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Etica, legalità e giustizia per una nuova Italia

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli Intervento di Franco Mirabelli ad un dibattito organizzato dal Dipartimento Legalità del PD Milano (video).

Ringrazio il magistrato Alessandra Dolci per il lavoro che fa e per la disponibilità.
Credo che, la prima consapevolezza che dobbiamo avere tutti è che la lotta alla mafia non può essere delegata alle Procure e alla Direzione Nazionale Antimafia. Abbiamo i migliori investigatori del mondo, abbiamo le migliori risorse ma non è sufficiente: abbiamo bisogno che il contrasto alla mafia diventi una priorità nell’agenda di tanti, innanzitutto della politica ma penso che serva anche uno sforzo di tutte le associazioni, soprattutto economiche, per affrontare questa questione.
Dobbiamo dire con grande chiarezza - e lo deve fare la politica - che ogni volta che si parla di condoni e di allentare i controlli sull’evasione fiscale si abbassa l’idea che la legalità è uno dei fondamenti di questo Paese, per questo chi si occupa di antimafia si arrabbia ogni volta: rischiamo di far apparire anche la mafia un fenomeno che in qualche modo sta dentro a una logica.
Abbiamo affrontato con attenzione le ultime inchieste in Veneto e tutti gli investigatori e i Prefetti hanno detto che in quella Regione c’è la più alta predisposizione all’evasione fiscale perché è evidente che lì sono i soldi la cosa più importante e, quindi, se arriva un’organizzazione che offre finanziamenti, recupero crediti o altri presunti servizi non si sta a guardare se quell’organizzazione è di stampo mafioso e utilizza risorse ottenute con la violenza, con il traffico di droga o con altre attività illecita.
Per questo penso che dobbiamo cominciare a fare un lavoro che non è soltanto politico. Innanzitutto dobbiamo spiegare perché è pericoloso l’insediamento delle mafie che sta avvenendo nell’economia legale, attraverso la disponibilità di troppe imprese a farsi condizionare.
Dobbiamo spiegare che l’economia del nostro Paese rischia di essere fortemente indebolita, così come la competizione sul mercato diventa difficile perché le aziende sane rischiano sempre di essere penalizzate rispetto a chi invece può avere supporti.
Quello che è più pericoloso, però, è che tutto questo metta in discussione la nostra democrazia perché una democrazia, la cui economia si fonda su ingentissime risorse che vengono da attività illegali, è più debole per tutti, per i cittadini, per le imprese.
Su questo credo che si debba fare una grande riflessione e fanno bene il Prefetto e il Ministro degli Interni a sollecitare queste cose e attivare le associazioni imprenditoriali proprio per alzare paletti e contromisure per contrastare l’insediamento della criminalità organizzata all’interno dell’economia.
Abbiamo fatto scelte importanti in questi mesi. In particolare abbiamo fatto la scelta di semplificare le procedure per velocizzare gli appalti e la rigenerazione urbana e attivare molte linee di finanziamento.
Potevamo farlo come suggeriva il centrodestra, cioè abolendo i controlli, il Codice Antimafia e il Codice degli appalti.
Invece, abbiamo agito cercando di trovare un equilibrio tra la necessità di limitare la burocrazia e ridurre i tempi ma senza rinunciare ai controlli antimafia, che abbiamo accelerato in una prima fase, potenziando tutte le possibilità di utilizzare le diverse ricerche e le diverse banche dati e, se da questo non risulta niente, si dà alle aziende la possibilità di accedere agli appalti con una sorta di certificato antimafia provvisorio, poi, con ulteriori controlli si verificherà se quelle aziende sono coinvolte in cose che non garantiscono la legalità e in quel caso, come già avvenuto con Expo, quegli appalti possono essere tolti e dati ad altri.
Inoltre abbiamo alzato il livello delle verifiche, sempre grazie alle banche dati - fatto salvo la prima fase in cui si è dovuto generalizzare gli interventi - su quali aziende accedono al credito e alle risorse che vengono erogate a fondo perduto dallo Stato.
Credo, quindi, che abbiamo agito bene anche se probabilmente non è sufficiente.
Sul Recovery Fund c’è un documento del Governo in cui si dice che serve una giustizia civile e penale più rapida e servono riforme e investimenti in questo senso e, in Commissione Giustizia del Senato inizieremo a lavorarci.
Quando ragioniamo sui grandi progetti che bisogna mettere in campo, non possiamo non vedere che la nostra economia e il nostro Paese sono in qualche modo frenati da una presenza molto significativa di fenomeni corruttivi e della criminalità organizzata.
Su questo dobbiamo riflettere.
Nei prossimi mesi dovremo ragionare su come il Recovery Fund possa diventare un’occasione anche per contrastare la corruzione, contrastare le mafie e dare più forza all’utilizzo dei beni confiscati perché possano essere davvero rimessi a disposizione della società e dare più risorse alle aziende confiscate.
Stiamo lavorando molto, però, penso che la politica debba fare di più anche per tutelare se stessa rispetto alla criminalità organizzata.
Come PD abbiamo fatto delle scelte e abbiamo scritto nello Statuto che le liste del PD devono essere composto con candidati che rispettino le condizioni previste dal Codice di autoregolamentazione della Commissione Antimafia. Ci deve essere, però, grande attenzione su questo tema perché non ci può sfuggire che anche nelle province lombarde, il problema della presenza di soggetti sostenuti che hanno fatto gli interessi della ‘ndrangheta è molto serio ed è emerso da tante inchieste.
Ora, per il ballottaggio si vota in due Comuni complicati e credo che ci debba essere una grande attenzione da parte di tutti, anche da parte della politica, affinché le elezioni siano davvero libere e non vengano condizionate in alcun modo dalla presenza della criminalità organizzata che purtroppo c’è ed è insediata in molti Comuni della nostra provincia.

Video dell’intervento»  

Parlo sia da Capogruppo del PD in Commissione Giustizia in Senato che in Commissione Parlamentare Antimafia. Credo che l’avvocato Nardo abbia posto questioni giuste ma vanno inquadrate e non possono essere banalizzate.
Il rischio che si allarghi a dismisura l’area del penale, che tutto diventi penale e che qualunque questione che turba l’opinione pubblica venga trasformata in qualcosa che si traduca in un aumento delle pene, credo che sia un problema serio che dobbiamo affrontare. Dobbiamo rispondere all’idea del buttare via le chiavi e quindi va fatto un ragionamento sul valore del carcere e della pena.
Nella proposta di riforma del processo penale varata dal Governo credo che ci sia esattamente questa scelta, cioè il restringere l’area del penale, soprattutto di ridurre i reati che vengono puniti con il carcere, mettendo in campo le pene alternative, le pene risarcitorie o ragionando su altri strumenti che già oggi il nostro codice consente.
La criminalità organizzata, però, da questo punto di vista non può essere trattata in questo modo. Sugli interventi e sulla punizione per la criminalità organizzata penso, infatti, che dobbiamo essere molto rigidi.
Sono garantista e mi batto per aprire il carcere e ampliare l’area trattamentale sia dentro che fuori dal carcere, però, penso che il 41bis sia indispensabile per combattere la mafia perché abbiamo bisogno di togliere alla mafia quegli strumenti che ha avuto per troppo tempo e che rischia di continuare ad avere per consentire che la filiera di comando continui a funzionare.
Si può discutere del fatto che 700 persone al 41bis sono tante perché non è possibile che ci siano 700 boss in Italia e allora forse vuol dire che c’è un problema o che l’alta sicurezza viene gestita male e i magistrati non si fidano.
Sulla vicenda della messa agli arresti domiciliari di persone condannate per reati di associazione mafiosa penso che abbiamo fatto due decreti utili.
Il primo decreto, che noi volevamo più largo, ha cercato di intervenire nel momento in cui il covid è esploso per ridurre subito il problema della sovrappopolazione carceraria. Così si è stabilito che chi aveva ancora da scontare una pena entro i 18 mesi, con l’esclusione di chi era in carcere per reati di mafia, doveva essere messo subito agli arresti domiciliari e chi era già in permesso esterno ci doveva rimanere.
Il provvedimento ha prodotto qualcosa ma molto di più hanno prodotto le scelte fatte dai magistrati di sorveglianza che, credo, abbiano fatto bene a cercare di mettere in sicurezza tutte le persone con patologie che avrebbero potuto essere aggravate o diventare mortali in presenza del covid.
In questo senso, non contesto la circolare del DAP.
Tra questi detenuti, però, c’erano figure che andavano gestite in altro modo. Il fatto che ci siano state tre persone in regime di 41 bis tra quelle mandate agli arresti domiciliari e molti che si trovavano in regime di alta sicurezza, non è stata una cosa giusta.
Non è colpa dei magistrati di sorveglianza ma penso che sia colpa del DAP che non è stato in grado di garantire all’interno del circuito carcerario condizioni di tutela per persone che dovevano stare in alta sicurezza.
Non mi risulta che si siano riempiti gli spazi sanitari degli ospedali all’interno del circuito carcerario ma si è preferito fare una scelta diversa e sbagliata e abbiamo chiesto ai magistrati di sorveglianza - con un secondo decreto - di rivedere quelle scelte insieme al DAP per capire se alcune posizioni potevano essere riviste, senza rinunciare a garantire la salute ma se si poteva fare dentro ai circuiti carcerari.
Questo è stato fatto.
Non c’è stata nessuna distorsione che abbia messo in discussione la nostra cultura giuridica.
Non vorrei che questa discussione diventasse tra chi sostiene che è una vergogna che siano stati tutti scarcerati e altri che sostengono che le scarcerazione sono colpa dei magistrati e non bisognava aprire niente per tutelare i detenuti, neanche di fronte al covid. Penso che entrambe queste posizioni siano sbagliate e noi abbiamo cercato di tenerne un’altra.

Video dell’intervento»  

Video dell’incontro» 

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