Stampa

Passaggio in ombra

Scritto da Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani
Articolo pubblicato dai Circoli Dossetti.

Le elezioni del 4 marzo hanno rappresentato una fase di passaggio di paradigma politico che in qualche misura era atteso, ma non certo nelle forme e nei modi che ha assunto: il sommovimento di voti che ha favorito la coalizione di destra (ormai trainata dalla Lega non più Nord ma nazionale di Matteo Salvini) e che ha consegnato il ruolo di primo partito al Movimento 5 stelle (il cui baricentro si è spostato verso Sud) ha contemporaneamente relegato il Partito Democratico, ormai rimasto l’unico riferimento di una sinistra possibile, nella condizione di minorità in cui sono state relegate la maggior parte delle forze politiche di sinistra nel Vecchio Continente.
È possibile trovare una chiave di lettura unitaria per questo risultato? Il rischio di analisi affrettate o partigiane è sempre in agguato, e forse è passato troppo poco tempo perché certi dati possano essere letti ed assimilati a mente fredda.
E tuttavia, volendo tentare un abbozzo di spiegazione, si può dire, con Luca Ricolfi, che il sentiment dominante di questa fase storica sia la ricerca di protezione, nel senso che le classi sociali che sono state sconfitte o marginalizzate dalla globalizzazione – o che temono di venir sconfitte o marginalizzate, che è la stessa cosa – si rivolgono a chi li può proteggere. Proteggere da cosa? In primo luogo, come è ovvio, da un ascensore sociale che non solo non funziona più in salita ma muove prevalentemente in discesa: fuor di metafora, dalla precarizzazione della loro posizione sociale, del loro lavoro, dell’orizzonte ridotto dei loro figli, dell’insicurezza della loro sorte negli anni della maggiore fragilità di età e di salute. D’altro canto, alcuni percepiscono il bisogno di una protezione intesa in termini più coattivi nei confronti del dilagare della criminalità, associata immediatamente alla tematica dell’immigrazione dai Paesi dell’estremo Sud e dell’estremo Est. In termini più sofisticati, anche se più apocalittici, la paura di un mutamento del nostro paradigma culturale a seguito dell’invasione da parte di un Islam agguerrito e sicuro di sé.
E’ certo semplicistico legare l’andamento del consenso a proposte specifiche, ma a voler ben vedere certe proposte come quelle della Lega (sulle espulsioni di massa dei migranti e sull’abolizione della cosiddetta legge Fornero in materia previdenziale) o dei 5 stelle (il reddito di inclusione per i disoccupati) sembrano fatte apposta per delineare un modello di “protezione” della società da alcune radicate paure, a cui si accompagna, come ha rilevato il Presidente delle ACLI Roberto Rossini, un ritorno in campo dello Stato, al quale compete il compito di “grande protettore” sia nella sua funzione repressiva sia nella sua funzione di gestore ed erogatore del welfare. Per certi versi si potrebbe parlare di un grande ritorno della politica, nel senso che, al centro delle proposte politiche più gettonate dei due vincitori di queste elezioni vi è la rivalutazione del ruolo e dell’iniziativa dello Stato, non certo del libero mercato. Nello stesso tempo, tutta la tematica della “società civile”, che per anni ha agitato (forse pure troppo) il dibattito politico, soprattutto a sinistra, appare improvvisamente vanificata, e le stesse forze sindacali, associative e di volontariato scoprono all’improvviso che la cosiddetta “disintermediazione” non è il frutto di una volontà perversa ma è la constatazione della loro irrilevanza, se non per la gestione di alcuni spazi di welfare territoriale, dopo esser state incerte per anni fra un collateralismo sempre più esangue ed un lobbismo senza principi.
E il PD? Al netto delle tare caratteriali di Matteo Renzi (che dovrebbero essere irrilevanti per un maturo giudizio politico ma che purtroppo non lo sono in un sistema informativo che dà più peso alle persone che alle idee), il problema di fondo di questo partito sta nell’aver assunto l’abito istituzionale trasformandosi nel garante di una politica di razionalizzazione economica e sociale ispirata ai parametri europei, che se ha avuto il merito di rimettere parzialmente sotto controllo la spesa pubblica e di permettere di intercettare la ripresa economica europea dopo gli anni della Grande Crisi, nello stesso tempo è stata insufficiente a correggere la narrazione – sì, perché ormai tutte le forze politiche ricorrono a narrazioni più o meno credibili e potenti – che dipingeva un Paese sull’orlo della miseria e della disperazione, assediato da bande di migranti clandestini dediti al furto, allo stupro e allo spaccio di stupefacenti. Questa narrazione non era del tutto veritiera, ma intercettava alcune verità parziali, soprattutto perché il dato della ripresa economica si è spalmato in modo disuguale sui territori, penalizzando particolarmente (e una volta di più) il Meridione, mentre nel contempo era il Paese nel suo insieme a collocarsi alla coda della ripresa europea.
D’altro canto, i dati disaggregati del voto analizzati in prima istanza dagli esperti dimostrano, ad esempio, come il PD sia ormai il primo partito solo fra gli anziani, mentre i 5 stelle sembrano collocarsi in modo omogeneo al primo posto in tutte le categorie sociali e generazionali. Ciò evidenzia una crisi sostanziale, non addebitabile ad una sola persona e non risolvibile secondo la categoria semplicistica del “ci voleva più sinistra” che il risultato trascurabile di operazioni di puro ceto politico come Liberi e Uguali e Potere al Popolo ha dimostrato essere destituita di ogni credibilità. Il dato di fatto è che la sinistra novecentesca non esiste più, e più in generale che la dicotomia destra/sinistra su cui per anni ha ruotato l’asse politico non solo italiano ora assume una forma diversa, e si potrebbe ridefinire in termini come apertura/chiusura: apertura alla realtà globale, al movimento di uomini e merci, all’emergere di nuove realtà culturali versus ripiegamento identitario, paura, rifiuto dell’altro e di una realtà difficile da decifrare. Se vogliamo, a livello europeo, istanze federaliste versus istanze sovraniste.
Il problema degli alfieri della chiusura è che evidentemente la globalizzazione non si ferma davanti ai dazi e alle barriere (già duecento anni fa un politico di statura alquanto superiore a Salvini e Di Maio, il principe di Metternich, doveva constatare che “le idee saltano i cancelli”), e che qualunque metodo utilizzino per il recupero della sovranità nazionale esso viene messo in discussione da logiche di mercato nazionale. Al contrario, gli aperturisti, i federalisti, debbono combattere contro l’immagine che gli si è appiccicata addosso di uomini dell’establishment, indifferenti al bisogno di protezione dei cittadini sia sotto il profilo dell’ordine pubblico sia sotto quello sociale, più attenti a quanto si muove a livello globale che a quanto accade sul territorio.
In questo senso il Partito Democratico, ma diciamo pure tutta la sinistra europea, sconta la fine di un paradigma novecentesco che ormai si è completamente esaurito e al quale al momento non è stato sostituito nulla se non per tentativi: lo stesso PD, nato , come suol dirsi dal filone socialdemocratico (in realtà da quello ex comunista, dal momento che almeno fino dal 1912 il riformismo è sempre stato minoritario nella sinistra italiana) e da quello cattolico democratico, ha dovuto in questi anni cercare di barcamenarsi fra opzioni nobilmente conservatrici, come quelle espressa dalla segreteria di Pierluigi Bersani, e altre spinte modernizzatrici incarnate da Walter Veltroni e Matteo Renzi. Il dato di fatto è che la lettura del PD come convergenza di nobili radici, come dire, c’est fini, nel senso che né la socialdemocrazia né il cattolicesimo democratico esistono più nelle forme in cui siamo abituati a considerarli.
Come ammoniva Giovanni Bianchi: “Ri-cominciare vuol dire anzitutto credere che le culture possano e debbano mischiarsi. Il meticciato non è una brillante metafora, né tantomeno un capriccio culturale. È esigito dalla presente fase storica. Nessun militante, sotto nessuna gloriosa bandiera, è più in grado di vivere dell’ideologia che gli sta alle spalle (…) per questo tutte le forme di nostalgia e di ritorno al passato non sono che manifestazioni di velleità ed impotenza”.
Nel passaggio in ombra in cui ci troviamo, questa è forse l’unica strada da tentare.
Pin It