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La paura non ci divida

Scritto da Gualtiero Bassetti.

Gualtiero BassettiIntervista di Repubblica.

Ricorda una sola esperienza analoga a quella che sta attraversando l'Italia in questi giorni: l'alluvione di Firenze del '66, quando «il popolo più diviso, più discorde, più litigioso del mondo si è ritrovato come un sol uomo nell'impegno di lenire le ferite di una città prostrata». Invita i fedeli che non possono andare a messa «a dedicare lo stesso tempo al silenzio». E ammonisce: «Se pensassimo a questa situazione come a un castigo di Dio tradiremmo l'essenza del Vangelo». Con Repubblica parla il cardinale Gualtiero Bassetti, 77 anni, presidente della Cei.
Eminenza, come stare di fronte alla paura?
«C'è una paura che serve, che anzi è necessaria per non sottovalutare rischi e pericoli; e ce n'è un'altra che si risolve in smarrimento e chiusura, sfociando in frustrazione e rabbia. A far la differenza sarà la nostra capacità di affrontare insieme anche questa stagione, di ritrovare una coesione sociale a cui ciascuno è chiamato a contribuire con realismo e fiducia. Con il governo il confronto è continuo; accoglierne le indicazioni è un atto di corresponsabilità».
Ci sono alcune critiche su una comunicazione del governo a volte incerta. Cosa pensa?

«Attraversare un'emergenza non è cosa facile per nessuno. Con questa consapevolezza non intendo giustificare la confusione, men che meno la strumentalizzazione dell'informazione di cui a volte siamo testimoni a causa delle faziosità politiche odi qualche polemica tra governo e regioni. Nel complesso, le istituzioni stanno dando prova di una collaborazione e compattezza d'intenti: passa anche da qui la possibilità di contribuire a rasserenare il Paese».
Diversi settori, fra cui il turismo, sono in crisi. La spaventa la possibilità della recessione?

«Questa situazione potrebbe far rientrare il Paese in quel tunnel con cui è stata rappresentata gran parte del decennio appena concluso. Non sono un analista, ma fra la gente tocco con mano la preoccupazione per le prime conseguenze di una crisi Paolo Rodari che sta portando a rivedere impegni e investimenti già preventivati. Anche e soprattutto in questo ambito saranno decisive la progettualità e le conseguenti misure di sostegno del governo, che deve poter contare anche su un nolo più solidale della Ue. Personalmente sono fiducioso: il Paese ce la farà. Come Chiesa italiana, continueremo ad assicurare vicinanza e prossimità a quanti sono in difficoltà».
In molti per mesi hanno parlato della necessità di chiudere le frontiere. Oggi altri Paesi le chiudono a noi. Salvini ha scelto un profilo basso. Cosa pensa?

«Guardando a come si sta comportando la nostra gente, credo che dovremmo essere fieri davanti a tutti del nostro Paese e concentrarci sulla vera priorità: la salute dei cittadini. Con questo criterio, diventa importante rinnovare la vicinanza e il sostegno a quanti sono colpiti dal virus e ai loro familiari; agli anziani, esposti ancor più del solito alla solitudine; alle famiglie che - con la chiusura delle scuole - si trovano a misurarsi con nuove difficoltà organizzative; ai medici e a tutto il personale sanitario, al loro prezioso ed edificante servizio; a chi ha responsabilità scientifiche e politiche di tutela della salute pubblica».
Critiche vengono da alcuni fedeli per la sospensione delle messe. Padre Sorge si è domandato perché vietarle se sull'altare c'è quel Gesù che «guariva quanti lo toccavano».

«Condivido la sofferenza dei vescovi e dei fedeli che in questi giorni si sono ritrovati senza la possibilità della celebrazione pubblica dell'eucaristia. Le misure adottate mettono in crisi le abituali dinamiche relazionali e sociali e chiedono di prestare attenzione alle esigenze della collettività. Aggiungo che questa situazione può anche diventare motivo per riscoprire un senso di appartenenza più profondo, come ha sottolineato l'arcivescovo di Milano, che ha invitato a dedicare lo stesso tempo della messa al silenzio, alla meditazione della parola di Dio, alla preghiera. I media non possono sostituire la ricchezza dell'incontro personale, ma anche i servizi religiosi che passano attraverso radio, televisioni e Internet contribuiscono a sentirsi partecipi dell'esperienza di fede e della comunità ecclesiale».
Ricorda nella sua vita esperienze simili? Come le ha vissute?

«La mattina del 4 novembre del 1966 Firenze sembrava un lago in tempesta, su cui gravava la paura per il possibile cedimento della diga di Levane: a quel punto, avrebbe spazzato via il campanile di Giotto e tutto il resto. Ma pochi giorni dopo, "il popolo più diviso, più discorde, più litigioso del mondo" - così Enrico Mattei descriveva noi fiorentini - si è ritrovato come un sol uomo nell'impegno di lenire le ferite di una città prostrata. Alla luce di quell'esperienza, che mi segnò profondamente, guardo il nostro Paese martoriato, ma che so capace di esprimere la forza necessaria a rialzarsi».
La Bibbia parla dei castighi di Dio. Perché questo virus per chi crede non dovrebbe esserlo?

«Se pensassimo a questa situazione come a un castigo di Dio, tradiremo l'essenza stessa del Vangelo. Preferisco, semmai, ricordare il monito rivolto dal profeta Geremia: "La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono". Dio non castiga, ma ama di un amore infinito; salva l'uomo liberandolo dal peccato, ma lasciandolo libero: sono già certi comportamenti dell'uomo a portare in sé stessi il castigo nei termini di un impoverimento dell'esistenza, di una rottura nelle relazioni con Dio, con gli altri, con il creato».
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