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Il PD dopo il voto

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco MirabelliIl dato elettorale delle elezioni regionali del 31 maggio non può certamente essere considerato un dato negativo per il PD, anzi! Ma certamente va approfondito e, a partire da esso, dobbiamo fare una riflessione seria, senza scegliere scorciatoie, come abbiamo iniziato a fare in Direzione Nazionale.
Nell'ultimo anno si è votato in 12 Regioni, il centrosinistra e il nostro partito ne governavano prima 6 e ora 10: è sufficiente questo dato per chiarire che il Pd esce da queste tornate elettorali più forte. Non abbiamo mai governato in 17 Regioni su 20 come avviene oggi.
Si è persa la Liguria ma si è conquistata la Campania, che è la terza Regione Italiana per popolazione e si è perso in Veneto dove il governo di Zaia è stato premiato dagli elettori. Questo risultato è ancora più positivo se si pensa che in tutta Europa le forze al governo sono state fortemente ridimensionate e battute alle urne, dalla Spagna alla Francia.
Detto questo ci sono dati emersi dal voto che vanno valutati attentamente e che provo a riassumere.
1) Il dato del l'astensionismo ha sicuramente pesato e ha colpito tutte le forze politiche. Gran parte dei voti persi dal PD vanno all'astensione e da qui dobbiamo partire. Basta guardare i flussi per capire come siano sbagliate letture che attribuiscono l'emorragia di voti che abbiamo subito a una disaffezione di una generica sinistra. A parte il caso Ligure, ovunque i candidati "a sinistra" del PD hanno ottenuto pochissimi voti e anche le percentuali di Sinistra Ecologia e Libertà e altre aggregazioni sono lì a dimostrare che non è "a sinistra" che abbiamo perso. L'astensionismo così elevato, comunque, è dovuto a fattori diversi: dalla crisi di credibilità delle Regioni (basta guardare le diverse affluenze laddove si è votato anche per i Comuni) e poi certamente la crisi non ancora finita per tante famiglie ha pesato sull'aumento della disaffezione. Contrariamente a ciò che era avvenuto alle elezioni europee, ha pesato la nostra difficoltà a raccontare una speranza di cambiamento. Ma, soprattutto, ha pesato il fatto che l'obbiettivo che ci siamo dati di restituire credibilità alla politica e alle istituzioni - anche attraverso le riforme - non è stato ancora raggiunto. Hanno pesato i continui scandali ed episodi di corruzione, la campagna elettorale - che abbiamo un po’ troppo subito - che ha avuto al centro il tema degli “impresentabili”, divenendo una narrazione spesso separata dai problemi reali legati alla composizione delle liste che pure ci sono stati.
Eppure, sul tema della lotta all’illegalità avevamo da spendere fatti concreti riguardanti l’approvazione di norme importanti, dalla legge contro la corruzione, all'autoriciclaggio, agli eco-reati. Ha pesato molto il fatto di non essere stati capaci di valorizzare ciò che abbiamo fatto in solo un anno di governo, dai dati sull'occupazione a quelli sulla crescita che è ripresa dopo quattro anni, alle riforme avviate fino agli interventi sulla legalità appunto.
Questo è anche frutto di un dibattito interno paradossale, tutto autoreferenziale, in cui mentre c'era da chiedere di votare PD si è preferito discutere pubblicamente di noi, amplificando le differenze, a volte anche usando toni che non useremmo col nostro peggior avversario. Certo anche questo fattore ha prodotto confusione e disorientamento.
2) Il PD, anche in questa tornata elettorale e nonostante le tante liste civiche che sostenendo i nostri candidati hanno drenato voti dal nostro elettorato, si conferma largamente il primo partito. Non vince certamente il Movimento Cinque Stelle che, tranne che in Puglia vede i propri candidati presidenti al terzo o al quarto posto. E non vince il centro-destra anche se è evidente che è tornato, nonostante la sua frammentazione, a rappresentare una parte importante del Paese, grazie soprattutto al successo leghista che ha saputo dare una risposta populista ad alcuni problemi sociali, speculando sulle paure e proponendo un’idea di Paese secondo cui per difendersi occorre chiudersi.
Su questo aspetto, ha ragione Renzi quando dice che dobbiamo fare i conti con la percezione che ha una parte importante del Paese riguardo al PD rispetto a temi decisivi come il fisco e l'immigrazione. In Veneto e probabilmente in Liguria abbiamo perso per questo.
Nonostante questo Governo abbia iniziato ad abbassare le tasse sul lavoro e sulle imprese, continuiamo a essere identificati come il "partito delle tasse" da una comunicazione costruita da anni che resiste ad ogni evidenza e che dobbiamo riuscire a ribaltare.
L'altro paradosso sta nel fatto che chi ha fatto l'attuale legge sull'immigrazione (Bossi-Fini), ha inaugurato il modello di accoglienza dei profughi che oggi utilizziamo (Maroni), ha firmato gli accordi che costringono i Paesi di approdo degli immigrati a tenerli nei propri confini (Berlusconi-Maroni a Dublino) e ha scelto di intervenire in Libia, oggi riesca a scaricare tutte le responsabilità sulle presunte incapacità dell’attuale Governo a fronteggiare un'emergenza gravissima e su un presunto buonismo della sinistra. Si tratta, quindi, di cogliere da questo dato la necessità di invertire (anche comunicativamente) sulla narrazione senza rinunciare ai principi nostri o scimmiottare la destra. Questo ovviamente è un tema non semplice ma a cui dobbiamo dare la priorità.
3) Forse, dopo le elezioni Europee e il risultato straordinario ottenuto grazie alla capacità di suscitare speranze, di contrapporre - come dice il Segretario - la speranza alla rabbia che Grillo esprimeva, ci siamo illusi, consciamente o inconsciamente che quel 40 % fosse un dato acquisito, che fosse sufficiente per vincere. Il risultato di questa nuova tornata elettorale ci dice che non è così, che vinciamo se siamo capaci di tradurre il riformismo che stiamo praticando al Governo del Paese in politiche e progetti radicati sui territori e se siamo capaci di non trasformare la scelta dei candidati e le primarie in una partita a sé, giocata tutta e soprattutto al nostro interno, in cui si rinuncia ad una riflessione comune sulle necessità e le aspettative delle comunità locali. Se tutto appare come scontro interno e scontro di potere annulliamo immediatamente il profilo innovativo e di cambiamento reale che ci ha consentito di ottenere il risultato delle europee e che guida l'azione di Governo. Qui sta la questione del partito: serve un partito presente sul territorio, capace di costruire una nuova classe dirigente, capace di costruire proposte e progetti nella relazione con i territori, capace di aprirsi a contributi e idee. Serve un partito non ripiegato su se stesso in una discussione tutta interna, spesso ideologica e separata da ciò che il PD sta producendo al governo del Paese. Serve il PD che discute del futuro del Paese e dei territori, un PD che guardi fuori.
A quasi due mesi dall'approvazione dell'Italicum si continuano ad organizzare decine di iniziative interne di confronto tra chi è d'accordo e chi non lo è e, personalmente, mi domando a che serve: che messaggio diamo fuori di noi? Non abbiamo altre priorità che ridiscutere all'infinito su ciò che è già stato discusso per più di un anno e che è stato approvato? Sicuramente ne hanno gli italiani e i nostri quartieri e le città! Su queste dovremmo concentrarci.
Il dato elettorale ci dice che raggiungere l'obbiettivo che ci siamo dati, quello di far ripartire il Paese, ridando fiducia e speranza nel futuro, restituendo credibilità alla politica e alle istituzioni è insieme più necessario ma anche lontano da essere realizzato. Inoltre, l’esito delle urne ci conferma che le riforme che davvero cambiano e mettono in discussione assetti e rendite di posizione consolidate e spesso sclerotizzate sono difficili e possono anche comportare, nel breve periodo, di pagare un prezzo in termini di consenso elettorale. Solo il PD può garantire al Paese una stagione di riforme in grado di cambiare il Paese e stiamo provando a farlo ma ci arriveremo solo se, dai territori fino a Roma, riusciremo ad avere il coraggio di assumerci insieme (pur senza cancellare le differenze) la responsabilità di queste riforme in nome di un idea di Paese migliore per tutti.

Per seguire l'attività del senatore Franco Mirabelli: sito web - pagina facebook

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