Gli asset intangibili di chi presidia l’ultimo miglio
Articolo di Aldo Bonomi pubblicato da Il Sole 24 ore.
Nel presentismo non teniamo memoria. Eppure sarebbe utile per capire ciò che verrà nei lavori e nelle imprese.
Chi si ricorda degli antichi distributori di ghiaccio o carbone oggi distributori nell’ultimo miglio di bevande nella filiera iper moderna che alimenta hotel, ristoranti sino alla casa. Sono quelli dell’ultimo miglio della logistica, preziosi e visibili durante la pandemia e anche in estate subissati di richieste per l’acqua gasata che scarseggiava durante la siccità e la crisi energetica per noi ormai abituati anche nel bere alle brioche.
Per il carbone abbiamo riattivato le centrali e si guarda al prezzo in salita di legna e pellet per stufe e camini.
Ricordiamocelo nello scomporre e ricomporre un settore nebuloso come la logistica e le forme di impresa e lavori nell’ultimo miglio. Parliamo di un settore pesantemente toccato dagli effetti della pandemia sia nella congiuntura delle chiusure prolungate che ha fatto selezione, ma soprattutto nell’accelerazione in chiave digitale dei rapporti di filiera che risalgono dai consumatori ai produttori, passando dal nodo nevralgico della distribuzione.
Lo abbiamo visto con chiarezza nel lockdown quando gli approvvigionamenti domestici erano affidati agli algoritmi e al presidio dell’ultimo miglio da parte di migliaia di rider, con tutte le fibrillazioni che hanno caratterizzato il ritorno di forme dei lavori ottocentesche. Le accelerazioni della pandemia non hanno riguardato solo la punta del capitalismo delle piattaforme digitali, ma hanno toccato anche l’evoluzione del capitalismo molecolare delle piccole imprese di distribuzione nate in parte dall’esternalizzazione delle funzioni di consegna delle bevande, in parte dall’evoluzione degli antichi distributori di ghiaccio o carbone.
Sotto stress il comparto ha compiuto una metamorfosi per riuscire a padroneggiare mercati sempre più turbolenti.
Parliamo di un parco aziende a prevalente conduzione famigliare giunte quasi tutte alla seconda o terza generazione, che ha saputo attraversare la lunga fase selettiva fattasi feroce nel post-2008, aggregando e acquisendo micro imprese per prossimità territoriale grazie alla capacità di interpretare una funzione di distribuzione intelligente all’interno di filiere distributive in cui la conoscenza dei comportamenti di consumo, in casa e fuori casa è diventata primaria rispetto al rapporto con i grandi produttori di bevande multinazionali.
Si sono consorziati (Consorzio distributori alimentari) per contrattare i prezzi delle forniture con i colossi della produzione, il che ha visto nel tempo aumentare la richiesta di servizi e saperi finalizzati al presidio dell’ultimo miglio, ovvero quello che si snoda dal capannone alla clientela Ho.re.ca. che presenta caratteristiche territoriali diversificate a seconda delle vocazioni economiche, delle caratteristiche logistiche, della dimensione urbana, della composizione sociale dei quartieri, sino alle piattaforme dei turismi. I distributori, con la loro flessibilità e con la conoscenza granulare dei territori, rivestono quindi una funzione strategica all’interno della filiera, molto poco valorizzata dai colossi della produzione che mantengono una visione del territorio ancorata alle categorie astratte del marketing, basata sullo stretto rapporto con la rete formata da migliaia di piccoli operatori della ristorazione, dell’accoglienza turistica o del catering.
È in atto la metamorfosi di un attore economico che non può più essere considerato un semplice intermediario di merci, bensì una moderna azienda distributiva che fa del patrimonio degli asset intangibili una leva centrale della formula competitiva, incorporando saperi terziari sofisticati, in cui cominciano a fare capolino figure interne capaci di utilizzare il dato digitale al servizio del governo delle relazioni aziendali territorializzate nelle piattaforme turistiche, nelle filiere agroalimentari di qualità, nella distribuzione urbana smart, in cui comincia a fare breccia la responsabilità di agire per la conversione in senso sostenibile della filiera.
Questa evoluzione del ruolo dei distributori presuppone l’assunzione di una coscienza di impresa e territorio in cui le imprese sono chiamate a investire oltre le mura dell’impresa, ovvero a partecipare alla costruzione sociale dei territori di insediamento per renderli più competitivi e coesi, ad assumere il ruolo di coscientizzatori delle filiere, compresa la parte a monte dei produttori, in alleanza con le reti che presidiano l’ultimo miglio nel rapporto con il cliente finale.
È questione di fare della ragnatela del valore economico un dispositivo di allargamento a valori sociali e ambientali. Piccoli segnali da microcosmo che segnalano che anche nei terminali ultimi della logistica che raccontiamo in bicicletta e in camioncini sotto stress, ci sono imprese che negoziano il loro ruolo con i grandi e hanno chiaro che il loro stare sull’ultimo miglio e con la qualità del lavoro è un capitale sociale e territoriale da alimentare.
Nel presentismo non teniamo memoria. Eppure sarebbe utile per capire ciò che verrà nei lavori e nelle imprese.
Chi si ricorda degli antichi distributori di ghiaccio o carbone oggi distributori nell’ultimo miglio di bevande nella filiera iper moderna che alimenta hotel, ristoranti sino alla casa. Sono quelli dell’ultimo miglio della logistica, preziosi e visibili durante la pandemia e anche in estate subissati di richieste per l’acqua gasata che scarseggiava durante la siccità e la crisi energetica per noi ormai abituati anche nel bere alle brioche.
Per il carbone abbiamo riattivato le centrali e si guarda al prezzo in salita di legna e pellet per stufe e camini.
Ricordiamocelo nello scomporre e ricomporre un settore nebuloso come la logistica e le forme di impresa e lavori nell’ultimo miglio. Parliamo di un settore pesantemente toccato dagli effetti della pandemia sia nella congiuntura delle chiusure prolungate che ha fatto selezione, ma soprattutto nell’accelerazione in chiave digitale dei rapporti di filiera che risalgono dai consumatori ai produttori, passando dal nodo nevralgico della distribuzione.
Lo abbiamo visto con chiarezza nel lockdown quando gli approvvigionamenti domestici erano affidati agli algoritmi e al presidio dell’ultimo miglio da parte di migliaia di rider, con tutte le fibrillazioni che hanno caratterizzato il ritorno di forme dei lavori ottocentesche. Le accelerazioni della pandemia non hanno riguardato solo la punta del capitalismo delle piattaforme digitali, ma hanno toccato anche l’evoluzione del capitalismo molecolare delle piccole imprese di distribuzione nate in parte dall’esternalizzazione delle funzioni di consegna delle bevande, in parte dall’evoluzione degli antichi distributori di ghiaccio o carbone.
Sotto stress il comparto ha compiuto una metamorfosi per riuscire a padroneggiare mercati sempre più turbolenti.
Parliamo di un parco aziende a prevalente conduzione famigliare giunte quasi tutte alla seconda o terza generazione, che ha saputo attraversare la lunga fase selettiva fattasi feroce nel post-2008, aggregando e acquisendo micro imprese per prossimità territoriale grazie alla capacità di interpretare una funzione di distribuzione intelligente all’interno di filiere distributive in cui la conoscenza dei comportamenti di consumo, in casa e fuori casa è diventata primaria rispetto al rapporto con i grandi produttori di bevande multinazionali.
Si sono consorziati (Consorzio distributori alimentari) per contrattare i prezzi delle forniture con i colossi della produzione, il che ha visto nel tempo aumentare la richiesta di servizi e saperi finalizzati al presidio dell’ultimo miglio, ovvero quello che si snoda dal capannone alla clientela Ho.re.ca. che presenta caratteristiche territoriali diversificate a seconda delle vocazioni economiche, delle caratteristiche logistiche, della dimensione urbana, della composizione sociale dei quartieri, sino alle piattaforme dei turismi. I distributori, con la loro flessibilità e con la conoscenza granulare dei territori, rivestono quindi una funzione strategica all’interno della filiera, molto poco valorizzata dai colossi della produzione che mantengono una visione del territorio ancorata alle categorie astratte del marketing, basata sullo stretto rapporto con la rete formata da migliaia di piccoli operatori della ristorazione, dell’accoglienza turistica o del catering.
È in atto la metamorfosi di un attore economico che non può più essere considerato un semplice intermediario di merci, bensì una moderna azienda distributiva che fa del patrimonio degli asset intangibili una leva centrale della formula competitiva, incorporando saperi terziari sofisticati, in cui cominciano a fare capolino figure interne capaci di utilizzare il dato digitale al servizio del governo delle relazioni aziendali territorializzate nelle piattaforme turistiche, nelle filiere agroalimentari di qualità, nella distribuzione urbana smart, in cui comincia a fare breccia la responsabilità di agire per la conversione in senso sostenibile della filiera.
Questa evoluzione del ruolo dei distributori presuppone l’assunzione di una coscienza di impresa e territorio in cui le imprese sono chiamate a investire oltre le mura dell’impresa, ovvero a partecipare alla costruzione sociale dei territori di insediamento per renderli più competitivi e coesi, ad assumere il ruolo di coscientizzatori delle filiere, compresa la parte a monte dei produttori, in alleanza con le reti che presidiano l’ultimo miglio nel rapporto con il cliente finale.
È questione di fare della ragnatela del valore economico un dispositivo di allargamento a valori sociali e ambientali. Piccoli segnali da microcosmo che segnalano che anche nei terminali ultimi della logistica che raccontiamo in bicicletta e in camioncini sotto stress, ci sono imprese che negoziano il loro ruolo con i grandi e hanno chiaro che il loro stare sull’ultimo miglio e con la qualità del lavoro è un capitale sociale e territoriale da alimentare.