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Emergenza

Scritto da Vincenzo Ortolina.

Vincenzo Ortolina Ho già avuto modo di spiegare (“Tu quoque”?) le ragioni per le quali io, che ho votato Bersani l’altra volta, sosterrò Matteo Renzi, l’8 dicembre. Del sindaco toscano, come ho già detto, non mi piacciono diverse cose, a partire da un certo suo narcisismo. In linea di principio contrario poi al cumulo delle cariche, ritengo in particolare che il segretario nazionale di un partito dovrebbe impegnarsi a tempo pieno per questa funzione, e dunque resta il quesito di come il “nostro” possa gestire, se eletto, il suo tempo tra Roma, o dove sia, e Firenze. Tantomeno condivido, allora, la prospettiva, pur evocata, di unificare, se le condizioni dovessero consentirlo, le figure di segretario e di capo del governo. Ciò ribadito, considero tuttavia che la situazione in qualche misura emergenziale anche in casa PD “imponga”, in un certo senso, questa scelta.
Non mi ha certo convinto il confronto “all’americana” (si fa per dire) su Sky, che si è sviluppato, ma lo si sapeva, un “format” inadatto a far emergere a fondo la personalità politica e non solo dei candidati. Vecchio militante di un partito “tradizionale”, poi passato ai “democratici”, non sopporto l’eccesso di spettacolarizzazione della politica, e infatti non vedo più da tempo i talk show televisivi, da Vespa in giù, e rimpiango quasi un poco le “tribune” zatteriniane. Nella citata trasmissione, comunque sia, Renzi non m’è parso, francamente, al massimo. Ma Cuperlo, la cui intelligenza e il cui stile elegante, certo, fanno presa, l’ho trovato un poco algido e, alla fine, un tantino “vetero PD”, come hanno sottolineato taluni osservatori. Civati è simpatico, è il più “a sinistra” dei tre, ma è anche un tantino “pop”, per i miei gusti non di giovinetto, e, su certi temi (“matrimoni” omosessuali, “adozioni” per le coppie gay) risulta troppo sbilanciato per la sensibilità cattolica, che pure alberga in una qualche misura anche tra i “democratici”. Voterò allora Matteo Renzi, dicevo, anche un po’ prescindendo dall’approfondire la sua complessiva visione politica, e dunque principalmente perché, dei tre, lo ritengo quello che ha più forza per provocare gli scossoni che sono necessari per il partito e per il Paese. Serve uno scossone nel partito: l’inopinata sconfitta elettorale, e le vicende, orribili, immediatamente successive, hanno confermato che la vecchia classe dirigente è ormai “spompata”. Esperienze importanti non vanno tout court “rottamate”, è giusto, ma è tempo che certa “nomenclatura” faccia un deciso passo indietro. E solo il sindaco di Firenze mi pare abbia la forza (la voglia, che pur non è soltanto sua, non basta) di farlo sino in fondo. Serve, poi, uno scossone per il governo, che, pur con il “buono” realizzato anche grazie alle capacità di Letta, in questi mesi ha anche “pasticciato” un bel po'. Cadendo nel ridicolo sulla vicenda IMU (e annessi e connessi), per esempio. Basta sentire, in argomento, i commenti della gente al mercato. Bene, pertanto, fare i “lealisti”, ma non ad ogni costo, come dice, appunto, il “nostro”. Far durare il “nuovo” governo, libero da Berlusconi, per tutto il 2014, come auspica il Presidente della Repubblica in primis, è forse auspicabile. Ma se si realizzano talune condizioni, afferma Renzi. In proposito, i problemi di quadro (diciamo così), per l’esecutivo e la sua maggioranza, sono: affrontare immediatamente il problema della legge elettorale (impensabile trovarsi impreparati, nel caso di nuove consultazioni), che salvi il bipolarismo. Forza Italia ha dichiarato però guerra totale, e un accordo ampio, al riguardo, appare impossibile. Sarà allora probabilmente inevitabile “forzare”, come preconizza il sindaco-candidato, cui …. piace tirare i rigori. V’è poi l’esigenza di accelerare il percorso delle riforme istituzionali, finalizzato anche (non soltanto, naturalmente) a ridurre drasticamente i cosiddetto “costi della politica” (cosa differente dai “costi della democrazia”), ormai obiettivamente scandalosi. Ciò, a partire, finalmente, dall’alto, dopo esserci piuttosto confusamente occupati dei livelli più bassi: va decisamente sfoltito -superando il bicameralismo perfetto, o con altre soluzioni- il numero dei parlamentari, rimasti poco meno di un migliaio pur dopo aver costituito, quaranta anni fa, i parlamentini delle Regioni ordinarie, e aver conferito a questi enti, più di dieci anni orsono, molte competenze statali. Per spingere decisamente in tale direzione, a ben pensarci non è forse un male (ci capiamo) che il segretario del partito non sia, anch’egli, un parlamentare. Quanto, invece, alle politiche di natura economico-sociale in particolare, va da sé che urge un grande piano per il lavoro, la cui carenza rappresenta una delle principali cause, lo sappiamo, del grave malessere sociale di questa stagione. Quelli sopra citati sono ovviamente temi sui quali intervengono tutti e tre i candidati. Io mi sono però fatto l’idea che Renzi risulti, quantomeno, il più didascalicamente incisivo nell’esporli. Tutto ciò considerato, c’è tuttavia, a mio avviso, la necessità di un terzo scossone, stavolta definitivo per l’interessato, da assestare: è quello a Silvio Berlusconi, il quale, pur certo fortemente stordito, non è ancora “knock out”, lo sappiamo. E che, come ho ricordato, si sta preparando, pur non da parlamentare, alla sua "soluzione finale” contro tutto e contro tutti. I sondaggi ci dicono che, in questo strano Paese, la rinata Forza Italia è in crescita significativa, e che, si votasse oggi, neppure stavolta, incredibilmente, verrebbe sicuramente garantita la vittoria della sinistra o del centrosinistra, che dir si voglia. L’uomo di Arcore potrebbe dunque tornare pesantemente a galla, anche se solo in veste di regista, non di attore. Un evento che risulterebbe drammatico. Bisogna, allora, assestargli invece il colpo risolutivo. E solo con un Matteo Renzi a capo del PD, è mia netta convinzione, l’impresa può riuscire. Non, invece, con un segretario che venisse percepito quale capo di una sinistra un po' “tradizionale” o, diversamente, di una sinistra un po’ troppo “nuova”. Lo dico consapevolissimo che un partito appunto “democratico” non si potrà mai affidare tout court a un “uomo solo al comando”, e che l’eccesso di personalizzazione, nella politica, resta un male (anche se la “leadership”, invece, non è da disprezzare). Siamo, come ho detto, in fase di emergenza, e dobbiamo attrezzarci al meglio, in attesa che, prima o poi, “passi ‘a nuttata”.
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