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Milano, da Cenerentola d’Europa a place to be

Scritto da Corriere della Sera.

Milano
Articolo del Corriere della Sera.

Da Cenerentola d’Europa a place to be. L’enfasi di un decennio milanese è tutta racchiusa in due titoli. Il primo è del Financial Times, aprile 2009 e disegna la città come fanalino di coda del continente, chiusa, rancorosa, incapace di programmarsi. Il secondo è del New York Times, anno domini 2015, subito dopo i fasti di Expo: non sei cool, non sei smart se non sei nel luogo dove devi essere. Milano, appunto. Una narrazione arrivata fino ai giorni nostri al punto da diventare stucchevole. Qual è la realtà? Il decennio che si chiude oggi sembra raccontare un’altra storia: Milano nel 2010 non era il peggiore dei mondi possibili, Milano nel 2020 non è il migliore dei mondi possibili. Nella via di mezzo c’è il racconto di questo decennio.
Dieci anni inaugurati da un cambio epocale. Si chiude l’era del centrodestra in città e si apre quella del centrosinistra. A giugno 2010 Giuliano Pisapia presenta la sua candidatura a sindaco di Milano. Sono in pochi a crederci. L’armata del centrodestra sembra imbattibile. Governa la città dal 1997. In Regione c’è una persona che risponde al nome di Roberto Formigoni. Nel 2010, viene rieletto presidente della regione più ricca d’Italia per la quarta volta. Le elezioni comunali che si terranno nel 2011 sembrano una formalità per Letizia Moratti. Noi giornali «colpevoli» di aver capito ben poco ci interroghiamo se il vicesindaco sarà Matteo Salvini, allora capogruppo della Lega o ancora una volta Riccardo De Corato. A spazzare via ogni dubbio è la burrasca che il 25 maggio colpisce Milano, sollevando le gonne delle signore in Galleria Vittorio Emanuele, sparpagliando nel cielo i volantini del candidato, ribaltando gli ombrelli del popolo arancione raccolto in piazza Duomo per il concerto di chiusura della campagna elettorale di Pisapia. Settantamila sotto la pioggia e la certezza della vittoria.
Con Pisapia si entra nell’era dei diritti, quelli negati, quelli che esistono ma non sono riconosciuti. Le unioni civili, il registro del biotestamento. Un cambio di paradigma. Il centrodestra come lo conoscevamo si sfalda in anticipo rispetto al resto del Paese. Dopo Moratti, tocca al Celeste. La caduta di Formigoni è fragorosa. Ancor prima della chiusura anticipata della legislatura arriva la notizia che è indagato per corruzione nell’ambito dell’inchiesta sulla Maugeri e sul San Raffaele. Il resto è storia, la condanna, il carcere e adesso la detenzione domiciliare. Un altro dramma matura in quegli anni. Filippo Penati sfidante di Formigoni alle regionali del 2010, viene indagato per concussione e corruzione in merito al Sistema Sesto.
Penati supererà indenne i processi penali. E’ scomparso ai primi di ottobre. Milano gli ha dedicato un Ambrogino alla memoria. Ma se la cesura della politica è stata drammatica per la sua repentinità, il decennio che si va chiudendo ha messo in risalto un’altra peculiarità della città: la continuità istituzionale. Difficile che un sindaco butti all’aria il lavoro del suo predecessore. Nessuno ha gettato in discarica (anche se la tentazione c’è stata) l’avventura di Expo fortissimamente voluta da Letizia Moratti e strappata a Smirne nel 2006, quando la crisi che ha piegato il pianeta e l’Italia era ancora là da venire. Quel voto a Parigi è stato l’antidoto e il seme che ha permesso alla città di superare anni difficilissimi e — dopo il 31 ottobre 2015, giorno di chiusura dei cancelli di Expo — di spiccare un volo che non si è ancora concluso. Beppe Sala, in tutto ciò, ha giocato un ruolo strategico. Prima realizzando l’evento che in tanti davano per fallito, dopo mettendone a frutto l’eredità.
Quei giorni raccontarono anche un’altra caratteristica del decennio. Dopo la devastazione del primo maggio da parte dei black bloc, ventimila milanesi chiamati a raccolta da Pisapia scesero per strada e ripulirono la città. Altri semi di futuro erano stati piantati in precedenza. Invisibili per anni. Fino a che in un giorno di ottobre del 2011 i milanesi si accorgono che lo skyline cittadino è cambiato. La torre di Unicredit svetta per 231 metri. Porta Nuova partorisce grattacieli, l’Isola ospita il Bosco verticale. Milano attira investimenti. A CityLife ci vuole più tempo, ma anche quei semi risalgono a molto tempo prima quando sindaco era Gabriele Albertini.
Ora il testimone di Milano è in mano a Sala che ha sempre riconosciuto i debiti con il passato. Quello che ha messo di suo è il consolidamento di una posizione. Il sindaco è consapevole che un primo tratto di strada è stato fatto, Milano internazionale funziona, arrivano gli studenti, così come i turisti. Le multinazionali fanno a gara per trovare sede nel «place to be», gli investimenti per i prossimi anni sono miliardari, la città è prima per qualità della vita. Ma è anche consapevole che questa narrazione di una patina splendente è inadeguata, in certi casi odiosa e il «migliore dei mondi possibili» è solo un’idea limite. Il controcanto sono i precari del lavoro, le nuove povertà, il costo della vita, le case a prezzi stellari, l’inquinamento, il consumo di suolo.