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La strada da intraprendere è il contrario del sovranismo

Scritto da Piero Fassino.

Piero Fassino
Intervento alla Camera dei Deputati in occasione della fiducia al Governo Conte Bis: Video».

Nell'incipit del suo discorso, Presidente Conte, lei ha voluto ripetere per sei volte la parola “nuovo”, volendo sottolineare la volontà del suo Governo di imprimere una svolta riformatrice all'Italia: è precisamente l'obiettivo per cui il Partito Democratico ha deciso di concorrere alla formazione della nuova maggioranza. L'apertura di una nuova fase, che lei ha ripetutamente sottolineato, significa in primo luogo voltare pagina nel nostro rapporto con l'Unione europea, che non è il nostro nemico, come per un anno e mezzo esponenti del Governo precedente hanno cercato di far credere agli italiani.
Certo, l'Unione europea vive un passaggio delicato: sta uscendo da un decennio di crisi che ha lasciato profonde ferite sociali e incrinato il rapporto di fiducia di una parte dell'opinione pubblica. Stretta tra Brexit e l'euroscetticismo di Visegrád, investita dalle crisi che scuotono il Mediterraneo e l'Europa orientale, inquieta per la freddezza con cui l'attuale Presidente degli Stati Uniti guarda all'Europa e ai rapporti euro-atlantici, turbata da guerre commerciali che mettono a rischio la possibilità di crescere del continente, questa Europa ha bisogno di una profonda revisione delle sue politiche. Gli equilibri di bilancio hanno senso se non impediscono politiche espansive; una politica di investimenti ha bisogno di risorse proprie che l'Unione possa attingere sul mercato dei capitali. Euro e mercato unico hanno bisogno di armonizzazione delle politiche fiscali, così come delle regole che presiedono agli investimenti e al mercato del lavoro.
La dimensione sociale non può esaurirsi solo nei fondi di coesione, ma richiede l'attivazione di strumenti e politiche sociali europee. La politica della concorrenza richiede norme più elastiche, a partire dalla materia degli aiuti di Stato. Ma queste riforme economiche richiedono un'autorità politica più forte, superando l'eccessiva sovrapposizione della dimensione intergovernativa sulle prerogative e le responsabilità della Commissione. Occorre mettere l'Unione nelle condizioni di parlare con una sola voce e agire con una sola mano, rafforzando la capacità di esprimere un'effettiva politica estera e di sicurezza comune, anche superando il meccanismo di decisione all'unanimità, così come va completato il processo di unificazione del continente con l'integrazione dei Balcani.
Insomma, la strada da intraprendere è esattamente il contrario del sovranismo, del ripiegamento nei soli confini nazionali, della chiusura neo-nazionalista e neo-protezionista. Ce lo dicono proprio le drammatiche vicende dell'immigrazione: si è per un anno e mezzo detto agli italiani che l'Europa lasciava sola l'Italia, ma a lasciare sola l'Italia non è stata Bruxelles. A lasciare sola l'Italia sono stati i Governi di Budapest, di Praga, di Varsavia, di Vienna, che si sono rifiutati di adottare i criteri che erano stati stabiliti dalla Commissione per la ridistribuzione dei migranti, così come quei Governi si sono rifiutati nel Consiglio europeo di adottare la riforma del Regolamento di Dublino che era stata approvata dal Parlamento europeo.
Insomma, la ripresa di un impegno forte per ottenere un'effettiva politica europea dell'immigrazione passa non per il conflitto con la Commissione, ma, al contrario, per un sostegno forte del nostro Paese all'obiettivo indicato dalla Presidente von der Leyen di voler finalmente implementare una politica europea dell'immigrazione. La sfida non è fare da soli in una velleitaria esibizione di muscoli, ma essere protagonisti di una rifondazione ideale e politica dell'Unione europea, concorrendo con le nostre politiche agli ambiziosi obiettivi che la Presidente della Commissione ha indicato. Il che non significa negare gli interessi nazionali, ma essere consapevoli che quegli interessi si difendono e si affermano non con il conflitto, ma con la costruzione insieme agli altri nostri partner di soluzioni in cui i cittadini possano riconoscersi. E lo stesso approccio fondato su una sintonia europea è necessario per il Mediterraneo, a cui dobbiamo guardare non come ad una frontiera da blindare, ma come alla regione Sud del nostro continente. Non sarà l'Italia da sola, come nessun altro Paese europeo da solo, a dare soluzione stabile alla crisi libica; e proprio perché quella crisi investe direttamente il nostro Paese, l'Italia, più di ogni altro, ha il dovere di battersi perché l'Europa metta in campo un'azione efficace, perché le tante crisi che scuotono l'area dal Golfo Persico a Gibilterra investono direttamente la stabilità e sicurezza dell'Europa e richiedono un'azione comune europea. E se il nostro sguardo si alza a un orizzonte più ampio, non possiamo non vedere che in questo secolo il destino del pianeta sarà segnato da ciò che accadrà in Africa, continente che da qui alla fine del secolo vedrà i suoi abitanti passare dall'attuale miliardo 200 milioni a 4 miliardi. Serve una visione strategica e di respiro che guardi a Europa, Mediterraneo e Africa come a un unico grande macro-continente dal destino comune, come una visione più ampia serve nelle relazioni con i grandi Paesi del mondo, dalla Cina al Brasile all'India, e con i tanti Paesi emergenti che si affacciano nell'economia globale. Insomma, un'Italia che voglia pesare deve stare dentro spazi e orizzonti larghi, concorrendo alla ricostruzione di un sistema multilaterale e sostenendo il rilancio e il rafforzamento delle istituzioni internazionali nella direzione della costruzione di sedi e luoghi di governo della globalizzazione. Sì, perché a quell'anarchia della globalizzazione che, giustamente, viene denunciata come causa di molte ingiustizie e ferite sociali deriva proprio dal fatto che ha una dimensione globale che permea ogni attività del mondo di oggi, non corrispondono istituzioni sovranazionali e globali forti. Ancora una volta, non è il sovranismo nazionale la risposta, ma la costruzione di istituzioni sovranazionali e globali più efficaci, autorevoli, dotate di strumenti e risorse per esercitare effettivamente una governance delle molte dimensioni globali che permeano la vita del Pianeta. È un obiettivo questo - e mi avvio alla conclusione - tanto più importante oggi di fronte al riemergere di pericolose guerre commerciali, che possono provocare danni rilevanti a un'Italia presente con le sue imprese su tutti i mercati. Né possiamo ignorare i rischi che provoca il diffondersi in Europa e nel mondo di un'idea autocratica e illiberale della democrazia e di una riduzione, in molti Paesi, di diritti fondamentali delle persone. Abbiamo bisogno che la globalizzazione non sia solo dei mercati, degli scambi, delle monete, abbiamo bisogno di una globalizzazione dei diritti e della democrazia. Quei ragazzi che, da mesi, lottano per la loro libertà a Hong Kong interrogano anche la nostra responsabilità. Così l'Italia può ritrovare un ruolo autorevole e riconosciuto come lei ha evocato, corrispondendo a quell'obiettivo che lei, Presidente, ha evocato all'inizio delle sue dichiarazioni, laddove ha detto che il nostro obiettivo è assicurare ai nostri figli un Paese capace di offrire opportunità, prosperità, sicurezza di vita. Lo potrà fare un'Italia capace di stare nel mondo e con le sue proposte, le sue idee e i suoi valori concorrere a un mondo più giusto e più sicuro per tutti.
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