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Adesso la Ue accolga i Balcani

Scritto da Piero Fassino.

Piero Fassino
Intervista di Avvenire a Piero Fassino.

I Balcani, una priorità nell’agenda dell’integrazione europea, come affermato dalla Conferenza interparlamentare organizzata lunedì alla Commissione Esteri della Camera. Al dibattito on-line sono intervenuti 19 presidenti di Commissione Esteri. Oltre a Serbia, Kosovo, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord e Albania, vi erano i rappresentanti di altri 12 Paesi: Austria, Croazia, Francia, Grecia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ucraina e del Regno Unito che, sia pure fuori dall’Ue, fa parte del Processo di Berlino (iniziativa diplomatica per l’allargamento dell’Ue ai Balcani). Sono intervenuti pure il commissario Ue all’allargamento Oliver Varhelyi e il rappresentante dell’Ue per Serbia e Kosovo, Miroslav Lajcak.
Un segno tangibile di come l’integrazione dei Balcani riscontri un ampio interesse. La Conferenza ha raccolto un lavoro di studio e contatti avviato dalla Commissione Esteri lo scorso settembre. «I giovani dei Balcani nati dopo gli accordi di Dayton si sentono già europei. L’Italia, per gli evidenti legami storici ed economici, vuole essere Paese leader in questo processo di integrazione », ha affermato Fassino.
Per i Balcani, a 23 anni dalla pace di Dayton, non c’è tempo da perdere. «Rimandare ancora, farebbe perdere credibilità», afferma deciso Piero Fassino. Il «progetto» per il presidente della Commissione Esteri della Camera è l’integrazione dei Balcani nell’Ue. La vittoria di Rama domenica in Albania premia un programma di «avvicinamento agli standard europei». Ma, evidentemente, non basta.
On. Fassino, il nodo maggiore dell’integrazione pare quello della Serbia: lunedì l’Alto rappresentante Ue Borrell ha chiesto al premier serboVocic riforme più veloci. Dopo la Conferenza interparlamentare, quali le urgenze nel processo di integrazione?
Bruxelles deve accelerare: dopo la pace di Dayton si indicò alle nazioni sorte dalla ex Jugoslavia l’ingresso nelle istituzioni euro-atlantiche come mezzo per perseguire sicurezza e stabilità. Una scelta consolidata nel 2003 a Salonicco dal Consiglio europeo che varò la strategia di allargamento ai Balcani occidentali. Diciotto anni dopo Salonicco, in due Paesi i negoziati sono in corso, in due devono iniziare e per Bosnia e Kosovo la prospettiva è ancora più lunga: ora è chiaro che il tempo sta consumando la credibilità del processo. Ai Paesi balcanici, d’altra parte, la Ue chiede di accelerare le riforme su tu- tela delle minoranze, Stato di diritto, lotta alla corruzione, libertà dei media e indipendenza della magistratura, cioè le basi di una società democratica. L’Albania lo sta facendo, il Montenegro per dichiarazione della Commissione in buona parte lo ha fatto, in Serbia e Macedonia siamo ancora a uno stadio di negoziati iniziale.
Si parla di un “non paper” franco- tedesco per un riconoscimento tra Serbia e Kosovo entro il 2022. È realistico?
Non conosco questo paper. So che il realismo impone a Belgrado di prendere atto che il Kosovo indipendente esiste, senza appellarsi a risoluzioni Onu del 1994. E viceversa il realismo impone al Kosovo di dare garanzie alla minoranza serba che vive nel nord della regione: riconoscimento dell’indipendenza del Kossovo in cambio di garanzie per la minoranza serba, questo è il terreno dell’accordo a cui si sta cercando di arrivare con la iniziativa del mediatore Ue, Miroslav Lajcak. Se non si supera questo contenzioso l’Ue, ammonita dalla negativa esperienza di Cipro, avrà molte difficoltà ad aprire le sue porte a entrambi.
Si potrebbe obiettare che la pandemia suggerisce di allungare i tempi dell’integrazione. Eppure un anno fa la Dichiarazione di Zagabria l’Ue ha messo sul piatto un pacchetto di 3,3 miliardi di euro per aiutare i Balcani dal Covid...
E non solo: vi è un pacchetto di 25 miliardi per la ripresa economica che aggiunti ai 3.3 fanno sforzo dell’Ue per 28 miliardi. Ma ritorno alla questione iniziale: il decorrere del tempo consuma la credibilità dell’integrazione. Già oggi ci sono altri attori nei Balcani: la Cina, la Russia, la Turchia, gli Emirati Arabi. Più l’Unione Europea tarda a includere e integrare, più i Balcani saranno “prateria” per l’iniziativa di altri. Lentezze e reticenze di Bruxelles aumentano la tentazione a guardare altrove. Sta già accadendo sui vaccini: la Serbia se li è procurati dai cinesi e dai russi. Ma se la Ue vuole avere una strategia sui vaccini deve includervi anche i Balcani adesso, prima che si completi il processo di integrazione. E così i 25 miliardi per lo sviluppo devono essere lo strumento per una relazione dei Balcani con i grandi assi del Recovery plan: economia verde, digitalizzazione, ricerca. E ancora: la proposta dell’Ue di un nuovo patto sulla migrazione non può non coinvolgere anche i Paesi dei Balcani. Così come li si deve coinvolgere nella Conferenza sul futuro dell’Europa che decollerà il 9 maggio.
Questa la prospettiva ma non rischiamo di proiettare su Bruxelles antiche rivalità storiche e politiche?
Nei giorni scorsi è circolato un altro “non paper” - peraltro non rivendicato da nessuno - che ipotizza nei Balcani un nuovo assetto su tre Stati: grande Albania, grande Croazia, grande Serbia spartendo tra i tre i territori di Bosnia, Macedonia e Kossovo. Era il disegno di Milosevic e di Tudjman, fondato sul principio della omogeneità etnica. Un criterio sulla base del quale oggi non un solo Paese dell’Europa orientale - ovunque caratterizzati dalla presenza di minoranze - rimarrebbe con gli attuali confini, aprendo la strada a un’infinità di conflitti. Una follia pura! L’integrazione è la risposta a questo rischio perché se integro, riduco il conflitto. Per secoli ogni popolo balcanico ha pensato il suo futuro contro il vicino. L’integrazione capovolge questo approccio e li spinge a pensare il futuro insieme. Ma rinviare oltre l’integrazione può essere solo foriero di nostalgie di conflitti e pulsioni nazionalistiche che già tante tragedie hanno causato nei Balcani.
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