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C'è bisogno di avere in campo tutto il PD

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco MirabelliIntervento all'assemblea PD del Municipio 9 di Milano.

La nascita del nuovo Governo ha bisogno di avere in campo tutto il PD sui territori e di rilanciare una funzione del partito che non sia solo propagandistica ma che sia anche una capacità di ascoltare i territori e valorizzare sui territori le cose che si fanno, chiudendo una fase in cui il partito si è presentato come lo strumento in cui si discuteva all’interno solo sulle proprie dinamiche.
Questo è fondamentale se vogliamo riuscire a governare bene in una fase così complicata e così inaspettata, come quella che si è aperta.
Avremo sicuramente bisogno di fare delle riflessioni: abbiamo dovuto fare una serie di scelte ma ora occorre ragionare sul come ci attrezziamo per essere all’altezza delle nuove sfide.
Abbiamo chiuso il Senato l’8 agosto convinti che il Governo giallo-verde sarebbe rimasto in carica e avrebbe fatto poi la manovra economica: non c’erano segnali che ci facevano presagire il salto di qualità dalla rissa permanente ad un atto come la mozione di sfiducia che ha portato alla crisi.
Invece c’è stata la crisi e ha avuto uno sviluppo rapidissimo.
Il Segretario Zingaretti, nella Direzione Nazionale, ha espresso comprensibili dubbi dopo di che bisognava fare delle scelte e avere il coraggio di prendere delle decisioni e di portarle avanti.
Intanto, però, possiamo dire che Salvini non è più al Governo e questo è un risultato che abbiamo ottenuto e di cui possiamo essere contenti perché vi abbiamo contribuito in maniera determinante.
Inoltre, oggi il PD è al Governo.
Qualche mese fa ci trovavamo a discutere della sopravvivenza del PD dopo la sconfitta elettorale del marzo 2018 mentre oggi abbiamo dimostrato di avere ancora le energie, la capacità e i gruppi dirigenti in grado di dare un contributo forte al Paese e di avere un riconoscimento.
Dobbiamo comunque partire dalle ragioni per cui è caduto il Governo giallo-verde anche per capire il perché delle scelte che abbiamo fatto.

Il Governo giallo-verde è caduto perché Matteo Salvini - che non guardava all’interesse del Paese, altrimenti non avrebbe aperto una crisi ad agosto, rischiando di mettere a repentaglio la Legge di Bilancio, alimentando una sfiducia complessiva in chi vuole comprare il nostro debito pubblico e, quindi, con il rischio di penalizzare ulteriormente il bilancio - aveva a cuore la possibilità di capitalizzare questo anno e mezzo in cui è stato al Governo, utilizzando il Ministero degli Interni come una macchina per la propaganda e costruendosi un consenso ampio. La scelta di Salvini, quindi, è stata quella di chiudere l’esperienza di Governo, convinto di andare al voto per capitalizzare quella forza che i sondaggi gli attribuivano.
Salvini ha poi detto esplicitamente che l’obiettivo era avere “pieni poteri”, dentro ad una concezione della democrazia che si traduce nel rapporto diretto tra il leader e il popolo, in cui il Parlamento, le autorità di garanzia devono essere messe da parte, come il modello Putin o Orban.
Il disegno di Salvini era questo e questa è la ragione per cui si è aperta la crisi di Governo.
Se poi Salvini avesse vinto le elezioni, ci sarebbero state conseguenze drammatiche per l’Italia e per la nostra democrazia.

Legate alle ragioni per cui Salvini ha deciso di fare cadere il Governo giallo-verde ci sono le motivazioni per cui in Parlamento si è lavorato per trovare un’altra maggioranza.
Il paradosso è che Salvini voleva smontare il Parlamento e proprio in Parlamento aveva subito una prima pesantissima sconfitta durante le votazioni sul calendario dei lavori in Senato.
Salvini, nel tentativo di anticipare il voto sulla mozione di sfiducia a Conte, stava tentando di accelerare la discussione per garantirsi il ritorno alle urne.
Il fatto che il Parlamento abbia votato un calendario diverso da quello che Salvini auspicava ha prodotto per lui una sconfitta e si è avviata una fase in cui le forze presenti in Parlamento, in particolare il PD e M5S, hanno cominciato a porsi la questione sulla possibilità di costruire una nuova maggioranza di Governo.
Alla base c’erano delle motivazioni forti: sicuramente la crisi avrebbe penalizzato i cittadini e, quindi, si è pensato al Paese non alle poltrone.
Oltretutto, l’accusa di pensare alle poltrone è venuta da chi fino all’ultimo giorno ha occupato i Ministeri per fare delle nomine, ha dato incarichi e soldi.

È interesse del Paese che ci sia un Governo perché serve una manovra che non faccia aumentare l’IVA e questo riguarda le persone più deboli perché sarebbero loro a risentirne di più dell’aumento dell’IVA sui generi di consumo.
Inoltre, bisognava evitare un altro danno economico che, andando a elezioni e con la prospettiva di vittoria dei sovranisti, avrebbe corso il Paese.
Lo spread segnala la fiducia nell’economia di un Paese, se aumenta vuol dire che chi deve comprare il nostro debito – e noi lo abbiamo alto – lo fa pagare molto di più e, quindi, vengono tolti soldi che se ci fossero potrebbero essere usati per i servizi per i cittadini.
Se lo spread scende, se la fiducia degli investitori che comprano il debito è più alta, ce lo fanno costare meno e, quindi, si liberano più risorse per i cittadini.
Di fronte ad uno schieramento sovranista che raccontava al mondo che avrebbe trovato 24 miliardi, che avrebbe trovato altri 15 miliardi per fare la flat tax e presentava un modello economico improponibile che avrebbe aumentato a dismisura il debito, è evidente che ci sarebbe stato un innalzamento dello spread, riducendo, quindi, ulteriormente le risorse a disposizione.
Salvini, inoltre, ha esplicitamente scelto di essere il capo a livello europeo di una battaglia per distruggere l’Europa e ritornare agli Stati nazionali ma a livello europeo ha perso quella battaglia. M5S e PD, che compongono il nuovo Governo, sul fronte europeo si sono invece schierati insieme per restare in Europa, per avere un’Europa più forte e non per minare l’Unione. Questa è l’altra ragione per cui penso che fosse giusto provare a fare un Governo insieme.
Al di là delle ragioni, però, non c’era nulla di scontato.

Va dato merito al Segretario Zingaretti di aver avuto in testa fin dall’inizio una cosa: che si andasse alle elezioni o che si andasse a costruire un Governo, la condizione fondamentale era tenere unito il PD, anche nell’interesse del Paese.
Abbiamo fatto bene, quindi, a dire che non avevamo paura delle elezioni e che, anzi, nel momento in cui si è aperta la crisi di Governo per il PD diventavano la strada maestra, soprattutto sapendo che il partito non sarebbe stato unito sul tema del rapporto con M5S.
Quando, anche chi in questi anni ha osteggiato l’alleanza con M5S ha scelto di mettersi a disposizione di un’ipotesi di Governo PD-M5S-Leu, le cose sono cambiate, si è cominciato a discutere e credo che si sia arrivati ad un esito positivo, gestendo una trattativa con grande equilibrio e serietà.
Voglio valorizzare il lavoro di Zingaretti su un punto: quello raggiunto è stato l’accordo ricercato da una squadra. I capigruppo hanno seguito la parte del programma; Andrea Orlando e Dario Franceschini hanno seguito le questioni relative alla squadra di Governo; il Segretario Zingaretti ha coordinato e portato tutto il partito e ha anche dimostrato che non bisogna essere necessariamente sui giornali tutti i giorni o fare dichiarazioni ogni minuto per ottenere i risultati.
Una delle prime accuse che venivano fatte a Zingaretti era quella di esser troppo silenzioso, invece, quel tipo di lavoro, soprattutto in questa fase, è stato molto utile e ha portato ad un risultato importante.

Ora, credo che il tema vero su cui dobbiamo da subito lavorare sia quello della discontinuità.
È chiaro che avremmo preferito che il Presidente del Consiglio fosse in discontinuità rispetto al passato ma bisogna anche tener conto che in Parlamento abbiamo a che fare con M5S che è una forza politica che ha il doppio dei nostri voti e, dunque, non possiamo non riconoscergli la possibilità di orientare alcune scelte.
Inoltre, credo che su un punto Conte sia stato utile: non condivido nulla di ciò che ha fatto il Governo giallo-verde ma riconosco al Presidente del Consiglio di aver evitato una rottura con l’Europa che ci sarebbe stata se si fosse lasciata la partita nelle mani di Salvini.
Oggi, però, ci sono elementi di discontinuità sulle questioni di merito.
Innanzitutto, il primo elemento di discontinuità, che dobbiamo valorizzare, è che noi non abbiamo fatto un contratto.
Lo scorso Governo è caduto perché partiva dall’assurda idea in cui si potesse fare un accordo in cui i due partiti che componevano la maggioranza potevano mettere ciascuno la propria bandierina. Dopo aver approvato le prime cose (quota 100 e reddito di cittadinanza), il resto non stava più insieme.
Due forze politiche diverse o cercano una sintesi e proposte comuni, come stiamo cercando di fare, o altrimenti difficilmente un Governo sta insieme e può essere utile al Paese.
Questo è un punto da valorizzare.
Il Governo giallo-verde era in permanente campagna elettorale e ciascuna forza politica puntava a piantare le proprie bandierine ideologiche e non guardava all’interesse del Paese ma a quello elettorale.
Inoltre, ci sono alcune cose già in campo, che si stanno predisponendo in vista della prossima manovra economica.
L’obiettivo, infatti, non è solo il congelamento delle clausole di salvaguardia per impedire l’aumento dell’IVA.
Nell manovra prevediamo di mettere anche il taglio del cuneo fiscale che significa un taglio delle tasse sul lavoro per lasciare più soldi ai lavoratori, su cui c’è già una proposta del PD su cui anche M5S concorda.
Questa sarà una delle cifre che darà il senso dell’azione politica del nuovo Governo.
Rispetto agli investimenti, al futuro, alla crescita, c’è l’idea che con la Legge di Bilancio si rimette in campo il programma Industria 4.0, che era stato accolto con grande favore da tutte le imprese e che aiuta le imprese che investono sull'innovazione e, quindi, sul futuro del Paese. Questo implica, ad esempio, anche affrontare il tema dei mutamenti climatici e della green economy, che saranno altri punti qualificanti che metteremo in campo.
Dopo una stagione di un anno e mezzo in cui si sono fatti 9 condoni fiscali, si sceglie di mettere la lotta all’evasione come punto fondamentale e dirimente, con l’idea di ritornare sulla strada che ci ha consentito di avere più entrate dall’IVA nelle casse dello Stato - e questo salverà in parte il nostro bilancio - grazie alla fatturazione elettronica.
Ripartiamo da qui e queste sono proposte nostre, non di altri.
Dimostreremo che stiamo facendo un Governo ben diverso da quello precedente.

Un’altra questione riguarda la squadra di Governo.
Credo si sia fatto uno sforzo molto serio per costruire una squadra intelligente.
Abbiamo fatto la scelta di una discontinuità rispetto alle esperienze precedenti: solo Dario Franceschini, che ha condotto la trattativa e che farà il capodelegazione del gruppo del PD nel Governo, è tornato Ministro dopo averlo già fatto nella scorsa Legislatura; gli altri sono tutte figure importanti, competenti, che non hanno mai fatto i Ministri e abbiamo occupato ruoli importanti, scegliendo di stare sull’economia con Roberto Gualtieri, che ha grande credito internazionale, o le infrastrutture, sapendo che in quest’anno su questo fronte si è molto rallentato.
Dobbiamo anche essere molto convinti della scelta che si è fatta per il Ministero degli Interni.
Luciana Lamorgese ha dimostrato qui a Milano, quando ha fatto il Prefetto, di saper governare e gestire con grande equilibrio e anche umanità questioni spinose come quella dell’immigrazione o altre questioni di conflitto sociale.
È evidente che in quel Ministero serviva una figura che non esponesse il Ministero stesso alle continue e quotidiane polemiche, come ha fatto Salvini, e che servisse una figura che facesse il Ministro e non che trasformasse il luogo in una macchina di propaganda.
Questi due fattori sono importanti.
Sarà difficile per Salvini spiegare all’ex Prefetto Lamorgese come si fa l’ordine pubblico e garantire la sicurezza ai cittadini.

È anche un Governo in cui M5S non ha la maggioranza in Consiglio dei Ministri e, quindi, c’è un riconoscimento di un pari peso che viene dato alle due forze principali della maggioranza.
In questo ambito, la discontinuità maggiore deve essere l’avere una squadra di Governo che parli del Paese delle cose che fa per il Paese e non passi le giornate a litigare per portare ognuno il consenso elettorale dalla propria parte.
C’è da ritornare ad un Governo normale, costituito da un’alleanza normale, in cui si guarda all’interesse del Paese e si lavora per risolvere i problemi, condividendo le soluzioni e dando al Paese un’idea di serenità, dopo un anno e mezzo di urla e semine di odio. Abbiamo bisogno anche di questo nei comportamenti e penso che si veda già che c’è uno stile diverso.
I ministri parlano per dire quello che vogliono fare e non contro altri ministri.

Questo, inoltre, è il Governo che ci riporta in Europa dalla porta principale.
La scelta di Paolo Gentiloni come Commissario Europeo è una scelta importante e sarà ancora più importante se avrà un incarico di primo piano.
Non è una medaglia che si mette il Governo ma è importante per il Paese, perché ricostruire una credibilità in Europa è la condizione per dare il nostro contributo a cambiare l’Europa e affrontare con forza questioni fondamentali come quelle della flessibilità e dell’immigrazione.
Più siamo credibili e più sarà possibile ottenere risultati.
Il tema dell’Europa è decisivo.
In questi giorni esponenti della destra pensano di fare un torto spiegando che Merkel, Macron e gli europeisti sono contenti del Governo Conte. Invece, è ovvio che a fronte di un rischio di un blocco sovranista (che in Italia ha avuto una grande forza) che vuole distruggere l’Europa, nel momento in cui si forma un governo che fa dell’Europa un elemento fondante del proprio essere, dicendo che vogliamo cambiare l’Europa ma la vogliamo più forte, è legittimo che tutti quelli che la pensano così siano contenti. Di questa fiducia credo che ne beneficeranno i cittadini, perché significa che avremo più aiuto e disponibilità da parte dell’Europa.
Qualcosa è anche già successo perché da quando il Governo giallo-verde è caduto e Salvini ha perso, lo spread è sceso, il che vuol dire che già oggi ci sono disponibili soldi in più che non si pagheranno per gli interessi ma che si potranno utilizzare per i cittadini.

Noi stiamo facendo una scommessa e dobbiamo guardare con coraggio ad un’impresa, ci siamo messi in un campo complicato, tutto da costruire.
Nei prossimi mesi dovremo discutere di come gestiamo questa fase, che valore attribuire a questa fase in vista del futuro, per cosa vogliamo lavorare: se vogliamo lavorare perché da qui si parta per costruire un’alternativa più forte alla destra e al sovranismo in Italia oppure è solo un passaggio.
Certamente questo Governo deve durare, non solo per eleggere il Presidente della Repubblica ma soprattutto perché siamo tutti consapevoli che se non si fanno cose positive per il Paese e non si crea un clima diverso, finito questo Governo, rischiamo che Salvini sia più forte e non più debole.
Credo che ci siano tutte le condizioni affinché Salvini possa essere marginalizzato e perdere consenso, se faremo più cose concrete e meno chiacchiere e riusciremo a dare il senso che il Paese può vivere più serenamente anche la politica.

Video dell’intervento»  

Abbiamo fatto un’opposizione debole al Governo giallo-verde, è stato difficile anche per le parti sociali fare opposizione, però tutti insieme ci siamo trovati in una dimensione politica totalmente atipica in cui per un anno e mezzo M5S e Lega hanno cercato di occupare tutto il campo, facendo sia maggioranza che opposizione.
In questi mesi ci siamo rafforzati politicamente: il risultato delle elezioni europee ha dimostrato che non siamo scomparsi o inutili.
Dobbiamo anche riconoscere che se oggi Salvini non è più Ministro è merito del PD. Salvini ha fatto cadere il Governo ma è stato il Partito Democratico a capire quali sarebbero state le conseguenze di un eventuale ritorno alle urne e, da qui, la necessità di mettersi in gioco, costruendo passaggi che hanno messo al centro la tenuta dell’unità del PD.
Bisogna ricominciare ad ascoltarsi e ad ascoltare. Zingaretti ha ascoltato le opinioni dei vari dirigenti e poi alla fine ha scelto una strada condivisa, costruendo unità.
La politica si fa anche ascoltandosi, non partendo da punti fermi immodificabili.
È chiaro che stiamo rischiando ma abbiamo messo in campo le carte giuste.
M5S in Parlamento ha il doppio dei parlamentari del PD e, quindi, è evidente che non potevamo imporre di fare tutto ciò che volevamo.
Il Ministro dell’Economia, però, è il Ministro da cui passa ogni provvedimento perché li deve autorizzare, quindi, abbiamo fatto bene a volerlo noi quel ruolo.
Lavoriamo per capire se da qui si può costruire un’alternativa politica al sovranismo e lo vedremo già dalle prossime elezioni regionali.
Il rischio che M5S siano inaffidabili c’è, però, sono anche quelli che non possono permettersi di andare a votare e, quindi, ci sarà una disponibilità maggiore a discutere.
Il tema della casa lo abbiamo nel programma del partito e lo abbiamo introdotto nel programma di Governo e come PD abbiamo depositato una proposta di legge complessiva su queste questioni. Inoltre, la casa è una delle priorità di tutte le forze politiche che compongono la nuova maggioranza di Governo.
Sull’immigrazione condivido l’accoglienza come atteggiamento generale, però, dobbiamo parlare di governo dell’immigrazione, che è ciò che non è stato fatto.
In questo anno e mezzo le forze di Governo si sono dedicate al colpire chi salvava le persone in mare e a fare propaganda con i porti chiusi mentre in realtà il fenomeno deve essere governato.
Questo significa lavorare per impedire i flussi in entrata incontrollati e vuol dire fare una nuova legge sull’immigrazione per consentire di arrivare a chi deve lavorare. Oggi in Italia si riesce a entrare solo da clandestini. Bisognerà, quindi, intervenire sui decreti sicurezza per cambiarli.
Inoltre, bisogna insistere sulla modifica del Trattato di Dublino perché la redistribuzione dei migranti sul territorio europeo diventa una questione fondamentale e Sassoli ha già messo questo tra le priorità.
Se chi arriva in Italia arriva in Europa vuol dire che tutta l’Europa si deve far carico del problema e così le cose assumono un’altra dimensione.
Il punto, però, non è quanti migranti arrivano e quanti vanno via ma è l’integrazione, che è un tema che Salvini non ha risolto.
La sensazione di disordine di fronte ad un’immigrazione non controllata è quello su cui l’opinione pubblica è più sensibile e su cui dobbiamo dare risposte.

Video dell’intervento» 

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