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Milano, metropoli della porta accanto

Scritto da Giuseppe Sala.

Giuseppe SalaArticolo di Giuseppe Sala pubblicato da Investire.

Viviamo un tempo difficile e incerto che sembra smuovere le certezze su sui abbiamo costruito il progresso di questo inizio di millennio. Un punto sembrava inamovibile: la città come baricentro dello sviluppo in quanto punto focale dell'innovazione e della sperimentazione sociale, campo di applicazione delle nuove tecnologie, fulcro dell'inurbamento, luogo di eccellenza dell'incontro tra finanza, produzione e generazione di benessere.
La pandemia sembra aver scosso dalle fondamenta questo scenario come se tutto potesse rimesso in discussione.
Certamente il CoronaVirus ha colto di sorpresa soprattutto quella parte del mondo più sviluppata che riteneva, in forza dei suoi stili di vita, dei progressi della medicina e della tecnologia, di essere al riparo da un'evenienza così luttuosa.
Abbiamo pagato prezzi altissimi in termini di vite umane e di crisi economiche che solo nei prossimi anni mostreranno tutte le loro negative conseguenze. Ma questo, a mio avviso, non giustifica la messa in discussione in re ipsa delle città e del loro ruolo nel progresso del mondo. Molti paventano un movimento di ritorno e di dispersione della socialità al di fuori delle città, magari con una dispersione della vita e dell'economia in centri più piccoli, più distanti, più separati dal resto ma connessi dalla tecnologia.
Ho sempre sostenuto che noi dobbiamo trarre da questa pandemia tutti gli insegnamenti utili a definire stili di vita più sani, più equi e sostenibili.
E Milano, come riconosciuto soprattutto all'estero, ha fin dal primo lockdown avviato una profonda riflessione sulla sua configurazione futura. Non mi sono mai nascosto il fatto che dobbiamo prepararci a un futuro diverso nel quale la difesa della salute umana torni ad assumere una priorità che forse abbiamo perso per strada. Ma, posto questo, sono anche convinto del fatto che una città come Milano ha in sé le potenzialità, i mezzi e le risorse umane, intellettuali e finanziarie per attuare un ripensamento della propria forma urbis e dei relativi processi senza rinunciare alla sua centralità.
Anzi, è proprio da questa capacità riformatrice che la città non smarrisce la sua contemporaneità.
È ciò di cui a più riprese ho discusso con i sindaci delle più grandi città del mondo, arrivando alla conclusione che proprio le città più grandi utilizzeranno le lezioni della pandemia per essere il motore della ripartenza. Certo, su basi nuove e per certi versi inedite rispetto alle parole d'ordine usate fino a due anni fa.
La nuova Milano, per esempio, impianterà la sua natura di metropoli sui suoi quartieri. Le loro identità troveranno rinforzo e significato nella loro autosufficienza dal punto di vista dei servizi, del verde e della mobilità.
La Città dove ogni servizio è raggiungibile in 15 minuti non è una questione di poesia ma di un grandissimo impegno ingegneristico per sostenere alcuni fattori chiave della sua efficienza, come reti telematiche, bio-edilizia, resilienza.
Anche parlando di mobilità, è evidente che l'impegno nello sviluppo della mobilità dolce non può che accompagnarsi allo sviluppo di grandi infrastrutture. E mi sembra emblematico che proprio da questa pandemia Milano esca straordinariamente rafforzata nello sviluppo della rete delle piste ciclabili, nella crescita e nella varietà dello sharing e dei suoi stili di vita, ma anche e soprattutto con la realizzazione di una nuova rete metropolitana e con lo sviluppo di quelle esistenti verso nuovi e significativi nodi di vita, quali Monza o Baggio. In sintesi, Covid 19 ha scompaginato le nostre vite, ma ha sviluppato alcune trasformazioni già in atto (pensiamo allo smart working) che oggi richiedono uno scenario urbano caratterizzato da una maggiore e più distribuita flessibilità di stili di vita, di flessibilità e di cambiamento.
Queste sfide vengono impaginate da una visione del futuro che trova il suo paradigma nella transizione ambientale. Milano intende realizzare una nuova normalità ambientale che rifugga la politica del no a qualsiasi cosa. Essa deve coniugarsi con nuovi modelli di crescita, di equità sociale e di sostenibilità. L'ingegneria della transizione deve avere un ruolo centrale nella pianificazione, nella progettazione e nella realizzazione di nuove soluzioni abitative per accogliere nuova popolazione, soprattutto giovane.

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