Sull'utero in affitto
Lo scrivo con molta sofferenza, ma voglio esprimere, con tutta la sincerità di cui sono capace, il disagio interiore che mi accompagna ogni volta che leggo o vengo a conoscenza di vicende che riguardino un utero in affitto. Non riesco a togliermi dalla testa l'idea di una madre disperata che, per vivere o sopravvivere, rinunci alla cosa più preziosa e intima che la natura le possa dare: veder crescere, amare, educare, curare la creatura che per sette o nove mesi ha portato dentro di se.
Non mi interessa che a crescere questa nuova persona sia una ricca famiglia californiana eterosessuale o un ricca famiglia italiana omosessuale o un single o un generale argentino come usava ai tempi dei desaparecidos (le donne incinte venivano ospitate in apposite strutture fino al parto, poi il bambino veniva "adottato" dal militare in lista d'attesa e la madre diventava "dispersa" a tutti gli effetti).
Sono di destra? Integralista?
No, non credo.
Sono per la libertà di ognuno di vivere come meglio ritiene beneficiando della sacrosanta protezione di tutti i diritti civili.
Sono perchè ognuno, nel rispetto delle libertà altrui, possa ricercare la propria felicità là dove lo porta il cuore e il vento della vita.
Sono perchè l'amore possa vivere e trionfare fuori da ogni gabbia, sia questa religiosa o sociale.
Ma non riesco a togliermi dalla mente la disperazione di quella madre che, dopo averla partorita, abbandona o è costretta ad abbandonare la propria creatura per mantenere fede ad un contratto.
Troppo crudele, per il mio modo di intendere i sentimenti.