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Il risultato delle elezioni europee

Scritto da Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani
Analisi elaborata per la Direzione Regionale del PD della Lombardia.

1. Il quadro complessivo delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo svoltesi il 26 maggio scorso fa rilevare innanzitutto, considerando tutti i Paesi dell'Unione (ivi compreso il Regno Unito, che non ha ancora completato il processo della cosiddetta Brexit), un significativo aumento della partecipazione al voto, che sale al 50.9% degli aventi diritto rispetto al 42.61 fatto riscontrare alle elezioni del 2014. Per quanto riguarda i risultati complessivi, il gruppo del PPE registra una perdita complessiva di 38 seggi (dovuta in particolare ai risultati di Italia, Spagna, Francia e Germania) e il gruppo S&D, cui appartiene anche il Partito Democratico, una flessione di 34 seggi, dovuta in particolare ai risultati di Italia, Francia e Germania.
Il gruppo liberale dell'ALDE invece accresce di 37 il numero dei suoi deputati, grazie al risultato francese, spagnolo e (per quel che conta) britannico. Crescono anche i Verdi, con 22 seggi in più riscontrati in particolare in Germania e in Francia. Perde l'estrema sinistra del gruppo GUE/NGL, con 14 seggi in meno. Crescono invece i nazionalisti dell'ENF, grazie al mantenimento dei voti in Francia e alla crescita in Italia, e crescono pure i “populisti” dell'EFDD grazie al successo del Brexit Party di Nigel Farage che fa da riscontro al crollo dei Cinquestelle in Italia. In sostanza, è finita dopo quarant'anni l'autosufficienza dell'asse fra popolari e socialisti, i quali ora debbono per forza di cose aprire a forze europeiste come i liberali e i verdi. Dal canto loro, i populisti, sovranisti e nazionalisti, pur crescendo (sia pure in modo disomogeneo) rispetto al 2014 vedono fallire la loro aspirazione ad un'alleanza spostata a destra con il PPE e la loro presenza a Strasburgo è inessenziale se non marginale. E' di questi giorni peraltro la notizia che Viktor Orban, il più inquietante dei personaggi di quest'area, avrebbe completamente scartato l'idea di una qualsiasi forma di alleanza con la Lega e con il Rassemblement National aprendo alla collaborazione fra popolari, liberali, verdi e socialisti.
 
2. L'Italia si situa in controtendenza. A votare è andato il 54.5% degli aventi diritto, circa il 3% in meno rispetto a cinque anni fa. Ma è in controtendenza anche politicamente, giacché è in Italia che le forze sovraniste trovano la loro maggior crescita nel territorio dell'Unione - tenuto conto del fatto che il risultato del RN francese è di consolidamento, anzi di lieve arretramento rispetto al 2014, e che il partito di Orban aderisce al PPE - grazie allo spettacolare aumento della Lega, che guadagna 28 punti percentuali e 24 seggi rispetto al 2014, mentre il PD arretra rispetto all'irripetibile 40% di cinque anni fa di 18 punti e 12 seggi, il Movimento 5 stelle perde 4 punti e 3 seggi, Forza Italia cede 8 punti e 6 seggi. A guadagnare sono i Fratelli d'Italia, che a livello europeo aderiscono al Gruppo dei Conservatori (ECR) e guadagnano quasi tre punti e sei seggi. La sinistra estrema scompare dal Parlamento europeo, e non ottengono rappresentanti a Strasburgo nemmeno le forze che si richiamano ai due veri vincitori continentali, i liberali ed i verdi.

3. Il risultato della Lombardia rispecchia quello nazionale, amplificando tuttavia la crescita della Lega, che arriva al 43%, e la disfatta dei grillini che crollano al 9.34% sopravanzando di poco Forza Italia. Il Partito Democratico guadagna un punto rispetto alla media nazionale attestandosi al 23%. Analizzando in modo più sistematico i dati territoriali si può notare come in tutte le Province e nel territorio metropolitano milanese la Lega risulti il primo partito, con percentuali diverse che talvolta vengono capovolte in particolare nelle grandi città, come dimostra il fatto che a Milano (in maniera più pronunciata) e a Bergamo il PD sia il primo partito, a testimoniare di un rapporto fra nuclei urbani e territori esterni segnato da forti discrasie sociali che si manifestano anche nella diversa reazione all'offerta politica. In ogni caso la partecipazione al voto in Lombardia si è collocata al 64%, ben al di sopra della media nazionale (pur con una flessione di due punti rispetto a cinque anni fa) . A nostra soddisfazione dobbiamo rilevare come dei cinque parlamentari espressi dal PD nella circoscrizione nord – occidentale ben quattro siano lombardi, gli amici Irene Tinagli, Pierfrancesco Majorino e Patrizia Toia, cui si aggiunge il capolista Giuliano Pisapia, il quale, pur non aderendo al nostro Partito, è stato uno dei più significativi rappresentanti della scelta di presentare liste aperte ed autorevoli fortemente voluta dal Segretario nazionale Nicola Zingaretti.

4. Il voto europeo è stato importante anche perché, arrivando un anno dopo quello per il Parlamento nazionale e dopo dodici mesi di Governo dell'inedita alleanza “giallo- verde” fra i Cinquestelle e la Lega lo si voleva anche leggere come un primo giudizio dell'elettorato sull'apertura di credito che era stata formulata un anno fa sulle forze populiste e sovraniste. Nello stesso tempo, esso avrebbe dovuto evidenziare lo stato di salute e, diciamo, la vitalità del nostro Partito dopo il pessismo risultato elettorale dello scorso anno fa e la lunga fase di incertezza nella guida del Partito da cui siamo usciti solo con la fase congressuale che a marzo ha portato all'elezione del nuovo Segretario.
Il risultato complessivo deve essere letto non certo come una vittoria ma come un complessivo consolidamento della posizione del PD e come il segnale dell'apertura di un'inversione di tendenza che ci rilegittima come alternativa al populismo e al sovranismo laddove molti un anno fa vaticinavano l'affermarsi di un nuovo bipolarismo fra grillini e leghisti momentaneamente uniti da una sorta di pseudo compromesso storico.

5. L'analisi dei flussi di voto comparati fra le elezioni politiche e quelle europee, incrociando i dati di alcuni noti istituti di ricerca, concordano nel dire che , per quel che concerne i flussi in uscita, il PD ha tenuto rispetto all'astensione , ha interrotto l'emorragia di voti verso il M5S (la cui natura nient'affatto di sinistra si è palesata in quest'anno di governo) e ha confermato circa il 70% dei voti che aveva preso lo scorso anno, fermo restando che nel 2018 aveva votato quasi il 73% degli aventi diritto, ed una crescita di venti punti dell'astensionismo non è fatto da sottovalutare nel formulare analisi.. Per quel che concerne i flussi in entrata, il recupero più evidente si è avuto rispetto al cartello elettorale di Liberi e Uguali, subitaneamente scioltosi dopo le elezioni politiche (ed i cui rappresentanti all'interno delle nostre liste europee hanno raccolto una scarsa messe di preferenze) , oltre ad una percentuale minore ma significativa dai Cinquestelle e ad una buona frazione di elettori laici e centristi che hanno disertato il voto a PiùEuropa percependo che quella lista non avrebbe raggiunto il quorum del 4%.

6. L'analisi disaggregata dei dati dimostra che il nostro elettorato ha una presenza omogenea per genere (intorno al 22%), è al di sotto della media fra i 18-35enni (che per poco più del 50% si rifugiano nell'astensionismo) e i 35-49enni, raccoglie consensi nella media nazionale fra i 50-64enni e si eleva quasi al 28%n fra gli ultra 65enni, pur rimanendo costantemente alle spalle della Lega. In base ai titoli di studio, il nostro Partito raccoglie i maggiori consensi fra i laureati (tre punti sopra la Lega), ha una buona media fra i diplomati, cala sotto il 20% fra i titolari di licenzia media (la Lega è al 40% in questa categoria) e aumenta fra coloro che hanno la licenza elementare. In termini professionali, il PD raccoglie il maggiore consenso fra i pensionati (28%, la Lega è al 30) e i ceti elevati (27,5%, con la Lega che ha 4 decimali di punto in più). I nostri consensi più bassi sono fra i disoccupati (14.9%) e gli operai, dove al nostro 14.3 % fa riscontro il 40.3% della Lega.

7. Può essere interessante analizzare altre due modalità di suddivisione del consenso. La prima è quella relativa alla cosiddetta “dieta mediatica” dell'elettore, ossia alla fonte prevalente da cui il soggetto trae le informazioni che orientano la sua visione del mondo e, per conseguenza, le sue preferenze politiche. La nostre performance più bassa è fra coloro che raccolgono informazioni tramite i social network (17%), internet ed i cosiddetti teledipendenti (che peraltro per il 56% si rifugiano nell'astensione). Invece siamo il primo partito fra i lettori dei quotidiani (30%, mentre la Lega è al 28). Da ciò - e si badi che questo giudizio non è in alcun modo di ordine qualitativo ma semmai descrittivo - si può anche comprendere come il formarsi di opinioni circa il reale ruolo dell'Unione europea nelle nostre vite, i flussi migratori, la presenza di stranieri ed in particolare di persone di fede islamica nel nostro territorio nazionale, l'andamento dell'economia, sia legato anche alla maggiore o minore qualità dell'informazione ricevuta, alla sua qualità e alla sua correttezza. E' evidente che la problematica delle cosiddette “fake news” non esaurisce in se stessa le ragioni profonde del dilagare del populismo e del sovranismo come senso comune (che è altra cosa dal buon senso) ma costituisce certo un indice problematico dello scarso approccio critico con cui in Italia è stato vissuto l'impatto dei nuovi mezzi di informazione.

8. Il secondo elemento è quello rispetto alla dimensione religiosa, giacché non sarà sfuggito il reiterarsi di appelli di carattere religioso, centrati soprattutto sull'immaginario devozionistico tradizionale, di cui si è infarcita la comunicazione politica leghista ed in particolare di Matteo Salvini. In questa campagna elettorale, peraltro, essa ha trovato una saldatura fra le tematiche tipiche della comunicazione politica leghista e l'aggressiva campagna di delegittimazione di Papa Francesco condotta dall'interno stesso della Chiesa e in qualche misura orchestrata a livello globale da potentati economici ed agenzie mediatiche di estrema destra che troverebbero il loro coordinatore nel famoso Steve Bannon. Orbene, il nostro Parito secondo le analisi prevalenti avrebbe il suo picco di consensi più altri fra i partecipanti alla Messa domenicale (e ad altre equivalenti cerimonie per le altre confessioni religiose) con il 26.9%, che tuttavia è superato dalla Lega con il 32.7 (comunque questa categoria di persone si rifugia per il 51% nell'astensionismo) . Ma il picco più alto di successo per la Lega – ed il maggior distacco nei nostri confronti- si verifica in altre categorie, quella dei praticanti mensili o saltuari (che sono anche quelli che si sono astenuti di meno) e persino fra i non praticanti (o non credenti) dove la Lega registra il 31% dei voti, e il PD il 23.6. Ciò significa – anche questo è un giudizio meramente descrittivo – che i consensi maggiori la Lega li ottiene fra coloro la cui appartenenza religiosa è fatto più identitario che di convinzione profonda, che si sente rassicurata dall'ostentazione di simboli religiosi e dal richiamo alla difesa della civiltà occidentale contro la presunta invasione islamica e si sente in difficoltà, se non in qualche modo offesa, dal richiamo esigente ai valori evangelici e all'individuazione delle disuguaglianze sociali e dello stesso fenomeno migratorio come le vere e proprie linee di faglia della nostra società su cui reiteratamente insiste il Pontefice. E' evidente che questo voto ci consegna l'immagine di una sostanziale spaccatura della comunità ecclesiale, con una netta prevalenza della Lega fra i credenti identitari ed un miglior risultato nostro fra i credenti assidui e i non praticanti e non credenti (le due fasce, peraltro, in cui più alta si riscontra la percentuale degli astenuti).

9. L'elemento generale che emerge dalla lettura dei dati è quello di una largo progresso della Lega, che riesce anche ad intercettare la quota più alta dell'elettorato grillino del 2018 (eccezion fatta, beninteso, per il 41% di quell'elettorato che si rifugia nell'astensione) e svuotando il suo alleato tradizionale Forza Italia. E' evidente che l'esistenza di una ramificazione internazionale, anche extraeuropea, del milieu politico di estrema destra di cui la Lega salviniana è diventata negli ultimi anni il principale referente italiano rende la sua capacità di insediamento politico meno aleatoria di quella manifestata negli anni dal M5S, il quale detto per inciso si è rivelato incapace di accompagnare ai risultati notevoli a livello di elezioni nazionali la costruzione di una classe dirigente locale appena credibile.
Il Partito Democratico con queste elezioni si conferma come seconda forza politica nazionale e, soprattutto, come unico perno possibile dell'alternativa alla destra populista e sovranista attualmente al Governo. Tale posizione può passare dalla dimensione potenziale a quella effettuale nella misura in cui il nostro Partito saprà formulare proposte politiche credibili che intercettino la delusione dell'elettorato che ha compreso la scarsa solidità politica dei Cinquestelle e, soprattutto, saprà richiamare al voto i molti che si sono rifugiati nell'astensione perché sfiduciati di fronte all'offerta politica nel suo complesso: ciò sarà possibile tanto prima in quanto saremo in grado di affrancarci dalla narrativa politica corrente e contrapporne una diversa e più radicata nei problemi reali del Paese e dell'Europa.