisogno di decisioni celeri, anche sul piano istituzionale;
- se questo sistema va cambiato, lo si deve fare seriamente, non per finta. L’impressione, allora, è che mentre la proposta Renzi è, in qualche misura, davvero rivoluzionaria, quella dei “contrari”, quella dei cinquecentomila emendamenti, punta in realtà a mantenere sostanzialmente ed "interessaramente" lo “status quo”, pur ovviamente ridipengendolo con colori diversi. Uno status quo che, dunque, piace a moltissimi oppositori di Renzi, di destra, di sinistra, di centro.
Voglio dire: “rivoluzionario” è davvero prevedere, innanzitutto, un Senato ridotto da 325 a 95 membri (più alcune “eccellenze”), eletti in secondo grado (e che pertanto hanno comunque avuto una precedente sanzione “popolare”), e che dunque non “costeranno”, oltretutto, alcunché, al “sistema”, se non l’indennità dell’istituzione d’origine, già da sempre… prevista a bilancio, ovviamente. Il nuovo Senato sarà, pertanto, qualche misura, “gratis” (e spero che ci capiamo, in argomento), fatto non del tutto secondario (detto da uno che san ben distinguere la differenza tra costi "della politica" e costi della "democrazia").
Dopo di che, io non voglio entrare nella “discussion” sulle modalità di elezione del nuovo Senato, se non per dire che personalmente trovo insopportabili i proclama sull’assoluta esigenza (non difficile da sostenere, con un pizzico di demagogia) dell’elezione “diretta”, che in realtà tende a mantenere un bicameralismo non troppo dissimile dall’attuale, pur se con un numero ridotto di componenti dell’assemblea. E m’inibisco, qui, dal commentare la storia degli “sfaceli” dell’esperienza italiana sul sistema delle “preferenze”, così invocato dagli “oppositors”. Il Senato “delle autonomie”, in realtà, ha da essere un’altra cosa, rispetto a ciò che è oggi la seconda Camera, e pertanto diventa problematico confrontarsi sulle “competenze” con chi vuole, alla fine, riconfermare invece sostanzialmente o quasi il suo ruolo attuale, No: il Senato non ha da essere una sorta di “bis", pur abbellito, della Camera. Anche se, certo, personalmente non ignoro il problema della necessità di coordinare razionalmente, diciamo così, il sistema elettorale dell’una e dell’altra istituzione. Bene, dunque (bene! ribadisco) che il nuovo Senato rappresenti le “autonomie locali”, e che sia allora composto (non ho approfondito nei dettagli il relativo “meccanismo”, rispetto al quale, ovviamente, le discussioni potrebbero essere infinite) da consiglieri regionali e da sindaci. E che si proponga l’obiettivo di risolvere possibilmente all’origine i conflitti, storicamente infiniti e deleteri, nella storia d’Italia, tra Stato e autonomie locali.
Fermo restando che trovo un pizzico ridicola, detto senza offesa, l’obiezione di chi si chiede come faranno consiglieri e sindaci a reggere contestualmente (in ogni caso con un solo stipendio, sia chiaro) i due ruoli. Io ritengo che lo si possa serenamente fare, se abbiamo compreso qual è la funzione del “nuovo” Senato.
Sono infine convinto, mi permetto di dirlo agli amici della "sinistra", che una campagna giocata sulla "sacralità" del Senato e sul valore "incommensurabile" della libera (di fa per dire) scelta del candidato non avrebbe effetti significativi, oggi, sull'elettorato. E che una sconfitta di Renzi sul tema rappresenterebbe la premessa per una sua successiva vittoria "debordante".
Un evento che neppure io auspico, se avete ben compreso il mio pensiero.