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Gestione lombarda della crisi e rischi per la ripresa

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli Intervento di Franco Mirabelli svolto all'incontro con il PD del Sud Est Milano.

Penso che ci sia un centrodestra che non ha molto da dire ed è in grandissima difficoltà. Salvini, in particolare, è in grandissima difficoltà. Mi pare, infatti, che il centrodestra stia scegliendo la strada della protesta e dell’essere contro il Governo - e soprattutto contro il virus - ma non sembra esser capace di dare un contributo in una fase così difficile.
Sicuramente il Governo non ha fatto tutto giusto ma si è preso in carico una situazione difficilissima e si sono dovute fare scelte molto pesanti dal punto di vista economico.
Si è anche deciso di inventare ammortizzatori sociali che non c’erano come quelli per partite IVA e lavoratori autonomi e la cassa integrazione in deroga per le piccole aziende.
Si è fatta molta fatica a far arrivare gli aiuti alle persone e questo è stato un problema serio.
Complessivamente, però, credo che nella prima fase il Governo sia stato un riferimento credibile per i cittadini e l’alto gradimento avuto da Conte fino ad ora lo conferma.
Adesso bisogna essere bravi ed essere all’altezza di governare la prossima fase, che è molto più complicata. È la fase della ripartenza dell’economia e di cui tutti dicono che in autunno si arriverà ad una situazione sociale difficile, caratterizzata da una disoccupazione molto forte.
Personalmente, sarei per lavorare affinché questa crisi non avvenga piuttosto che evocarla.
Lì, però, credo che si misurerà davvero il consenso del Governo e la nostra capacità di togliere alla destra l’unico argomento che ha, cioè il dire di essere contro e il ricominciare ad agitare i problemi in tempi di crisi.
Salvini è stato con il vento in poppa fin quando ha agitato i problemi senza mai aver bisogno di risolverli, a partire da quello dell’immigrazione, speculando sul disagio e sulle paure di una parte di cittadini o addirittura inventando i problemi. Nel momento in cui le paure si sono concretizzate davvero in una tragedia come è stata la pandemia, Salvini ha dimostrato tutta la sua pochezza: non aveva più niente da agitare perché i problemi concreti andavano affrontati e, quindi, ha subito un contraccolpo.
Ovviamente, non vuol dire che non si possa ritornare su questo.
La Lega sta difendendo molto Regione Lombardia.
Salvini vive la Lombardia come il suo simbolo e l’esperienza principale del centrodestra a trazione leghista.
Questo sta creando una condizione strana per cui si fa molta propaganda e si sta affermando un pericoloso negazionismo su quanto è avvenuto in questa Regione durante la fase acuta della pandemia.
Oggettivamente, i dati reali dicono che la Lombardia è stato il luogo europeo in cui si è verificata la mortalità più alta sia rispetto al numero di contagiati che rispetto alla popolazione.
In Lombardia ci sono stati 18 morti ogni 100 contagiati mentre nel Paese la media era di 13 morti ogni 100 contagiati e in Regioni colpite in modo forte come il Veneto o il Lazio il rapporto era di circa 4 morti ogni 100 contagiati.
Questo vuol dire che in Lombardia qualcosa non ha funzionato e che le persone non sono state curate.
Le persone sono state lasciate a casa senza cure perché è stata smantellata la sanità territoriale e i cittadini si sono ritrovati soli.
Gli ospedali lombardi sono stati realizzati per avere un’eccellenza e una capacità competitiva per attrazione di pazienti in arrivo da tutta Italia e non solo ma ci si è dimenticati di attrezzare la sanità per far fronte a domande emergenziali che potevano accadere.
È evidente che la sanità sul territorio è mancata e le persone sono rimaste sole e senza poter essere curate.
Gli ospedali non erano pronti ad affrontare una situazione di questo tipo, né quelli pubblici né quelli privati.
Nella scorsa consiliatura in Regione sono stato Presidente della Commissione d’Inchiesta sul San Raffaele e da lì si vedeva già il germe di ciò che è successo in questi mesi.
Ogni anno c’è un miliardo di euro che viene attribuito alle strutture ospedaliere non secondo i criteri tradizionali della prestazione ma per finanziare servizi non remunerativi, quindi le terapie intensive e i Pronto Soccorso, ma per molti anni questi soldi sono stati distribuiti con criteri non legati al fabbisogno che una Regione poteva avere anche in vista dell’emergenza ma legati ad alcuni interessi di alcuni ospedali (come San Raffaele e Maugeri). Quelle scelte hanno indebolito il territorio. Non si sono dati soldi agli ospedali per garantire strutture e assistenza nelle valli, ad esempio.
Tutto questo oggi lo abbiamo pagato.
Il negazionismo di oggi è preoccupante e su questo dobbiamo insistere.
Dobbiamo dire che la giunta di Regione Lombardia è responsabile della sanità e che la sanità lombarda non ha funzionato.
I dati mostrano che le cose in Lombardia non hanno funzionato ma non è colpa della sfortuna: c’è stata una sequenza di errori e l’assenza di una struttura che garantisse la cura sul territorio.
Non è la voglia di propaganda politica a far dire questo.
La domanda del perché è successo serve: non si può far finta di niente di fronte alla realtà perché, se in autunno riprende a circolare in modo forte il virus e non abbiamo fatto i conti con gli errori che ci sono stati, rischiamo di ritrovarci esattamente come lo scorso febbraio.
Non sarà certo l’ospedale in fiera a risolvere il problema.
Serve il radicamento sul territorio e l’attenzione che non ci sono state in questi mesi.
C’è, quindi, una responsabilità grande di Regione Lombardia nell’esplosione della pandemia qui.
Non sono stati neanche messi in sicurezza i Pronto Soccorso e gli ospedali.
Il fatto che siano stati gli ospedali, oltre che le case di riposo, il vero focolaio della malattia la dice lunga sul fatto che qualcosa si è sbagliato.
Il Veneto è riuscito immediatamente a isolare il luogo del contagio mentre in Lombardia si è diffuso ovunque. La vicenda dell’ospedale di Alzano, ad esempio, si è verificata dopo quella di Codogno e c’era tutto il tempo per fare dei protocolli che evitassero ciò che è accaduto. È evidente, quindi, che ci sono delle responsabilità su ciò che non ha funzionato.
Penso, però, che la richiesta di Commissariamento della Sanità in Regione Lombardia non sia una battaglia concreta, nel senso che non vedo una prospettiva. Il fatto di commissariare la sanità, in questi anni, è successo sempre in rapporto a problemi di bilancio. Non credo, dunque, che questa proposta in Lombardia sia credibile.
Penso che iniziative come queste possano raccogliere consenso e rappresentanza della giusta rabbia e della giusta protesta che c’è tra i cittadini ma non vorrei che alla fine spostasse tutto il piano della discussione politica su questo terreno, anziché stare sul merito delle questioni (cioè il cosa non è stato fatto in Regione, cosa non ha funzionato e cosa bisognava fare). Lo spostare la discussione non fa altro che portare la Lega sul terreno che preferisce, cioè quello dello scontro ideologico.
Alla fine redo che i cittadini non capiscano e non ascoltino una discussione che appaia tutta politica e partitica. Penso che sia meglio affrontare le questioni nel merito, anche se è più difficile.

Non è vero che il PD non esiste in Regione: stiamo facendo opposizione. Credo che anche i dipartimenti del partito stiano lavorando per costruire una proposta e avere dei materiali divulgativi utili.
Ciò che possiamo fare è spiegare come la pensiamo su ciò che è successo e sul perché è successo e quali sono le proposte che rimettiamo in campo per evitare che risucceda.
Sicuramente si fa fatica a comunicare tutto questo: suscitano maggior clamore altre vicende e altre polemiche che finiscono sui media.
Credo che, però, il lavoro capillare alla fine funzioni.
Dove governiamo, con i nostri sindaci e dove non governiamo con i nostri consiglieri comunali, penso che adesso dobbiamo fare gesti che dicano alle comunità locali che noi siamo impegnati per evitare che risucceda ciò che è avvenuto lo scorso febbraio, se riesplode la pandemia.
Credo che i sindaci debbano cominciare a chiedere alla Regione cosa fare e come attrezzarsi.
I sindaci hanno fatto un lavoro straordinario in questi mesi ma sono stati lasciati da soli dalla Regione.
Su questo si può costruire un’iniziativa sui territori, non per recriminare ma per chiedere cosa si fa ora per mettere in sicurezza la nostra comunità.

Di fronte ad una situazione di emergenza come quella in cui ci troviamo, per far ripartire l’economia abbiamo sicuramente bisogno di velocizzare gli appalti ma c’è chi sfrutta l’emergenza per deregolamentare il Paese.
Salvini dice che bisogna sospendere il Codice degli Appalti, sospendere il Codice Antimafia, sospendere il codice ambientale, fare i condoni tombali e non far pagare più le tasse. Questo vuol dire sfruttare l’emergenza per cercare di deregolamentare.
Il “liberi tutti”, però, sarebbe devastante anche perché c’è un’evidente contraddizione di fronte al richiamo che tutti fanno giustamente al fatto che in una situazione di difficoltà sociale ed economica le mafie possano trovare il terreno fertile per prendersi le imprese, gli appalti e, nel Mezzogiorno, se non siamo bravi a garantire assistenza alle persone che perderanno il lavoro, possono anche cercare di costruire una sorta di welfare alternativo.
La mafia si batte se si riesce a garantire liquidità alle aziende: se riusciamo a dare prestiti, se si riesce a dare soldi a fondo perduto. Togliere l’acqua alle mafie è fondamentale.
L’ipotesi di Salvini sembra quasi elementare perché c’è da velocizzare gli appalti e chiede che si sospendano le norme ma in realtà le cose non stanno così.
Il Codice degli Appalti non si può cambiare in continuazione anche perché l’80% delle norme che contiene sono europee e, anche abrogando il Codice, resterebbero in vigore le normative europee che recepisce.
Non penso, però, che il problema sia il Codice degli Appalti ma le lungaggini.
Non penso, quindi, che il modello da replicare sia quello del Ponte di Genova, innanzitutto perché non è riproducibile. A Genova l’architetto Renzo Piano ha regalato il progetto esecutivo del ponte e si è fatto carico di tutto e questo non succede ovunque. La situazione non si può riprodurre altrove.
Sul resto non ci sono state innovazioni: l’articolo 4 della Legge Sblocca Cantieri, che il PD ha avversato e che è stata approvata dal Governo Lega-M5S, dice che è possibile - di fronte a situazioni particolari - nominare un commissario che abbia la possibilità di derogare ad una serie di norme per accelerare le procedure.
Lo abbiamo fatto anche su Expo e lo faremo per le Olimpiadi e, probabilmente, su qualche altra grande opera.
Bisogna, però, spiegare cos’è la burocrazia.
Se un’opera resta al Ministero ad aspettare l’autorizzazione per mesi vuol dire che c’è qualcosa che non va.
I tempi, però, si possono accorciare e, comunque, vuol dire che c’è un problema di efficienza.
Il CIPE, che libera le risorse per fare le opere, lavora poco e male e ci mette tantissimo tempo.
Poi c’è il problema della proliferazione delle centrali appaltanti. Abbiamo un Paese in cui tutti vogliono avere in casa la centrale appaltante ma pochi hanno il personale in grado di gestirle e il risultato è che le cose si fanno male e hanno dei tempi lunghissimi.
C’è anche una parte importante dei dirigenti dei Comuni e delle amministrazioni locali che fanno fatica ad assumersi la responsabilità di firmare gli atti.
Questi sono i problemi veri che non si risolvono cambiando il Codice degli Appalti.
Milano e la Città Metropolitana hanno due centrali appaltanti, una per le opere e una per i servizi e questo consente di velocizzare le procedure.
Inoltre, non è vero che il Codice degli Appalti ha diminuito le opere pubbliche in Italia rispetto a prima e non è vero che non si possono fare le opere a causa delle nuove norme del Codice degli Appalti.
Dovremo, quindi, fare una discussione sul merito del Decreto Semplificazione, stando sulle cose vere. Se stiamo sull’ideologia e inseguiamo Salvini non ne usciamo.
È più facile dire che bisogna fare tutto come il Ponte di Genova ma non è vero che è la soluzione.
Non esiste l’opzione di deregolamentare abbassando le tutele di legalità e i controlli.
Si può decidere di stabilire tempi più rapidi per i controlli, di portare le certificazioni dopo la partenza delle opere ma non si può dire che non ci occupiamo più di sapere se le società che fanno i lavori sono legate alle mafie o no o se i progetti rischiano di avere impatti pesanti sull’ambiente.
Queste sono le cose su cui dovremo ragionare.
Una parte di M5S subisce la suggestione della questione del Ponte di Genova e, quindi, bisognerà trovare forme più forti per garantire tempi più rapidi senza smontare un sistema.
Troviamo un sistema di controlli che sia il più efficiente possibile, però, i controlli ci devono essere.

Dobbiamo anche avere chiaro che lo Stato deve essere in grado di garantire liquidità alle aziende.
Ci sono inchieste che raccontano di come, dopo la crisi del 2008, la ‘ndrangheta in Lombardia e la camorra in Veneto hanno svolto una funzione di servizio nei confronti delle aziende. Il principale servizio era garantire la liquidità a chi non l’aveva perché il sistema bancario non la dava.
Questa volta siamo intervenuti subito per provare a garantire liquidità alle aziende, anche quelle medie e piccole, ma questo meccanismo ci ha messo un po’ a partire. Adesso le richieste di finanziamento cominciano ad essere accettate dalle banche, per quanto riguarda i 25mila euro garantiti al 100% dallo Stato.
Con il nuovo decreto questo meccanismo dovrebbe diventare più cogente. In più dovrebbe arrivare alle aziende un ristoro significativo in rapporto al fatturato, a fondo perduto.
Il Fondo Antiusura serve alle persone e alle aziende che non trovano una sponda nelle banche, soprattutto in alcune Regioni e in alcune città.
Ancora è presto per sapere quanto la criminalità organizzata si sia attivata e quanti siano i reati di usura in corso.
Per contrastare la criminalità organizzata bisogna fare grande attenzione ai flussi finanziari e alla provenienza dei soldi; bisogna spiegare ai soggetti economici che farsi prestare i soldi dalla criminalità organizzata significa farsi portare via le aziende.
Bisogna anche fare ciò che sta facendo il Ministro Lamorgese: attivare un tavolo in ogni Provincia in cui la Prefettura, le forze dell’ordine, le associazioni economiche e sindacali si confrontano e tengono monitorato il territorio e segnalano ciò che non funziona. Bisogna guardare i segnali che possano far intendere che ci sia la criminalità organizzata.
Dobbiamo togliere l’acqua in cui nuota la criminalità organizzata e questo adesso vuol dire garantire la liquidità alle aziende.

Rispetto alla questione dei beni confiscati, il problema non è l’assegnazione ma le risorse per gestirli.
L’Agenzia per i beni confiscati si è organizzata meglio. A Milano si sta definendo un ufficio che gestirà tutti i beni confiscati della Lombardia con personale qualificato e aprirà una sede a Palazzo Isimbardi. Questa è una cosa importante che rende anche evidente il rapporto tra le amministrazioni, il governo del territorio e l’opportunità che può venire dai beni confiscati.
Si è fatto molto ricorso ai beni confiscati anche in questi mesi, nonostante l’emergenza.
Per gli immobili è necessario che vengano assegnati in fretta per evitare il degrado e, quindi, bisogna avere le risorse per metterli a disposizione della collettività. Su questo tema c’è ancora da fare.
Quando si è discusso il Decreto Spazza-corrotti è stato approvato un mio emendamento che finanziava il Fondo a rotazione a cui i Comuni possono attingere per sistemare gli immobili confiscati e destinarli all’uso che si prefigge.
Non ho sentore del fatto che ci possano essere stati particolari intoppi in questa fase.

Il tema della giustizia è quello più complicato perché è quello su cui forse c’è la distanza maggiore tra noi e M5S.
La mozione di sfiducia a Bonafede, probabilmente, ha convinto il Ministro a capire che è in un Governo di coalizione e non esclusivamente di M5S.
Vedremo se si riuscirà adesso a fare le riforme necessarie, soprattutto dopo le vicende che si sono svelate con le intercettazioni sul CSM.
Per riformare il CSM avevamo costruito una proposta che avevamo iniziato a scrivere quando avevamo lavorato alla riforma del processo penale, prima che tutto si fermasse per la pandemia.
È evidente che, con ciò che è emerso, quella riforma diventa più urgente ed è più chiaro cosa bisogna cambiare.
Bonafede porterà in Consiglio dei Ministri una proposta che è il frutto di un lavoro che abbiamo fatto nella maggioranza che, nella sostanza, prende atto che bisogna ridurre di molto il peso delle correnti perché sono ciò che ha portato allo scandalo di Palamara. Si è reso evidente che c’è una modalità di lavoro per cui le correnti fanno accordi tra loro fondati sulla spartizione delle diverse assegnazioni, che vengono fatte per ragioni politiche interne (ma non partitiche) e non per il merito o per il curriculum che è stato maturato.
Bisogna, quindi, cambiare il modo di elezione del CSM.
La proposta di riforma mira ad aumentare il numero dei componenti del CSM, di cui 20 membri togati dovrebbero venire eletti garantendo la parità di genere in 20 collegi territoriali in modo da far diventare importante il territorio e non l’appartenenza.
Si mira a distinguere chi esercita il ruolo disciplinare (tre magistrati che stanno nella Commissione Disciplinare) da chi fa altro e decide le nomine.
Si vuole anche ridurrà la questione delle porte girevoli, cioè magistrati che finiscono di svolgere un ruolo e tornano all’incarico di prima e così via. La proposta di riforma sostiene che chi è stato nel CSM prima di tornare a ricoprire un ruolo dirigenziale sul territorio deve aspettare 5 anni e nel frattempo può svolgere funzioni amministrative; mentre chi ha fatto il parlamentare quando torna in magistratura può solo svolgere funzioni amministrative. Non sarà più possibile per più di due volte passare da giudicante a inquirente (adesso invece è possibile per 5 volte) e questa è la risposta per chi sta stressando il tema della separazione delle carriere.
Ad oggi siamo arrivati ad un punto positivo della costruzione della riforma.
C’è ancora un punto su cui siamo in disaccordo perché ci scontriamo con la cultura politica di M5S.
Noi pensiamo che, così come è successo per gli ultimi 5 vicepresidenti del CSM, un parlamentare possa essere eletto nel Consiglio Superiore della Magistratura. M5S, invece, ritiene che un parlamentare non possa essere eletto nel CSM. Questo non ha senso, non c’entra con lo scandalo in corso in quanto non sono coinvolti i membri laici eletti o i vicepresidenti in carica ma anzi il problema è proprio dentro alla magistratura. Non ha senso, quindi, fare questa distinzione e dare il segnale che il problema sia la politica, delegittimando implicitamente anche le persone che sono state elette da parlamentari nel CSM (oggi Ermini, prima Legnini e tra gli altri anche il Presidente della Repubblica). Bisogna, quindi, evitare una scelta che discrediti figure e modalità di lavoro che non hanno responsabilità rispetto al quadro devastante che si è palesato e che dobbiamo condannare con forza perché evidenzia un malcostume impressionante.

Un’altra questione complessa riguarda le carceri.
Oggi siamo ritornati ad avere una sovrappopolazione carceraria. Le carceri italiane dovrebbero ospitare 48mila detenuti ma in realtà ne contengono 54mila adesso mentre all’inizio della pandemia erano di più e si è intervenuti con una serie di provvedimenti per mandare agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico chi aveva ancora da scontare fino a 18 mesi di pena.
Quella norma e l’impegno dei magistrati di sorveglianza ha consentito di avere 8.000 detenuti in carcere in meno e inoltre si è riusciti a non far entrare altri in esecuzione di pena.
Il Governo, però, non prevedeva che le norme fatte per scarcerare le persone venissero applicate ai condannati per mafia e altri reati gravi.
Nei fatti, invece, si è verificato che molti detenuti per reati di mafia hanno chiesto di essere mandati agli arresti domiciliari per ragioni di salute e i magistrati di sorveglianza hanno applicato la legge ma sono mancati dei passaggi di verifica tra il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - che non ha fatto ciò che avrebbe dovuto - e le Procure.
Abbiamo, quindi, fatto altri due decreti importanti per evitare il perpetrarsi di questo meccanismo e i magistrati di sorveglianza saranno obbligati a informare la Direzione Antimafia delle richieste di benefici da parte dei detenuti.
Oggi l’ordinamento carcerario dice che chi è detenuto per reati legati al 4 bis non possa avere benefici, se le Direzioni Antimafia certificano che ha ancora rapporti con le organizzazioni criminali sul territorio.
Inoltre, i magistrati dovranno riesaminare alcune situazioni sulla base di proposte che il DAP deve fare per garantire sia la tutela della salute dei detenuti e anche che i criminali non tornino a casa.
Dentro a questo decreto introdurremo alcune norme per migliorare la condizione nelle carceri. In particolare dovremmo assorbire nel decreto una proposta di legge che ho scritto io e che è nata a San Vittore, in cui si chiede che i detenuti con figli minori o congiunti in ospedale possano telefonare a casa una volta al giorno e non una volta ogni due mesi per stare vicino ai propri congiunti. Questo è un modo per recuperare una dimensione di umanità che in questi mesi si è un po’ persa.
Dopo le rivolte per il covid, la scelta di quasi tutte le carceri di aprire le celle non è più stata praticata e, quindi, è necessario dare segnali di attenzione all’interno del carcere.
Nella riforma del processo penale dovremo introdurre una serie di norme che riducano il ricorso al carcere, quindi, prevedendo pene alternative, possibilità di espiare la pena risarcendo le vittime e, per reati minori, pensare a contravvenzioni.
Ci possono essere una serie di scelte volte a rivedere l’ordinamento carcerario perché non siamo quelli del buttare via le chiavi ma siamo quelli per cui lo scopo della pena deve essere quello di riabilitare le persone e restituirle alla convivenza civile. Credo, dunque, che si debba ragionare in questo modo.
Negli ultimi anni si è agito in maniera contraria, alzando le pene ogni volta che c’era una sensazione di gravità del reato dal parte dell’opinione pubblica ma non è un deterrente e inoltre questo rende complicata la gestione di un ordinamento carcerario che deve essere volto alla rieducazione delle persone e non solo alla punizione.

Per seguire l'attività del senatore Franco Mirabelli: sito web - pagina facebook

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