Pari opportunità
Articolo pubblicato su Il Fatto.
Mi sono preoccupata dopo aver saputo delle dimissioni del ministro per le Pari opportunità, lo Sport e le Politiche giovanili Josefa Idem. Preoccupata non per le vicende “casalinghe” del personaggio pubblico, ma naturalmente per il lavoro che stava svolgendo.
Detto questo, noto con un certo rammarico che si è tornati a parlare di Ministero per le Pari opportunità solo a seguito dell’ennesimo scandalo che ha riguardato un nostro politico,
quando invece dovrebbe essere nell’agenda quotidiana un confronto sulle tematiche discusse all’interno di quel dicastero. Questo è uno dei tanti difetti del nostro Paese: relegare ad una posizione più defilata un tema come quello delle pari opportunità e dell’uguaglianza tra i generi e tra le umane specificità, che siano culturali, cattoliche, sessuali o di razza.
Ma il germe di quella contraddizione era già presente nel nome stesso dell’ “ufficio” che la Idem, prima delle sue dimissioni, coordinava. Come ho già ricordato, lei reggeva un Ministero che si chiamava delle “Pari opportunità” ma anche “dello Sport e delle Politiche giovanili”.
Era proprio necessario pressare questi tre temi – che in fondo sono dei “macro temi” – in un unico dicastero? Che efficienza può essere garantita al lavoro su ogni singolo aspetto, in un ministero del “3 per 1”? Quale spazio riservato alle pari opportunità, quale allo sport e quale alle politiche giovanili negli impegni quotidiani del Ministro?
Vabbé che la Idem era una campionessa olimpica, una abituata a mettere costantemente alla prova il suo fisico e a lottare contro tempo e cronometro; ma qui in gioco c’è la pelle e ci sono i diritti delle persone, non semplici medaglie o podi olimpici. Mi si obietterà dicendo che quella compressione si era resa necessaria per razionalizzare i costi della politica e diminuire le spese dei singoli ministeri. Il fatto però è che la partita delle Pari opportunità nel nostro paese è troppo importante perché si giochi su un campo che tocca dividere con altri due interlocutori.
Per spiegare questo ultimo aspetto, parto proprio dalle parole pronunciate di recente dall’ex ministro, che verso la fine del maggio scorso ha dichiarato che “le azioni richieste dalla Convenzione di Istanbul per me sono un faro”. Per poi aggiungere: “Con tutte le forze parlamentari vorrei costruire le leggi che ancora non abbiamo contro la violenza sulle donne”.
Ecco, appunto, Convenzione di Istanbul e sua piena e totale ricezione nel nostro ordinamento: che fine farà questo proposito?
Posso immaginare che sarà preso in carica e con grande energia dal nuovo ministro, ma secondo quale gerarchia rispetto ai bisogni e alle esigenze (allo stesso modo legittime) di sport e politiche giovanili?
Ma con tutta probabilità non verrà nominato un nuovo ministro, Letta, quasi sicuramente, sparpaglierà le deleghe e non so proprio se sarà un qualcosa di buono…
Comunque, vedremo le scelte del Presidente del Consiglio; tornando a Josefa Idem credo avesse preso una direzione di marcia corretta. Per concretizzare i principi della Convenzione di Istanbul, che vuole contrastare ogni forma di violenza, fisica e psicologica sulle donne, dallo stupro allo stalking, dai matrimoni forzati alle mutilazioni genitali, aveva un’ottima tabella: dalla messa in essere di un servizio di patrocinio legale gratuito per le donne vittime di aggressioni, il cui finanziamento era da concordare con la pubblica amministrazione, a iniziative di formazione rivolte alle Forze dell’ordine e al personale sanitario dei pronto soccorso.
L’ho poi sentita dichiarare: “Una donna picchiata dal coniuge che si reca in un commissariato di Polizia per denunciarlo non deve più sentirsi rispondere: ‘è sicura di voler criminalizzare il padre dei suoi figli?’. Sono cose dannose!”
Da questo punto di vista l’attività della Idem credo non faccia una grinza. Devo poi far notare una cosa: le sue dimissioni sono arrivate il giorno stesso, lo scorso 24 giugno, della condanna al processo Ruby per Silvio Berlusconi. Come ha contrastato sentire da una parte che un ministro abbandonava per un abuso edilizio – tutto ancora da provare nella sua cattiva fede – e dall’altra che un ex Presidente del Consiglio, attuale Senatore, stava invece ben saldo al suo posto dopo essersi preso (in primo grado, certo) 7 anni di carcere e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Questa condanna peserà sul voto del 9 luglio e cioè sulla sua candidabilità? Il mio partito dovrebbe prendere una posizione forte, ben chiara e senza compromessi, una posizione di condanna e garantire, quindi, una giustizia equa, un Ministro si dimette per una questione fiscale mentre Berlusconi siede in Senato con condanne e processi a carico… questo passaggio non riesco proprio a comprenderlo.
La scelta di Josefa è stata doverosa ma al tempo stesso coraggiosa. Ora spero che il testimone del suo lavoro in sede governativa sia raccolto da chi riceverà la delega per proseguire lo stesso percorso, senza inciampare in distrazioni o interferenze di sorta.