Verso una nuova dimensione mondiale dei rapporti tra Stati
Intervento di Marina Sereni agli incontri Riformisti 2021 (video).
Ringrazio gli organizzatori dell’incontro, in particolar modo Erminio Quartiani, per l’invito a questo evento a cui, purtroppo, non posso partecipare in presenza.
La domanda che abbiamo davanti è ambiziosa: dove sta andando il mondo? Verso quali dinamiche sembra indirizzarsi il sistema internazionale?
Parlare del futuro è sempre difficile ma questa volta lo è particolarmente, perché viviamo in un tempo caratterizzato da due aspetti: la complessità e l’incertezza.
La complessità è figlia di tante madri, della globalizzazione, della rapida innovazione tecnologica, delle sfide transnazionali che stiamo affrontando, a partire dal cambiamento climatico. Ognuna di queste ha aumentato le interconnessioni tra gli Stati e i fattori che contribuiscono al corso degli eventi.
Il secondo aspetto, l’incertezza, è in buona parte figlia della complessità ma non solo. Ci confrontiamo quotidianamente con l’incertezza poiché l’ordine e le regole che hanno contraddistinto il sistema internazionale degli ultimi 30 anni sono state messe in discussione.
Vorrei affrontare il tema dell’incontro di oggi da due punti di vista diversi. Il primo è relativo alla direzione verso cui il mondo sta andando mentre il secondo riguarda gli obiettivi che dovremmo prefiggerci.
In quale direzione va il mondo?
Una mano a riflettere sulla direzione intrapresa può darcela il covid. La pandemia, infatti, ha avuto due effetti, sul funzionamento del sistema internazionale: da un lato ha accelerato delle dinamiche e delle criticità che erano già in atto, mettendole in risalto; dall’altro lato ha favorito l’emergere di nuove tendenze che potrebbero fermarsi nei prossimi anni.
Riguardo al primo aspetto, la crisi pandemia ha acuito la competizione internazionale, che già da alcuni anni aveva fatto arretrare la cooperazione multilaterale su cui si basava l’ordine internazionale post-guerra fredda. L’esempio più evidente è il confronto tra Stati Uniti e Cina, inasprito dal covid ma già avviato da tempo, fino a diventare un elemento strutturale del nuovo sistema internazionale.
Alla competizione tra Pechino e Washington si aggiungono poi altre fratture politiche, ampliate dal virus. Si pensi alla distanza tra la Comunità Euro-Atlantica e la Russia, alla contrapposizione tra democrazie e autocrazie, oppure alle divergenze a cui abbiamo assistito pochi giorni fa alla Conferenza sul Clima di Glasgow.
Questa analisi ci farebbe propendere verso l’idea di un mondo in competizione senza cooperazione; un mondo multipolare nel quale il ruolo del multilateralismo arretra di fronte al ritorno della politica di potenza.
Sarebbe, tuttavia, un’analisi incompleta, che ignora altre dinamiche provocate dalla pandemia. Mi riferisco, ad esempio, alla straordinaria collaborazione scientifica internazionale, che ha permesso di sviluppare diversi vaccini in meno di un anno, e ai passi avanti senza precedenti fatti dall’Unione Europea per rispondere alla pandemia, come testimonia il lancio del Next Generation EU, che rappresenta una grande opportunità di cambiamento tanto per l’Europa quanto per l’Italia.
A quale manifestazione dovremmo guardare, quindi, per intuire l’avvenire dei rapporti tra Stati evidentemente in bilico tra cooperazione e competizione?
Una risposta netta a questa domanda non esiste: stiamo, infatti, assistendo ad una fase di mutamento, composta da molteplici transizioni in corso. Il risultato di ognuna di esse contribuirà a spostare i rapporti tra gli Stati, verso una natura più competitiva o più cooperativa.
L’incertezza che ci si presenta davanti non deve renderci spettatori inermi. L’indeterminatezza di chi vive il mutamento è in realtà una chiamata all’azione rivolta ad influenzare il risultato finale, attraverso il contributo delle proprie idee e iniziative.
L’inazione dell’Italia o dell’Europa rischierebbe di far arretrare ulteriormente il multilateralismo.
Vediamo, quindi, verso quale direzione dovrebbe andare il mondo.
Per agire, infatti, bisogna chiedersi verso quale direzione vogliamo mandare il mondo.
Anche da questa prospettiva, la pandemia ci ha dato delle lezioni da tenere in mente.
La competizione europea e mondiale che si è scatenata nei primi mesi della crisi, ha mostrato tutti i limiti e le inefficienze dell’assenza di cooperazione. La battaglia per le mascherine non ha avvantaggiato nessun Paese o cittadino europeo. Da un’Europa impaurita e divisa ha tratto beneficio solo la propaganda di alcuni Paesi autoritari, attenti a sfruttare qualsiasi incertezza dei modelli democratici per sostenere la superiorità del loro regime e la difesa dei loro interessi. Dopo le prime incertezze, per fortuna, l’Unione Europea e i suoi Stati membri hanno saputo reagire costruendo un fronte comune e lanciando risposte concrete alle conseguenze della pandemia.
Oggi, pur con il rischio di una quarta ondata, l’Europa si presenta come la regione con il più alto tasso di vaccinati al mondo e con maggiori strumenti economici per far fronte alle implicazioni economiche, sociali e sanitarie.
Ovviamente, c’è ancora molto da fare per scongiurare una crescita delle vittime, soprattutto in alcuni Paesi, ma non c’è dubbio che, se ogni Stato europeo avesse affrontato la crisi da solo, i numeri dei morti e della ripresa apparirebbero oggi ben diversi.
Il caso europeo non è un esperimento isolato. L’esempio di cooperazione multilaterale che siamo riusciti ad attuare, anche con difficoltà, è un insegnamento per tutte le altre sfide globali.
In altre parole, l’interdipendenza ha reso la cooperazione un interesse comune, che necessita però di essere coltivato e perseguito. Cooperare, di fronte ad inedite sfide globali, significa dialogare, agire e costruire compromessi. In un mondo ricco di divisioni, si tratta di attività faticose, che richiedono un delicato equilibrio tra pazienza e fermezza, tra realismo e lungimiranza. Un esempio ci viene dai parziali ma importanti accordi raggiunti a Glasgow, tra cui l’ultimo annunciato tra Cina e Stati Uniti.
Mi verrebbe da dire che, oggi più che mai, è necessaria la politica. Quella politica, come sosteneva anche Giuseppe Dossetti, che abbia una grande capacità di ascoltare e la volontà di comprendere le complessità del mondo.
Alla politica multilaterale spetta il compito di trovare soluzioni, talvolta anche imperfette, ma in grado di scongiurare risultati indesiderabili per la maggioranza della comunità internazionale.
Ai singoli Paesi tocca invece di promuovere i propri interessi nazionali, coltivando però la consapevolezza di condividere lo stesso unico Pianeta.
Proprio con questa consapevolezza che l’Italia ha condotto la Presidenza del G20 e la co-presidenza della COP26 insieme al Regno Unito e, con la stessa attenzione e gli stessi sforzi, il nostro Paese condurrà la Presidenza del Consiglio d’Europa, assunta da pochi giorni.
Tutti questi impegni, insieme a quelli futuri (nel 2024 assumeremo la Presidenza del G7), confermano il pieno sostegno e l’impegno che l’Italia riserva al multilateralismo.
In questi mesi abbiamo lavorato per portare il mondo fuori dalla pandemia e per assicurare un futuro.
È un lavoro che ovviamente non si esaurisce qui e che dovrà continuare con ancora maggiore impegno nei prossimi anni.
Molti si chiedono oggi criticamente quale sia il valore aggiunto della cooperazione internazionale e quali siano i suoi risultati.
La domanda che dovremmo porci, dovrebbe forse essere un’altra: cosa succederebbe nel mondo se non vi fosse cooperazione internazionale? A quale futuro andremmo incontro?
Le risposte potrebbero essere tante e sicuramente alcune emergeranno nei lavori del seminario.
In conclusione, mi permetto di formularne una: senza cooperazione ci scopriremmo tutti più fragili e meno liberi. La competizione, soprattutto quella che degenera in conflitti senza regole, non offre maggiori spazi di libertà: anzi, persino l’apparente libertà del più forte si rivela spesso temporanea e deleteria per la sostenibilità dell’intero sistema.
La libertà degli Stati, come degli individui, si nutre piuttosto della certezza delle regole, dell’uguaglianza e del confronto pacifico. Non dobbiamo mai dimenticarlo.
Video dell’intervento»
Ringrazio gli organizzatori dell’incontro, in particolar modo Erminio Quartiani, per l’invito a questo evento a cui, purtroppo, non posso partecipare in presenza.
La domanda che abbiamo davanti è ambiziosa: dove sta andando il mondo? Verso quali dinamiche sembra indirizzarsi il sistema internazionale?
Parlare del futuro è sempre difficile ma questa volta lo è particolarmente, perché viviamo in un tempo caratterizzato da due aspetti: la complessità e l’incertezza.
La complessità è figlia di tante madri, della globalizzazione, della rapida innovazione tecnologica, delle sfide transnazionali che stiamo affrontando, a partire dal cambiamento climatico. Ognuna di queste ha aumentato le interconnessioni tra gli Stati e i fattori che contribuiscono al corso degli eventi.
Il secondo aspetto, l’incertezza, è in buona parte figlia della complessità ma non solo. Ci confrontiamo quotidianamente con l’incertezza poiché l’ordine e le regole che hanno contraddistinto il sistema internazionale degli ultimi 30 anni sono state messe in discussione.
Vorrei affrontare il tema dell’incontro di oggi da due punti di vista diversi. Il primo è relativo alla direzione verso cui il mondo sta andando mentre il secondo riguarda gli obiettivi che dovremmo prefiggerci.
In quale direzione va il mondo?
Una mano a riflettere sulla direzione intrapresa può darcela il covid. La pandemia, infatti, ha avuto due effetti, sul funzionamento del sistema internazionale: da un lato ha accelerato delle dinamiche e delle criticità che erano già in atto, mettendole in risalto; dall’altro lato ha favorito l’emergere di nuove tendenze che potrebbero fermarsi nei prossimi anni.
Riguardo al primo aspetto, la crisi pandemia ha acuito la competizione internazionale, che già da alcuni anni aveva fatto arretrare la cooperazione multilaterale su cui si basava l’ordine internazionale post-guerra fredda. L’esempio più evidente è il confronto tra Stati Uniti e Cina, inasprito dal covid ma già avviato da tempo, fino a diventare un elemento strutturale del nuovo sistema internazionale.
Alla competizione tra Pechino e Washington si aggiungono poi altre fratture politiche, ampliate dal virus. Si pensi alla distanza tra la Comunità Euro-Atlantica e la Russia, alla contrapposizione tra democrazie e autocrazie, oppure alle divergenze a cui abbiamo assistito pochi giorni fa alla Conferenza sul Clima di Glasgow.
Questa analisi ci farebbe propendere verso l’idea di un mondo in competizione senza cooperazione; un mondo multipolare nel quale il ruolo del multilateralismo arretra di fronte al ritorno della politica di potenza.
Sarebbe, tuttavia, un’analisi incompleta, che ignora altre dinamiche provocate dalla pandemia. Mi riferisco, ad esempio, alla straordinaria collaborazione scientifica internazionale, che ha permesso di sviluppare diversi vaccini in meno di un anno, e ai passi avanti senza precedenti fatti dall’Unione Europea per rispondere alla pandemia, come testimonia il lancio del Next Generation EU, che rappresenta una grande opportunità di cambiamento tanto per l’Europa quanto per l’Italia.
A quale manifestazione dovremmo guardare, quindi, per intuire l’avvenire dei rapporti tra Stati evidentemente in bilico tra cooperazione e competizione?
Una risposta netta a questa domanda non esiste: stiamo, infatti, assistendo ad una fase di mutamento, composta da molteplici transizioni in corso. Il risultato di ognuna di esse contribuirà a spostare i rapporti tra gli Stati, verso una natura più competitiva o più cooperativa.
L’incertezza che ci si presenta davanti non deve renderci spettatori inermi. L’indeterminatezza di chi vive il mutamento è in realtà una chiamata all’azione rivolta ad influenzare il risultato finale, attraverso il contributo delle proprie idee e iniziative.
L’inazione dell’Italia o dell’Europa rischierebbe di far arretrare ulteriormente il multilateralismo.
Vediamo, quindi, verso quale direzione dovrebbe andare il mondo.
Per agire, infatti, bisogna chiedersi verso quale direzione vogliamo mandare il mondo.
Anche da questa prospettiva, la pandemia ci ha dato delle lezioni da tenere in mente.
La competizione europea e mondiale che si è scatenata nei primi mesi della crisi, ha mostrato tutti i limiti e le inefficienze dell’assenza di cooperazione. La battaglia per le mascherine non ha avvantaggiato nessun Paese o cittadino europeo. Da un’Europa impaurita e divisa ha tratto beneficio solo la propaganda di alcuni Paesi autoritari, attenti a sfruttare qualsiasi incertezza dei modelli democratici per sostenere la superiorità del loro regime e la difesa dei loro interessi. Dopo le prime incertezze, per fortuna, l’Unione Europea e i suoi Stati membri hanno saputo reagire costruendo un fronte comune e lanciando risposte concrete alle conseguenze della pandemia.
Oggi, pur con il rischio di una quarta ondata, l’Europa si presenta come la regione con il più alto tasso di vaccinati al mondo e con maggiori strumenti economici per far fronte alle implicazioni economiche, sociali e sanitarie.
Ovviamente, c’è ancora molto da fare per scongiurare una crescita delle vittime, soprattutto in alcuni Paesi, ma non c’è dubbio che, se ogni Stato europeo avesse affrontato la crisi da solo, i numeri dei morti e della ripresa apparirebbero oggi ben diversi.
Il caso europeo non è un esperimento isolato. L’esempio di cooperazione multilaterale che siamo riusciti ad attuare, anche con difficoltà, è un insegnamento per tutte le altre sfide globali.
In altre parole, l’interdipendenza ha reso la cooperazione un interesse comune, che necessita però di essere coltivato e perseguito. Cooperare, di fronte ad inedite sfide globali, significa dialogare, agire e costruire compromessi. In un mondo ricco di divisioni, si tratta di attività faticose, che richiedono un delicato equilibrio tra pazienza e fermezza, tra realismo e lungimiranza. Un esempio ci viene dai parziali ma importanti accordi raggiunti a Glasgow, tra cui l’ultimo annunciato tra Cina e Stati Uniti.
Mi verrebbe da dire che, oggi più che mai, è necessaria la politica. Quella politica, come sosteneva anche Giuseppe Dossetti, che abbia una grande capacità di ascoltare e la volontà di comprendere le complessità del mondo.
Alla politica multilaterale spetta il compito di trovare soluzioni, talvolta anche imperfette, ma in grado di scongiurare risultati indesiderabili per la maggioranza della comunità internazionale.
Ai singoli Paesi tocca invece di promuovere i propri interessi nazionali, coltivando però la consapevolezza di condividere lo stesso unico Pianeta.
Proprio con questa consapevolezza che l’Italia ha condotto la Presidenza del G20 e la co-presidenza della COP26 insieme al Regno Unito e, con la stessa attenzione e gli stessi sforzi, il nostro Paese condurrà la Presidenza del Consiglio d’Europa, assunta da pochi giorni.
Tutti questi impegni, insieme a quelli futuri (nel 2024 assumeremo la Presidenza del G7), confermano il pieno sostegno e l’impegno che l’Italia riserva al multilateralismo.
In questi mesi abbiamo lavorato per portare il mondo fuori dalla pandemia e per assicurare un futuro.
È un lavoro che ovviamente non si esaurisce qui e che dovrà continuare con ancora maggiore impegno nei prossimi anni.
Molti si chiedono oggi criticamente quale sia il valore aggiunto della cooperazione internazionale e quali siano i suoi risultati.
La domanda che dovremmo porci, dovrebbe forse essere un’altra: cosa succederebbe nel mondo se non vi fosse cooperazione internazionale? A quale futuro andremmo incontro?
Le risposte potrebbero essere tante e sicuramente alcune emergeranno nei lavori del seminario.
In conclusione, mi permetto di formularne una: senza cooperazione ci scopriremmo tutti più fragili e meno liberi. La competizione, soprattutto quella che degenera in conflitti senza regole, non offre maggiori spazi di libertà: anzi, persino l’apparente libertà del più forte si rivela spesso temporanea e deleteria per la sostenibilità dell’intero sistema.
La libertà degli Stati, come degli individui, si nutre piuttosto della certezza delle regole, dell’uguaglianza e del confronto pacifico. Non dobbiamo mai dimenticarlo.
Video dell’intervento»
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