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Le città medie italiane sono il futuro

Scritto da Aldo Bonomi.

Articolo di Aldo Bonomi pubblicato da Il Sole 24 Ore.

Oscilla il pendolo dei territori. Nelle lunghe derive tracciava i rapporti tra città e contado. Nell’ipermodernità ridisegna i rapporti tra le cento città italiane e le grandi città che abbiamo istituzionalmente definito aree metropolitane. Oggi segna il tempo delle città medie a cui occorre guardare se vogliamo comprendere come stia mutando la società italiana.
Avanza il confronto tra due forze: neomunicipalismo inteso come nuova amalgama delle élite urbane e capitalismo delle reti che ormai anche nelle città medie trainano le economie urbane e fanno da infrastruttura alla vita quotidiana. È l’affermarsi del capitalismo delle reti e delle piattaforme digitali come attori emergenti il principale driver delle economie terziarie. Anche nelle città della provincia riarticola e crea nuove fratture sociali. Turisticizzazione trainata dalle piattaforme globali, crescita delle industrie riproduttive del capitale umano nella formazione e nella salute, industrializzazione, crisi ecologica delle reti di coesione dall’acqua all’energia ai trasporti, una industria dell’abitare e un mercato immobiliare trainati dall’attrattività turistica e universitaria, sono ormai dentro ed interrogano le economie delle città medie. Che sono anche piccole capitali di distretti evoluti in piattaforme manifatturiere territorializzate che domandano e attraggono forza lavoro migrante. Più le città medie sono connesse, più attraggono popolazione metropolitana alla ricerca di migliori condizioni di costo della vita, di qualità ambientale e dei servizi di prossimità. Più divengono attrattive e più rischiano un mercato immobiliare le cui condizioni si allineano a quelle escludenti dei centri metropolitani. Con effetti espulsivi per giovani e famiglie di ceto medio o popolare ma anche per il tessuto del commercio e della manifattura leggera che si trova spiazzato nella concorrenza per l’uso degli spazi urbani. Il postpandemia ha portato alla diffusione anche nelle città medie dell’industria terziaria delle piattaforme digitali nella micro-logistica del food delivery o dell’e-commerce.
Una industria turistica trainata dalle piattaforme di incoming che sposta il patrimonio immobiliare sugli affitti brevi penalizza una popolazione studentesca che pare stia tornando in presenza nelle città universitarie. Una economia delle piattaforme che, se da un lato sostiene i consumi, dall’altro utilizza l’infrastruttura dei servizi collettivi ma reinveste poco e può indurre una via bassa alla crescita quanto a retribuzioni e condizioni di lavoro. Sono solo alcune contraddizioni di un modello di crescita terziaria delle città che pare aver raggiunto il suo limite e che oggi però, iniziano ad essere incorporate nella progettazione strategica delle città, nei modi in cui le élite politiche (i sindaci) pensano lo sviluppo futuro.
Il punto è che le città medie necessitano urgentemente di una nuova stagione di investimenti in beni collettivi, in rigenerazione delle infrastrutture civiche, nella creazione di nuove reti di gestione dei flussi: in sintesi di investimenti per costruire piattaforme di governance delle grandi funzioni. È su questo terreno che mi pare scorgere tracce e segnali dell’addensarsi nella sfera intermedia della politica urbana di un nuovo pluralismo funzionale, di meccanismi di governance urbana-territoriale con cui le élite locali provano a ripensare strategie di sviluppo efficaci. Un tessuto di nuovi corpi intermedi composto da autonomie funzionali come le fondazioni, i musei, le università, entità radicate nella storia urbana locale sfidate a produrre beni collettivi come welfare, cultura, ricerca e formazione. Anche le rappresentanze storiche dell’impresa del commercio e dell’artigianato, cambiano nel loro radicamento territoriale partendo dal contado dei distretti e delle piattaforme dove morde il tema delle retribuzioni e del lavoro.
La Gig economy non è solo metropolitana. Nella transizione ecologica e dei servizi divengono centrali le utilities pubbliche o miste, il cui ruolo di piattaforme di servizi di area vasta è in crescita. Trattano risorse scarse come acqua, energia, trasporti e trattamento rifiuti…. Dentro le aziende esito delle aggregazioni sofferte dal municipalismo al mercato si incuba una cultura resiliente della cooperazione tra sindaci del territorio e capoluoghi, con amministrazioni pubbliche che almeno in parte del Paese rivendicano accresciute capacità amministrative richiedendo strumenti pubblici più forti per governare le discontinuità e le transizioni in corso. È in atto una metamorfosi delle città medie. Un lento divenire di classe dirigente e di sindaci che cresciuti ponendo il tema delle connessioni hard nelle piattaforme, autostrade, pedemontane, alta velocità, mobilità dolce delle arre interne, oggi deve confrontarsi con il capitalismo delle reti della logistica del digitale e delle utilities che ridisegna vita sociale, welfare e forme di convivenza. Tutti, partendo dalla loro coscienza di luogo vorrebbero fare della loro città una piccola smart city. Speriamo prendano coscienza che stanno facendo di più. Stanno ridisegnando la smart land delle 100 città dell’Italia che cambia.
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