Siamo disabituati a lottare per la libertà
Intervista della Stampa a Roberto Vecchioni.
Roberto Vecchioni e sua moglie Daria Colombo non hanno avuto un solo istante di esitazione e hanno aderito alla sottoscrizione della Stampa per salvare Fahimeh anche con una sorta di sollievo: quello di chi vede che qualcosa si muove.
Vecchioni, ormai si sono superate le 20 mila firme: una vera mobilitazione.
«Ed è straordinaria tanto che l’avrei indetta io questa cosa se ne avessi avuto la forza o la forza di un grande giornale come il vostro perché è una delle cose più orribili che stanno succedendo in questo momento. Siamo presi dall’Ucraina e la Russia ma questo affronto è enorme e non si può sopportare. E’ un affronto all’essere umano e all’umanesimo. Mi piacerebbe che le firme diventassero centomila o due milioni ma, purtroppo, non ci sono così tanti grandi artisti».
Parecchi attori e cantanti oltre a politici e uomini di cultura si stanno muovendo per sostenere la lotta di chi dissente dal regime iraniano. Cosa ha fatto scattare questo sentire comune secondo lei?
«Secondo me la mobilitazione è avvenuta per il coraggio di quei ragazzi e le tante donne che si sono mosse per andare contro chi le opprime. Fuori da ogni schema, con la convinzione di poter perdere, morire, finire. Per loro è più importante far sentire la propria voce piuttosto che pensare alla loro vita e questo è incredibile. Noi non siamo più abituati, da tempo, a lottare per qualcosa, per la libertà di vivere la gioia di vivere. Quello che conta è vivere liberi e loro ce lo hanno fatta sentire».
Cosa serve ancora per smuovere le coscienze?
«Ci vuole qualcosa che conti e abbia la voce e la potenza per far da cassa di risonanza, perché se lo fai per le strade con dei volantini o una piccola televisione non succede a nulla in quanto la gente è distratta da tante cose. Invece, se succede grazie a un grande organo di stampa che chiede firme, le raccoglie e le mette in prima pagina allora davvero la gente si accorge che c’è qualcosa che non va. Siamo circondati dalle notizie brutte ma ci pensiamo un’ora al giorno e invece dovremmo avere questi pensieri durante tutta la giornata».
Lei li ha?
«Io li ho e sono felice di averli. Devo sempre pensare che l’uomo sia la cosa più grande che esista e debba essere preservato insieme alla sua capacità di mostrarsi come un essere umano nei confronti dell’altro. Questi pensieri vengono in generale quando siamo vicini al Natale ma invece dovremmo pensarci tutto l’anno. Nella nostra vita di tutti i giorni dovremmo sentire queste sofferenze perché in Europa stiamo, tutto sommato, abbastanza bene e nemmeno immaginiamo le sofferenze che certi popoli devono subire».
I social sono per gli iraniani un veicolo importante per diffondere le loro proteste, ma pensa che i media stiano aiutando al meglio la causa?
«Penso che dovrebbero fare di più. Penso, giusto per fare un esempio che mi sovviene mentre le parlo, che oltre agli inserti pubblicitari che vediamo durante le partire di questo mondiale sarebbe giusto che gli organizzatori inserissero ogni tanto delle finestre con immagini di ciò che accadde in Iran. Allora sì che apriremmo la mente a più persone e smuoveremmo molte coscienze».
Roberto Vecchioni e sua moglie Daria Colombo non hanno avuto un solo istante di esitazione e hanno aderito alla sottoscrizione della Stampa per salvare Fahimeh anche con una sorta di sollievo: quello di chi vede che qualcosa si muove.
Vecchioni, ormai si sono superate le 20 mila firme: una vera mobilitazione.
«Ed è straordinaria tanto che l’avrei indetta io questa cosa se ne avessi avuto la forza o la forza di un grande giornale come il vostro perché è una delle cose più orribili che stanno succedendo in questo momento. Siamo presi dall’Ucraina e la Russia ma questo affronto è enorme e non si può sopportare. E’ un affronto all’essere umano e all’umanesimo. Mi piacerebbe che le firme diventassero centomila o due milioni ma, purtroppo, non ci sono così tanti grandi artisti».
Parecchi attori e cantanti oltre a politici e uomini di cultura si stanno muovendo per sostenere la lotta di chi dissente dal regime iraniano. Cosa ha fatto scattare questo sentire comune secondo lei?
«Secondo me la mobilitazione è avvenuta per il coraggio di quei ragazzi e le tante donne che si sono mosse per andare contro chi le opprime. Fuori da ogni schema, con la convinzione di poter perdere, morire, finire. Per loro è più importante far sentire la propria voce piuttosto che pensare alla loro vita e questo è incredibile. Noi non siamo più abituati, da tempo, a lottare per qualcosa, per la libertà di vivere la gioia di vivere. Quello che conta è vivere liberi e loro ce lo hanno fatta sentire».
Cosa serve ancora per smuovere le coscienze?
«Ci vuole qualcosa che conti e abbia la voce e la potenza per far da cassa di risonanza, perché se lo fai per le strade con dei volantini o una piccola televisione non succede a nulla in quanto la gente è distratta da tante cose. Invece, se succede grazie a un grande organo di stampa che chiede firme, le raccoglie e le mette in prima pagina allora davvero la gente si accorge che c’è qualcosa che non va. Siamo circondati dalle notizie brutte ma ci pensiamo un’ora al giorno e invece dovremmo avere questi pensieri durante tutta la giornata».
Lei li ha?
«Io li ho e sono felice di averli. Devo sempre pensare che l’uomo sia la cosa più grande che esista e debba essere preservato insieme alla sua capacità di mostrarsi come un essere umano nei confronti dell’altro. Questi pensieri vengono in generale quando siamo vicini al Natale ma invece dovremmo pensarci tutto l’anno. Nella nostra vita di tutti i giorni dovremmo sentire queste sofferenze perché in Europa stiamo, tutto sommato, abbastanza bene e nemmeno immaginiamo le sofferenze che certi popoli devono subire».
I social sono per gli iraniani un veicolo importante per diffondere le loro proteste, ma pensa che i media stiano aiutando al meglio la causa?
«Penso che dovrebbero fare di più. Penso, giusto per fare un esempio che mi sovviene mentre le parlo, che oltre agli inserti pubblicitari che vediamo durante le partire di questo mondiale sarebbe giusto che gli organizzatori inserissero ogni tanto delle finestre con immagini di ciò che accadde in Iran. Allora sì che apriremmo la mente a più persone e smuoveremmo molte coscienze».