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Il PCI

Scritto da Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani Il Partito comunista italiano è stato uno dei soggetti costruttori della democrazia nel nostro Paese, sia per il ruolo svolto nella lotta resistenziale sia per la ricerca costante di una mediazione fruttuosa nella fase di redazione della Carta costituzionale. A differenza di altri partiti comunisti nell’Europa occidentale, potè rimanere un soggetto di massa radicato in tutte le pieghe della società italiana grazie ad un’originalità di pensiero e di pratica politica che gli derivavano dalla lezione di Antonio Gramsci e dal genio politico di Palmiro Togliatti.
Tuttavia, il legame irrisolto con l’Unione Sovietica – che tale rimase fino quasi allo scioglimento del Partito- impedì al PCI di potersi presentare come forza compiutamente riformista sebbene nei Comuni e nelle Regioni in cui governava avesse svolto un’azione oggettivamente riformista, rendendo impossibile quell’alternanza di governo che tutte le altre Nazioni europee avevano conosciuto anche nella fase più aspra della Guerra fredda.

Il paradosso del bipolarismo italiano nella Prima Repubblica è stato esattamente questo: la compresenza, ai due lati del sistema, di una forza politica non completamente riformista e dall’altro di una forza non completamente conservatrice quale è stata oggettivamente la Democrazia cristiana, con la presenza di un Partito socialista spesso subordinato all’uno o all’altro senza capacità di elaborare ed imporre una strategia propria (ed anche l’ambiziosa aspirazione craxiana alla Grande riforma si impantanò poi nel tatticismo quotidiano aggravato da pesanti tare morali). Lo sforzo di Enrico Berlinguer e di Aldo Moro per una democrazia compiuta venne arrestato da profonde resistenze interne ed internazionali che costarono la vita allo statista pugliese e che di fatto costrinsero il sistema politico alla paralisi e all’arroccamento su se stesso nel lungo grigiore degli anni Ottanta.
La fine del PCI, voluta con coraggio e determinazione da Achille Occhetto nei giorni del crollo del Muro di Berlino, è stata una svolta epocale che di fatto ha sancito il venir meno degli alibi all’alternanza di governo, e nel contempo ha liberato le energie riformiste presenti nella società e nella politica. Non è un caso infatti che nel Partito Democratico militino persone che provengono dalla storia del PCI, della DC e del PSI, persone che si sono riconosciute in un progetto comune proprio perché hanno voluto dare corpo a quella tensione al cambiamento che pure era presente nelle loro appartenenze precedenti, ormai superate dalla storia. E a maggior ragione, quanto più entreranno nel Partito i cosiddetti “nativi”, ossia coloro che non hanno mai avuto denominazioni politiche precedenti, se non altro per motivi anagrafici, sarà possibile considerare definitivamente superato quel meccanismo identitario che per diversi anni è apparso come un limite alla capacità di crescita del PD, consentendo di storicizzare definitivamente l’esperienza dei partiti che dominarono la scena politica italiana nel primo cinquantennio della storia repubblicana.
Anche per questo dobbiamo essere grati a quel gesto compiuto da Occhetto alla Bolognina, venticinque anni fa.

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