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A Madrid è stata persa un’opportunità

Scritto da Chiara Braga.

Chiara BragaA Madrid è stata persa un’opportunità ma se falliamo ora la storia ci ricorderà come quelli che non hanno agito e ne avevano gli strumenti; e i nostri nipoti non ci perdoneranno”. Con queste parole qualche giorno fa il Segretario generale dell’Onu Guterres ha sintetizzato nel suo intervento al Senato della Repubblica la delusione per il fallimento dei negoziati sul clima alla COP25 appena conclusa.
Alla vigilia di questo appuntamento nessuno era particolarmente ottimista, ma la conclusione della Conferenza delle Parti che avrebbe dovuto definire i termini del passaggio il prossimo anno alla piena operatività degli Accordi di Parigi si è conclusa ancora peggio di quanto ci si poteva aspettare.
Un segnale pessimo non solo per il risultato in sé, ma almeno per altri due altri motivi. Nemmeno la gigantesca mobilitazione per il clima guidata da Greta e dai più giovani in tutto il mondo ha convinto i capi dei governi riuniti a Madrid a superare le resistenze e ad assumere le decisioni coraggiose e necessarie per ridurre le emissioni e stabilire meccanismi di solidarietà internazionale che consentano di ridurre l’impatto del cambiamento climatico.
E non è solo la scienza a dirci quanto sia urgente agire per contrastare i cambiamenti climatici: i danni prodotti dall’aumento della temperatura globale già oggi condizionano in negativo la vita quotidiana di milioni di persone, mettono a rischio la sopravvivenza di intere comunità oltre che dell’ecosistema, sono all’origine di conflitti e migrazioni, costano ai governi cifre altissime per fronteggiare i danni prodotti da aventi climatici estremi e imprevedibili. Nonostante questo continuiamo a non occuparcene, accecati da miopia ed egoismo che non fanno altro che scaricare sulle generazioni future il peso dell’irresponsabilità di quella attuale.
A Madrid è apparso chiaramente quanta distanza ci sia tra la gravità e l’urgenza della crisi climatica e l’inadeguatezza delle risposte che i singoli Stati e le istituzioni internazionali stanno mettendo in campo. Un tema politico che investe soprattutto la sinistra di fronte alle sfide globali. In un tempo in cui la destra agita paura ed evoca nuovi muri, propagandando una perversa idea di protezione, il nostro compito è ancora di più quello di interpretare la prevalenza dell’interesse collettivo su quello individuale. E oggi questo valore si traduce nella responsabilità di non distruggere il pianeta, di salvaguardare le risorse naturali che consentiranno alle generazioni future di vivere ancora sulla Terra, di accompagnare la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale ma anche economico e sociale. In fondo questo è uno dei grandi crinali su cui si misura la differenza tra destra e sinistra, tra torsioni sovraniste e sopravvivenza del modello delle democrazie liberali. Non è un caso che i maggiori responsabili del fallimento della COP25 siano stati gli Stati Uniti e il Brasile e invece l’Europa, pur con molte fatiche dettate dalle resistenze dei paesi dell’est, abbia visto rafforzato il suo ruolo di leadership globale nella lotta ai cambiamenti climatici. Proprio in queste settimane la nuova Commissione ha presentato la tabella di marcia per un Green Deal europeo: 1000 miliardi per investimenti per un’Europa sostenibile nei prossimi 10 anni, la BEI che diventerà Banca per il clima, il Fondo per una transizione giusta - 100 miliardi di investimenti per i prossimi 7 anni per proteggere e accompagnare i più esposti alla transizione. L’impegno a scorporare dal calcolo del deficit gli investimenti verdi, con una Golden rule europea per accelerare sulla transizione ecologica, su cui giustamente il Partito Democratico insiste a Bruxelles e a Roma. L’obiettivo è diventare il primo continente a impatto climatico zero al 2050: perché non c’è più tempo e il momento di agire è questo.
Certo, anche a livello europeo non ci si può affatto dichiarare soddisfatti; la strada è appena iniziata e bisogna garantire risorse adeguate per accompagnare questa trasformazione radicale, superando resistenze e ostacoli dettati ancora una volta dalle posizioni dei singoli Paesi, come abbiamo visto anche in questi giorni nel primo pronunciamento del Consiglio europeo su questi obiettivi. Ma dobbiamo sapere che nove cittadini europei su dieci chiedono un’azione più decisa per il clima; le imprese si stanno già orientando verso l’economia circolare e nuovi modelli di sviluppo sostenibili che possono generare crescita economica e occupazione prendendosi insieme cura del pianeta.
La COP26 si svolgerà l’anno prossimo a Glasgow e l’Italia ospiterà nel 2020 alcuni eventi preparatori decisivi legati a questo appuntamento: la pre-COP e la prima COP Giovani a Milano. Abbiamo una grande opportunità e anche una grande responsabilità. Per questo non ci devono essere dubbi, per il Governo e la maggioranza - e tanto meno per il Partito Democratico - sulla necessità di imprimere un’accelerazione e un’iniezione di coraggio proprio su questi temi.
In questi mesi di Governo del PD dobbiamo riconoscere come la rotta si sia finalmente invertita: una legge di bilancio che mobilita investimenti verdi per 50 miliardi nei prossimi anni, l’approvazione di misure importanti nel Decreto clima come la trasformazione del CIPE in Comitato per la Programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, l’impegno del Parlamento per la dichiarazione dello stato di emergenza climatica. Ma ci sono ancora troppi ritardi e qualche passo falso è stato compiuto, anche nella capacità di costruire percorsi condivisi con il mondo economico e del lavoro, mentre questo è l’unico modo per costruire una transizione ecologica che sia “socialmente desiderabile”. Ecco perché per noi deve diventare prioritario l’impegno a scrivere nell’agenda politica dei prossimi mesi una pagina nuova che leghi insieme crisi climatica e misure concrete per tradurre in realtà il Green Deal, l’approvazione di una legge contro il consumo di suolo e per la rigenerazione delle città e delle aree interne, il lavoro per il passaggio ad una vera economia circolare e lo sviluppo della green economy, una mobilità più sostenibile che contrasti l’inquinamento delle nostre città, una vera e coraggiosa riforma fiscale in chiave ecologica.
Basterebbe ascoltare con un po’ più di attenzione le voci che vengono anche dalle piazze piene di giovani e persone appassionate in queste settimane: la cura dell’ambiente e la responsabilità verso le generazioni future sono oggi valori capaci di mobilitare energie e intelligenze; tocca a noi raccoglierle e tradurle in scelte coerenti.

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