Censis: gli italiani senza più fiducia

Impoveriti dalla crisi, privati dell'ascensore sociale che per decenni aveva garantito un futuro migliore a si dimostrava in grado di conquistarlo, le ultime sicurezze portate via da un welfare sempre più traballante, ora gli italiani si ritrovano anche con il rischio di perdere quegli ultimi "stratagemmi individuali" che assicurano la sopravvivenza, dalla casa ai Bot a quello che il Censis definisce con convinzione, da sempre, il "nero" di sopravvivenza. Eppure non è il declino del Paese che questo 53esimo Rapporto, "La società italiana al 2019", vuole raccontare. Piuttosto emerge la faticosa ricerca di soluzioni individuali e collettive, in attesa che ci siano nuove élite in grado di conquistare la fiducia degli italiani, guidandoli fuori dalla trappola della non crescita, del ridimensionamento demografico e della finta crescita dei posti di lavoro.
"Fino ad oggi ha vinto il furore di vivere degli italiani che hanno messo in campo stratagemmi individuali per la difesa del futuro", afferma Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis. Stratagemmi che il Rapporto definisce "muretti a secco", barriere modeste ma solide di contenimento della caduta del Paese. Alcuni sono muretti di vecchia data, che da sempre proteggono e fanno crescere il Paese: in testa la dimensione manifatturiera, industriale, che vanta ancora per ampie fasce la capacità di innovare. Ma poi c'è anche la maggiore resilienza di alcune aree del Paese, che non condividono i numeri del declino, e anzi vantano "un tasso di crescita del prodotto interno lordo e dei consumi paragonabili alle migliori Regioni europee": in particolare il nuovo triangolo industriale tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, la fascia dorsale lungo l'Adriatico.
Ma ci sono anche muretti a secco nuovi: il più importante è la nuova sensibilità ai problemi del clima, che favorisce la partecipazione sociale e avvia, sia pure lentamente, forme di economia innovative come l'economia circolare. Ci sono muretti a secco che ritornano, come l'adesione all'Unione Europea, che adesso ridiventa maggioritaria, con il 62% degli italiani che è convinto che non bisogna uscire dall'Europa . E ci sono muretti a secco che vacillano: l'investimento immobiliare e quello in titoli di Stato e la liquidità, che da sempre ha favorito una "rimessa in circuito" non sempre ortodossa, ma che ha garantito negli anni, osserva il Censis, "una sostanziale tenuta sociale".
Dal 2011 la ricchezza immobiliare delle famiglie ha subito una decurtazione del 12,6% in termini reali. E il 61% degli italiani non comprerebbe più i Bot, visti i rendimenti microscopici. Inoltre il lavoro da tempo non è più una certezza, e l'aumento dei posti di lavoro registrato negli ultimi anni si è ampiamente rivelato un bluff: rispetto al 2007, nel 2018 si contano 321.000 occupati in più, in realtà c'è stata una riduzione di 867.000 occupati a tempo pieno e un aumento di 1,2 milioni di occupati a tempo parziale. Nel periodo 2007-2018 il part time è aumentato del 38% e anche nella dinamica tendenziale (primo semestre 2018-2019) è cresciuto di 2 punti. Oggi un lavoratore ogni cinque ha un impiego a metà tempo, e spessissimo si tratta di part-time involontario. "Il lavoro è la preoccupazione numero uno degli italiani. Viene prima di sicurezza e immigrazione", ribadisce Valerii.
E gli italiani, pur cercando strategie di sopravvivenza, da un lato non hanno più fiducia in nulla, non nella Pubblica Amministrazione, non nella politica, dall'altro precipitano nell'ansia. Il 74% degli italiani si è sentito molto stressato per questioni familiari, per il lavoro o senza un motivo preciso e addirittura, rileva il Censis, il 55% dichiara che talvolta "parla da solo" (in auto, in casa). Del resto, nel giro di tre anni (2015-2018) il consumo di ansiolitici e sedativi (misurato in dosi giornaliere per 1.000 abitanti) è aumentato del 23% e gli utilizzatori sono ormai 4,4 milioni (800.000 di più di tre anni fa). Il 75% degli italiani non si fida più degli altri, il 49% ha subito nel corso dell’anno una prepotenza in un luogo pubblico (insulti, spintoni), il 44% si sente insicuro nelle vie che frequenta abitualmente, il 26% ha litigato con qualcuno per strada.
Eppure, gli italiani sperano nel meglio. E continuano ad avere una vita decente sotto profili diversi da quelli strettamente economici e lavorativi: nel 2018 la spesa delle famiglie per attività ricreative e culturali è stata pari a 71,5 miliardi di euro. Mentre gli italiani che prestano attività gratuite in associazioni di volontariato sono aumentati del 19,7% negli ultimi dieci anni, del 31,1% quelli che hanno visitato monumenti o siti archeologici, del 14% quelli che hanno visitato un museo. E sono 20,7 milioni le persone che praticano attività sportive. Soluzioni che hanno arginato la crisi, ma non sono sufficienti a superarla: "Alla crisi economica c'è stata una risposta individuale, lo sforzo degli italiani nel mettere in campo forme di reazione come il 'viver bene' individuale, ma non basta. - osserva Giorgio De Rita, segretario generale del Censis - Serve anche il 'viver bene' collettivo. Non bastano dunque i singoli, ma serve una risposta collettiva".
Si cercano politici integri, che guardino al futuro. Secondo il 47% degli italiani "ha ancora chance di raccogliere il giusto consenso il politico che pensa al futuro e alle giovani generazioni, piuttosto che esclusivamente al consenso elettorale (3%)".
"Toglietemi tutto, ma non il mio smartphone", si potrebbe dire parafrasando il noto spot pubblicitario. Ma a vedere - nero su bianco - i numeri del rapporto tra italiani e cellulare, un poco ancora si sobbalza.
Secondo il 53esimo Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese, oltre la metà (il 50,9%) controlla il telefono come primo gesto al mattino o l'ultima attività della sera prima di andare a dormire. Dati che testimoniano come la diffusione su larga scala dei telefonini 'intelligenti' nell'arco di dieci anni abbia finito con il plasmare i nostri desideri e i nostri abitudini. Nel 2018 il numero dei cellulari ha superato quello delle tv: in ogni famiglia ci sono in media 4,6 dispositivi mobili. In particolare, nelle case degli italiani ci sono 43,6 milioni di smartphone e 42,3 milioni di televisori. L'horror vacui del nuovo millennio pare esser diventato quello di restare senza carica: il 25,8% di chi possiede uno smartphone non esce di casa senza il caricabatteria al seguito.
In un rapporto che complessivamente delinea la forza degli italiani nell'aggrapparsi a strategemmi - sia individuali che di gruppo - per la sopravvivenza in attesa della classe politica, il Censis mette in fila alcuni risvolti curiosi (o meno) della nostra società.
Una radice alle insicurezze economiche arriva dal versante del lavoro. Per il Censis, l'aumento dell'occupazione nel 2018 (+321.000 occupati) e nei primi mesi del 2019 è un "bluff" che non produce reddito e crescita. Il bilancio della recessione è di -867.000 occupati a tempo pieno e 1,2 milioni in più a tempo parziale. Il part time involontario riguarda 2,7 milioni di lavoratori, con un boom tra i giovani (+71,6% dal 2007). Dall'inizio della crisi al 2018, le retribuzioni del lavoro dipendente sono scese di oltre 1.000 euro ogni anno. I lavoratori che guadagnano meno di 9 euro l'ora lordi sono 2,9 milioni.
Di fronte a questi numeri, si capisce perché nel 2017 il 31,1% degli emigrati italiani con almeno 25 anni era in possesso di un titolo di studio di livello universitario e il 53,7% aveva tra i 18 e i 39 anni (età media di 33 anni per gli uomini e di 30 per le donne). I famosi "cervelli in fuga". Tra il 2013 e il 2017 è aumentato molto non solo il numero di laureati trasferiti all'estero (+41,8%), ma anche quello dei diplomati (+32,9%). Tra il 2008 e il 2017 i saldi con l'estero di giovani 20-34enni con titoli di studio medio-alti sono negativi in tutte le regioni italiane. Quelle con il numero più elevato di giovani qualificati trasferiti all'estero sono Lombardia (-24.000), Sicilia (-13.000), Veneto (-12.000), Lazio (-11.000) e Campania (-10.000). Il Centro-Nord, soprattutto Lombardia ed Emilia Romagna, ha compensato queste perdite con il drenaggio di risorse umane dal Sud. Intanto l'Italia è via via più rimpicciolita e invecchiata: dal 2015 - quando è cominciata la flessione demografica, ed è stata una novità nella nostra storia - si contano 436.066 cittadini in meno, nonostante l'incremento di 241.066 stranieri residenti.
I giovani studenti che restano mostrano che l'etica ambientalista negli studenti è cresciuta, grazie all"effetto Greta": a pensarlo è il 73,9% dei 1.012 dirigenti scolastici intervistati dal Censis nel 53mo Rapporto. Il 60,9% ritiene che i propri alunni siano molto sensibili e partecipi delle esperienze che la scuola propone al riguardo. Il 17,4% riferisce che sono loro stessi a farsi promotori di una nuova etica ambientale presso le famiglie, per il 12,9% spesso si fanno latori di nuove iniziative presso le scuole stesse. Nell'87,9% degli istituti si è optato per una ottimizzazione dei materiali di consumo e nell'85,3% per la riduzione, il riutilizzo e il riciclo dei rifiuti. La salute e la corretta alimentazione degli alunni hanno rappresentato gli ambiti di intervento nel 66% delle scuole, dove sono stati aboliti cibi preconfezionati (snack, merendine, bibite gassate, ecc.) dai distributori automatici installati nei plessi scolastici (42,5%) o sono stati rimossi i distributori automatici, introducendo snack e merende preparate a scuola con cibi sani e prodotti locali (23,6%). Vi sono poi molti progetti finalizzati all'abolizione dell'uso della plastica a scuola, con la fornitura di borracce o l'installazione di distributori per l'acqua. Il 68,7% dei dirigenti di scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di I grado, e il 24,3% di quelli delle scuole secondarie di II grado hanno attivato orti scolastici. Nel 49,2% delle scuole gli studenti sono coinvolti in attività di giardinaggio e manutenzione del verde scolastico.
Gli italiani non ne possono più della politicaa. O meglio, non vogliono più vedere i politici: il 90% dei telespettatori, per intendersi, non li vorrebbe 'tra i piedi' mentre fa zapping. Se a questa stanchezza si uniscono tutte le incertezze sul fronte economico e sociale che caratterizzano questi tempi, ecco farsi strada nella mente dei concittadini una soluzione: l'uomo forte, al di sopra del Parlamento, che rassicuri.
Fa paura, pensando alla nostra storia, quel che emerge dall'ultimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese. Lo stato d'animo dominante tra il 65% degli italiani è l'incertezza. Dalla crisi economica, l'ansia per il futuro e la sfiducia verso il prossimo hanno portato anno dopo anno ad un logoramento sfociato da una parte in "stratagemmi individuali" di autodifesa e dall'altra in "crescenti pulsioni antidemocratiche", facendo crescere l'attesa "messianica dell'uomo forte che tutto risolve". Per quasi la metà degli italiani, il 48% per la precisione, ci vorrebbe "un uomo forte al potere" che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni.
Non è tutto. I moltiplicati segnali di pericolosa deriva verso l'odio, l'intolleranza e il razzismo nei confronti delle minoranze trovano conferma nel senso comune: il 69,8% degli italiani è convinto che nell'ultimo anno siano aumentati gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati. Eppure proprio gli stranieri sono sempre più funzionali al tessuto produttivo italiano: al primo semestre del 2019 i titolari di impresa nati all'estero che esercitano la propria attività nel nostro Paese sono 452.204 e rappresentano il 14,9% dei 3.037.661 titolari di impresa attivi in Italia. Tornando al problema dell'odio, significativo come per il 58% degli intervistati sia aumentato anche l'antisemitismo.
Pur in questo clima, gli italiani restano convinti al 62% dei casi che non si debba uscire dall'Unione europea, ma il 25%, uno su quattro, è invece favorevole all'Italexit. Se il 61% dice no al ritorno della lira, il 24% è favorevole e se il 49% si dice contrario alla riattivazione delle dogane alla frontiere interne della Ue, considerate un ostacolo alla libera circolazione di merci e persone, il 32% sarebbe invece per rimetterle.
Probabilmente a far disamorare gli italiani del sistema politico è anche l'incertezza per il sistema previdenziale, verso il quale aumenta il risentimento. Per il 45,2% degli italiani l'età pensionabile non deve seguire l'andamento della speranza di vita, mentre per il 43,2% speranza di vita ed età del pensionamento devono camminare insieme. Quasi 2 milioni di pensioni in Italia sono erogate da trent'anni o più (il 12% del totale), a fronte di una durata media di 24 anni. Sono il riflesso di periodi in cui era più facile andare in pensione, che però oggi generano cosi significativi per la previdenza. Il 53,6% delle pensioni erogate in Italia è inferiore a 750 euro mensili.
Non sorprende allora che il 73,9% degli italiani siano d'accordo con la necessità di portare le pensioni minime a 780 euro al mese con risorse pubbliche. Stenta poi a decollare il sistema sostenibile, specialmente tra i giovani. Nel 2018 erano quasi 8 milioni gli iscritti alla previdenza complementare, vale a dire il 34,3% degli occupati, ma la quota di iscritti scende al 27,5% tra i lavoratori millennial. Sono il 23,3% degli italiani dichiara di sapere bene che cosa sia la previdenza complementare (il 19,4% tra i 18-34enni).
In ambito sanitario, invece, il sistema pubblico non basta più: gli italiani sono costretti a rivolgersi al Servizio sanitario nazionale ma anche a operatori e strutture private, a pagamento. In particolare, quasi una prenotazione su tre per prestazioni che dovrebbero essere garantite dal pubblico si "dirottano" poi sul privato. Nel complesso, nell'ultimo anno il 62% degli italiani che ha svolto almeno una prestazione nel pubblico ne ha fatta anche almeno una nella sanità a pagamento: il 56,7% di chi ha un reddito basso e il 68,9% di chi ha un reddito di oltre 50.000 euro annui. Ci si rivolge al di fuori del Ssn sia per motivi soggettivi, per il desiderio di avere ciò che si vuole nei tempi e nelle modalità preferite, sia per le difficoltà di accedere al pubblico a causa di liste d'attesa troppo lunghe. I dati parlano chiaro: su 100 prestazioni rientranti nei Livelli essenziali di assistenza che i cittadini hanno provato a prenotare nel pubblico, 27,9 sono transitate nella sanità a pagamento. Mentre su 100 visite specialistiche 36,7 finiscono nella sanità a pagamento, così come 24,8 accertamenti diagnostici su 100.
A influenzare l'umore degli italiani ci pensano poi i media. Secondo il Censis, cambiano gli umori a seconda dei mezzi di comunicazione: Gli "arrabbiati" si informano prevalentemente tramite i tg (il 66,6% rispetto al 65% medio), i giornali radio (il 22,8% rispetto al 20%) e i quotidiani (il 16,7% rispetto al 14,8%). Tra gli utenti dei social network "compulsivi" (coloro che controllano continuamente quello che accade sui social, intervengono spesso e sollecitano discussioni) troviamo punte superiori alla media sia di ottimisti (22,3%) che di pessimisti (24,3%). Per leggere le notizie scelgono Facebook (46%) come seconda fonte, poco lontano dai telegiornali (55,1%), e apprezzano i siti web di informazione (29,4%). Facebook (48,6%) raggiunge l'apice dell'attenzione tra gli utenti "esibizionisti" (pubblicano spesso post, foto e video per esprimere le proprie idee e mostrare a tutti quello che fanno). I "pragmatici" (usano i social per contattare amici e conoscenti) si definiscono poco pessimisti (14,6%) e più disorientati (30,7%). Mentre gli "spettatori" (guardano post, foto e video degli altri, ma non intervengono mai), sono poco pessimisti (17,1%).