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Il popolo di Kamala

Scritto da Il Sole 24 Ore.

Articolo del Sole 24 Ore.

C’è il veterano delle forze armate dell’Iowa, John Stutler, in pensione ma che ha formato un’associazione per il sostegno dei reduci senza casa. Il giovane appena uscito dal college della Georgia, Parker Schorr. Il content creator, Grant Stern, che per patria ha Facebook ed è parte di una piccola armata di 200 influencer e produttori digitali per la prima volta accreditati dentro la Convention.
Il delegato di famiglia palestinese del New Jersey uncommitted, Ahmed Alward, ancora sulle spine per l’appoggio a Harris ma che spera in un futuro di pace di Gaza con una politica estera ispirata dalla candidata. E l’americana che vive in Canada, Sue Alksnis, e vuole moltiplicare il voto degli americani all’estero.
Ancora il technology manager Will Fowles, di Inspire Brands di Atlanta; la deputata locale afroamericana di Washington State Jamila Taylor; John Seller dall’Ohio che aspira al consiglio municipale della cittadina di Avon; la senatrice statale Connecticut Mae Flexer che ha portato con sè anche la figlia piccola nel passeggino per celebrare Harris; e Colin Kahl, uno dei 50 esperti di sicurezza nazionale, ex sottosegretario al Pentagono, che ha sottoscritto una lettera sulle credenziali di politica estera della candidata.
È un popolo variegato quello di Kamala Harris, in corsa per diventare la prima donna e prima donna di colore a essere eletta Presidente. Un popolo che sfoggia almeno qui, dallo United Center al termine della Convention democratica, ottimismo, dopo il panico che lo aveva attanagliato davanti alla crisi di Joe Biden, prima che le passasse il testimone della corsa. Tutti pronti adesso nelle loro divesità gografiche e sociali, e a volte politiche, a battersi per un’elezione molto incerta ma che considerano storica, a spianare la strada a Madame President.
E a quella che la lei chiama, con toni sicuramente ambiziosi se a volte tuttora vaghi , la sua “Freedom Agenda”, dalla difesa dei diritti di donne e minoranze alle promesse per i ceti medi e popolari, fino alla protezione della democrazia, in casa e all’estero grazie al multilaterlismo.
Stutler, il veterano, è sicuro che Harris e Tim Walz «si prenderanno cura dei reduci come me, come Walz ha fatto dei soldati sotto il suo comando nella Guardia Nazionale». Ancora: «Ho combattuto per il nostro Paese perché voglio che sia un Paese bumno e decente, che si prende cura della gente, di tutti. Anche dei nostri alleati. Non credo che i repubblicani oggi siano per questo, sono isolazionisti».
Fowles, dirigente in un colosso del fast food, crede che uno stato cruciale come la sua Georgia con Harris «possa essere blu a novembre», il colore del partito democratico. Ricorda la lunga e difficile battaglia per i diritti civili nello stato del sud, che non è finita, e l’eredità da difendere «di progetti di sviluppo economico e di infrastrutture dell’amministrazione Biden, che hanno fatto bene alla Georgia». Calcola che ci siano centomila volontari al lavoro solo nel suo stato. Schorr, che frescoo d’università guida i giovani democratici a sua volta in Georgia, aggiunge che per lui la chiava è che “Harris e Walz riconoscono la minaccia rappresentata da Trump e Vance, e invece di promuovere odio spingono la speranza”.
Seller dell’Ohio cita «l’aumento dell’entusiasmo e delle persone che si sono adesso rese disponibile a fare campagna» e se vede il suo stato difficilmente conquistato da democratici nelle presidenziali spera almeno di rieleggere l’influente senatore dem Sharrod Brown.
Alskins, dal Canada, vede le elezioni con una grande posta in gioco “soprattutto per le donne” e sottolinea che in una elezione contesa i voti dall’estero “possono fare la differenza in molti stati”. Flexer la senatrice del Connecticut, è convinta che il partito democratico oggi “abbracci e rappresenti i più ampi valori americani, i temi della libertà individuale che vanno dall’aborto al diritto di voto”. Taylor di Washington State considera la natura storica dalla candidatura di Harris, per le sue radici afroamericane e asiatiche: “E’ la più qualificata e sono davvero ottimista. Credo sia un momento straordinario per essere in politica. Per battersi per la giustizia economica, i bisogni delle famiglie, l’accesso alla sanità per le donne e le comunità”.
Stern, producer digitale ed executive editor Occupy Democrats (che si definisce sito leader di sinistra su Facebook), vede un partito capace di rinnovarsi aprendo a content creators come lui, che qui sono oltre 200 contro i 70 alla Convention repubblicana. E possono offrire a suo avviso una prospettiva più immediata e meno filtrata rispetto a media tradizionali, capace di raggiungere nuove fasce di elettori, giovani, Gen Z, e meno giovani. Numerosi infuencer hanno parlato durante la Convention. “Possiamo far correre il messaggio più velocemente e esplcitamente su temi scottanti, dal cambiamento climatico alla sanità”, dice Stern. “Ed è importante che il partito, che Harris e Walz, abbiano cominciato a riconoscere il nostro ruolo, la capacità di raggiungere nuove audience”.
Anche Alward, il delegato uncommitted del New Jersey, quindi non schierato ufficialmente con Harris per le spinose preoccupazioni su Gaza che hanno nutrito tensioni interne, spera. Avvocato di formazione e piccolo imprenditoreSpera di poter alla fine votare per lei e sostenerla. “Non credo il partito sia davvero spaccato su Gaza, la maggioranza dei democratici vogliono un cessate il fuoco e soluzioni umanitarie”. Aggiunge che problemi ci sono, di voler “spingere per un embargo sulle armi a Israele e per cambiamenti in politica estera, a favore dei diritti palestinesi, per più azioni che non parole”. Ma si dice “soddisfatto” della Convention.
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