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Lotta alle mafie e politica

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli Interventi del senatore Franco Mirabelli alla presentazione del libro “Testimone di Ingiustizia” del giornalista Eugenio Arcidiacono svolta a Paderno Dugnano (video).

Momenti di riflessione come questi sono importanti.
Conosco il lavoro che fanno le associazioni antimafia e penso che sia molto importante perché purtroppo le mafie ci sono, non sono solo al Sud ma sono anche al Nord, in tutta Europa e nel mondo.
Le organizzazioni criminali si sono globalizzate molto meglio di altre realtà.
Il libro di Eugenio Arcidiacono è molto importante perché racconta una storia di coraggio.
È la storia di una persona che ha avuto il coraggio di testimoniare e di rischiare in proprio, mettere anche la propria famiglia nelle condizioni di perdere tutto pur di ottenere giustizia, in un ambiente molto complicato come quello della ‘ndrangheta calabrese, dove i vincoli familiari sono quelli su cui si struttura e si regge l’intera organizzazione criminale e rompere, quel vincolo come ha fatto la protagonista del libro e come hanno fatto altre donne, è molto pericoloso.
Lo Stato ha bisogno dei pentiti e del coraggio delle persone che testimoniano contro le mafie.
Questo è lo strumento che ha consentito di dare colpi durissimi alle mafie, soprattutto quella siciliana.
Senza i pentiti, probabilmente Cosa Nostra non sarebbe nelle condizioni difficili in cui si trova e oggi continua a subire l’azione di contrasto della magistratura e delle forze dell’ordine, come mostrano i giornali.
I pentiti, quindi, sono una risorsa, così come lo sono anche i testimoni di giustizia.
Le persone che in questi giorni hanno avuto il coraggio di denunciare i tentativi di usura e il racket a Palermo sono una grande risorsa per la legalità e per la democrazia del Paese.
Queste persone vanno aiutate: devono trovare uno Stato capace di difenderle, di proteggerle e di non lasciarle sole.
La vicenda della protagonista del libro racconta di una legge sbagliata sui testimoni di giustizia, che abbiamo cambiato nella scorsa Legislatura, in seguito ad un grande lavoro fatto in Commissione Antimafia, perché c’era bisogno di distinguere i pentiti dai testimoni di giustizia. C’era bisogno di sancire un principio: c’è una grande differenza tra un pentito e un testimone di giustizia. Il pentito ha convenienza a collaborare: spesso le persone si pentono perché lo Stato concede in cambio benefici, facilitazioni e la possibilità di rifarsi una vita che non avrebbero, dato che spesso queste persone sono già state trovate e arrestate.
Il testimone di giustizia, invece, non ha alcun interesse e non ricava alcun beneficio a testimoniare ma ha solo il rigore morale di chi denuncia.
Non potevamo, quindi, lasciare queste persone nelle condizioni che sono raccontate nel libro.
I testimoni di giustizia, prima della nuova legge, erano persone che venivano sradicate dal proprio territorio e questo, oltretutto, è un messaggio brutto che viene fatto passare perché appare che lo Stato non è in grado di garantire protezione a queste persone nei luoghi in si svolge la loro vita; esce l’idea che chi denuncia poi deve scappare e lo Stato lo aiuta nella fuga.
C’era anche con la legge precedente la possibilità per i testimoni di giustizia di lavorare nella Pubblica Amministrazione ma oggi questo diventa un impegno dello Stato, così come quello di restare nella propria comunità e continuare a vivere lì.
Lo sradicamento, nella storia della protagonista del libro, ha un peso psicologico molto significativo su di lei e sulla sua famiglia: queste persone non hanno più visto la loro casa e solo recentemente sono riuscite a venderla; hanno dovuto aspettare tantissimo tempo per avere un risarcimento e hanno vissuto difficoltà economiche che non è pensabile che chi ha aiutato lo Stato possa subire.
Molte di queste questioni si sono sistemate dopo tanti anni: la protagonista del libro ha potuto accedere al patrimonio, ha potuto vendere la casa, ha avuto i risarcimenti che doveva avere. Resta il problema del lavoro che è molto serio e, purtroppo, resta anche dopo aver cambiato la legge perché c’è una difficoltà della Pubblica Amministrazione a garantire i posti di lavoro utili.
Conosco altre storie di testimoni di giustizia e vittime di mafia a cui ancora lo Stato non è in grado di garantire la possibilità di lavorare. Su questo credo che dovremo fare ancora una riflessione, c’è un percorso in atto e parleremo anche con il Ministro.
Oggi si parla molto delle risorse del Recovery Fund che dovranno arrivare.
Il Procuratore Antimafia Cafiero De Raho e i magistrati mettono in guardia rispetto al fatto che le mafie cerchino di utilizzare questa fase che, da una parte è di crisi economica - per cui le persone e le aziende hanno bisogno di liquidità e le mafie ne dispongono - e dall’altra parte è che provino ad approfittare di eventuali buchi nell’apparato dello Stato per entrare in possesso di una parte dei soldi del Recovery Fund.
La più grande organizzazione criminale d’Europa e tra le più importanti del mondo è la ‘ndrangheta ed ha una forza straordinaria. La ‘ndrangheta ha un’organizzazione piramidale per cui tutto si decide in Calabria; ha una matrice familista e non serve ad arricchire i propri aderenti. Questo è un altro aspetto pericoloso: la ‘ndrangheta cresce per diventare potente o, come si sente dire in molte intercettazioni, per “portare la Calabria nel mondo”. Alla base, quindi, c’è l’idea del potere.
Al Centro Falcone e Borsellino di Paderno Dugnano, la ‘ndrangheta si riuniva per decidere le affiliazioni, anche con riti legati al sangue.
La ‘ndrangheta, quindi, è un’organizzazione molto forte e per batterla c’è bisogno di non delegare soltanto alle forze dell’ordine e alla magistratura l’azione di prevenzione e di contrasto.
Magistrati e forze dell’ordine stanno agendo benissimo; sono molto orgoglioso delle forze dell’ordine e della magistratura italiana che, in questi mesi, hanno condotto centinaia di operazioni contro le mafie.
Eppure tutto questo non basta: occorre che ci sia una consapevolezza diffusa del fatto che si sta parlando di un fenomeno che non è circoscritto ad alcune Regioni del Meridione ma le mafie sono un problema nazionale e internazionale. Questa consapevolezza la dobbiamo avere.
Le mafie sono pericolose anche se non le vediamo compiere azioni eclatanti.
Il 23 maggio si ricorda la strage di Capaci. Rispetto a quella stagione stragista, le mafie hanno imparato che è meglio passare inosservate; è meglio tenere il profilo basso, per non allarmare l’opinione pubblica ma questo non significa che non ci siano o che non abbiano gli arsenali di armi o che non siano pericolose.
La criminalità organizzata può mettere molti miliardi nell’economia legale ed è questo ciò che sta facendo in questi anni: aggredisce l’economia legale, cerca di entrare nelle aziende, mettendo soldi.
Avere un’economia in cui ci sono tanti soldi controllati dalle organizzazioni criminali è un problema per la democrazia di un Paese.
Per questo, quindi, non basta la magistratura, anche se fa un lavoro straordinario; non bastano le leggi che abbiamo e sono considerate le migliori del mondo, non bastano le forze dell’ordine ma servono anche i cittadini: serve una cultura della legalità, serve sapere quali sono le spie che indicano che le mafie ci sono. Lo devono sapere le associazioni di categoria, imprenditori, commercianti e un corpo di società civile ed economica che non può lasciare soli magistrati e inquirenti.
Io sono ottimista: ho pubblicato su Facebook la frase di Falcone che dice che la mafia si può battere e, come tutti i fenomeni umani, avrà una fine che speriamo che avvenga presto. Questo, però, è possibile se si forma una coscienza diffusa e ci battiamo per sconfiggerla.

Video dell’intervento» 

Gratteri è un magistrato che sta facendo un lavoro straordinario a Catanzaro, quindi, nel cuore dell’insediamento ‘ndranghetista.
Oggi è in corso una vicenda per cui si tende a screditare la magistratura ma penso che di magistrati antimafia che stanno facendo benissimo il loro lavoro ce ne sono tanti e, ovviamente, vanno protetti.
Anche i legislatori devono lavorare su questo fronte, sapendo che il monito di Falcone di “seguire i soldi” resta valido ancora di più oggi.
In Emilia, Lombardia, Piemonte e Veneto, le mafie si propongono quasi come società di servizi per le imprese per fornire servizi, prestiti, recupero crediti, la facilitazione all’accesso a pratiche per il cambio di destinazione d’uso dei terreni per poi entrare nelle aziende e prendersele; oppure per dare prestiti a commercianti in difficoltà per poi prendersi gli esercizi. In questa fase, quindi, serve seguire i soldi e avere un’attenta lettura di fenomeni come le compra vendite immobiliari, le cessioni di negozi, per capire dove ci sono anomalie e dove le mafie stanno lavorando e stanno investendo.
Seguire i soldi significa anche molte altre cose.
Le banche devono fare la propria parte e verificare quando si registrano anomalie sui finanziamenti.
Alla fine della scorsa Legislatura, con la Commissione Antimafia, abbiamo lavorato alle modifiche del Codice Antimafia che avevano come scopo principale quello di migliorare il funzionamento della legge Rognoni-La Torre sui beni confiscati.
Quella legge è straordinaria perché colpisce la mafia dove fa più male, cioè sui patrimoni, e poi perché li restituisce alla collettività.
Dopo 10 anni, quella legge ci sembrava che avesse bisogno di un tagliando, soprattutto per quanto riguarda la confisca delle aziende. Molto spesso, infatti, ci accorgevamo che le aziende confiscate finivano per fallire, con il risultato che si perdevano i posti di lavoro e, quindi, passava il messaggio che lo Stato non garantiva ciò che la mafia, invece, riusciva a garantire.
Su questo abbiamo lavorato e abbiamo fatto un’ottima legge, da questo punto di vista, che fa fare passi avanti.
La legge prevede che la confisca del bene avvenga prima della sentenza: appena qualcuno viene indagato per associazione mafiosa, il magistrato per le misure di prevenzione decide di sequestrare e confiscare i beni. Con la nuova legge, quel bene entra subito nel circuito della disponibilità della collettività, cioè si può utilizzare da subito. Se poi, cosa avvenuta rarissimamente, non ci sarà la conferma della condanna dell’imputato sono previste varie forme risarcitorie.
Questo consente, quindi, di utilizzare fin da subito tutti i beni confiscati.
Un altro aspetto importante riguarda il fatto che è stato messo in campo un fondo per consentire ai Comuni di utilizzare i beni. In molti luoghi, i beni, una volta confiscati, rischiano di venire devastati da chi non vuole che vengano utilizzati, per cui spesso occorrono risorse per risistemarli e renderli attivi e per i Comuni reperire questi soldi può essere un problema. Il fondo a rotazione che abbiamo rifinanziato recentemente serve a fare questo.
Inoltre, abbiamo provato a cambiare l’Agenzia che si occupa dei beni confiscati, soprattutto per quanto riguarda le aziende e su questo c’è ancora da lavorare.
L’Agenzia deve avere il quadro di tutti i beni immobili confiscati, li deve assegnare ai Comuni o alle associazioni. Per quanto riguarda le aziende, il magistrato per le misure di prevenzione deve chiarire subito se si tratta di un’impresa che può stare o meno sul mercato. Per le aziende che risultano in grado di stare sul mercato sono previste una serie di agevolazioni con la Pubblica Amministrazione e si lavora per farle funzionare subito e al meglio possibile.
Nell’Agenzia, quindi, ci devono essere anche quelle figure professionali in grado di aiutare il magistrato nella costruzione di un progetto capace di rilanciare le aziende.
La misura della confisca è assolutamente efficace e fa veramente male alle mafie ma, per sfuggirvi, le mafie avevano iniziato a investire in beni immobili e aziende fuori dall’Italia, pensando così di metterli al riparo dai provvedimenti giudiziari.
Recentemente è stata approvata una direttiva europea che impone a tutti i Paesi membri dell’Unione Europea di considerare validi i decreti di confisca e applicarli. Questo consentirà di confiscare anche i beni all’estero.
Dico questo perché dà il senso di una legislazione e di un lavoro che deve essere in progress.
Man mano che lo Stato si attrezza per combattere le mafie, infatti, le organizzazioni criminali cercano di capire cosa fare di fronte alle nuove norme per evitare di incorrere nei provvedimenti giudiziari. È, quindi, una continua rincorsa ma alla fine credo che vinceremo noi.

Video dell’intervento» 

Al di là delle dichiarazioni di principio, secondo me, non tutta la politica coglie le difficoltà, i ritardi e le necessità che comporta la lotta alla mafia. C’è anche una parte politica che fa scelte diverse ma questo non vuol dire che sia collusa.
C’è una parte politica che racconta che, per velocizzare i cantieri, si possono abbassare le tutele di legalità, che le interdittive antimafia sono una violazione della libera concorrenza, che i certificati antimafia sono da abolire perché costano troppo alle aziende o si perde troppo tempo. Io non condivido questo e mi batto contro queste cose.
I cittadini poi votano.
La vicenda del ripristino del vitalizio a Formigoni è stata discussa e non tutte le forze politiche hanno votato a favore.
Insisto sulla necessità di costruire una cultura della legalità e, soprattutto, spiegare perché la legalità è importante in una democrazia.
Io penso che questo sia uno di quei temi su cui si deve scegliere cosa votare e non scegliere solo in base a chi dice di voler abbassare le tasse.
Si fa fatica a fare battaglia politica su questi temi: non c’è attenzione.
Tra qualche giorno si aprirà una discussione sulla necessità di liberalizzare i subappalti e il tornare agli appalti al massimo ribasso.
Io penso che queste siano due cose potenzialmente criminogene e mi batterò contro.
C’è una parte della politica, però, che invece sosterrà il contrario e spiegherà che noi siamo nemici del progresso.
Purtroppo questo è il Paese.
Non è semplice nulla di quello che si è conquistato.
Molte delle cose di cui abbiamo parlato oggi sono state conquistate da persone che ci hanno rimesso la vita.
Falcone e Borsellino sono morti soprattutto perché la mafia era terrorizzata dall’idea che venisse costruita la Direzione Nazionale Antimafia e che venisse istituito il reato di associazione mafiosa.

Video dell’intervento» 

Non mi pare che la Prefettura di Milano ci metta troppo tempo a dare le certificazioni antimafia. Sicuramente bisognerà migliorare in alcuni aspetti, compreso l’approfondimento.
Nel PNRR sono stati previsti fondi per migliorare le reti, migliorare le banche dati e metterle in comunicazione e, incrociandole, trovare prima le anomalie, capire quali sono le cessioni di esercizi commerciali o di altri immobili considerati a rischio.
Stiamo, quindi, lavorando per farlo.
Sarei contento se tutta la politica remasse in questa direzione e considerasse il tema della lotta alla mafia una priorità e un tema importante.
Recentemente, abbiamo discusso a lungo in Senato sulla richiesta dei magistrati di poter utilizzare alcune intercettazioni riguardanti Giovanardi, che difendeva un’azienda interdetta dalla Prefettura: una parte degli intervenuti in discussione spiegava che Giovanardi stesse facendo il normale lavoro di un parlamentare che si occupava della condizione di un imprenditore del suo territorio.
Purtroppo, finita la fase stragista, in cui non si poteva far finta che non ci fosse la mafia, una parte della politica si è molto tranquillizzata perché non considera più questo come un tema su cui costruire una parte importante del Governo e della vita politica.

Video dell’intervento» 

Video della diretta» 

Video dell’incontro» 

Foto dell’evento» 

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