Capriccio Danese

Nuova leader del SD diveniva Mette Frederiksen, che già era stata Ministro nel Governo Thorning –Schmidt, e che rapidamente, come rilevava qualche settimana fa il “Guardian” (lasciamo perdere i giornali italiani, per cortesia…), metteva in campo una sorta di revirement ideologico che partiva dal rinnegamento delle politiche liberali in economia e dall’enfasi sul ripristino dei diritti sociali e del modello di welfare scandinavo (d’altro canto la Danimarca ha i conti in ordine e può permettersi un certo margine di flessibilità) e comprendeva anche l’approvazione delle severe misure contro l’immigrazione definite dal Governo di destra sotto l’impulso dei populisti, con il cui leader Frederiksen ha avuto diversi fruttuosi incontri di lavoro.
La nuova linea è stata imposta al partito con metodi spicci, e quando l’ex Ministro Mette Gjerskov ha espresso qualche dubbio su certe misure tipo il divieto assoluto del burqa e la requisizione dei gioielli alle donne richiedenti asilo, è stata immediatamente estromessa dalla Segreteria nazionale e solo in extremis è riuscita a salvare il suo seggio parlamentare. Il cronista del giornale britannico ha parlato con alcuni militanti di base, che hanno espresso perplessità su questa svolta, ma in pari tempo hanno affermato che il problema pareva loro secondario rispetto alle questioni “dell’ambiente, delle crescenti ineguaglianze e del riordino del settore finanziario”. Mette Frederiksen aveva difeso questa sua posizione anche al meeting del PSE svoltosi nel dicembre scorso a Lisbona , affermando che per troppo tempo la socialdemocrazia europea aveva sottostimato gli effetti dell’immigrazione di massa, aprendo eccessivamente al liberalismo in campo economico ed internazionale, fallendo nel mantenere i principi del contratto sociale secondo il modello socialdemocratico tradizionale.
Il fatto è che l’immigrazione in Danimarca, Nazione dal territorio piccolo e poco abitata, non è un problema di tipo razziale o religioso, ma essenzialmente un problema di welfare, nel senso che molti cittadini sentono la presenza dei migranti come un elemento di restrizione delle generose prestazioni dello Stato sociale scandinavo. Su questo i populisti hanno costruito la loro narrazione e su questo Frederiksen ha deciso di sfidarli inserendo il suo discorso in una più ampia rivendicazione di un ritorno ad un’impostazione tradizionale del discorso politico e sociale della socialdemocrazia danese.
In ogni caso, alle elezioni di mercoledì scorso il Partito Socialdemocratico di Frederiksen non ha ottenuto un risultato eclatante, ha perso qualche migliaio di voti pur guadagnando un seggio (arrivando a quota 48), mentre i centristi del Premier Rasmussen sono cresciuti notevolmente, guadagnando 9 seggi ed arrivando a 43. Tuttavia la maggioranza di destra non esiste più perché i popolari/populisti sono crollati perdendo 13 punti percentuali e 21 seggi. Una maggioranza “di sinistra” al Folketing (che comprende 179 seggi) è possibile sommando i seggi socialdemocratici con quelli del Partito Social Liberale (anch’esso aderente all’ALDE) che ha guadagnato 8 seggi, del Partito Socialista di sinistra (aderente ai Verdi europei) che ne ha guadagnati 7, e all’ Alleanza Rosso-Verde (che aderisce alla Sinistra europea) che invece ne ha perso uno.
La regina Margrethe II ha affidato a Frederiksen il compito di formare il Governo, ma la cosa non sarà semplice, innanzitutto perché la leader socialdemocratica vorrebbe formare un monocolore del suo partito contrattando l’appoggio esterno degli altri partiti di sinistra, ma social – liberali e socialisti di sinistra hanno già fatto sapere che vogliono partecipare direttamente al Governo. Ma esistono anche dei problemi di sostanza riferiti al programma del nuovo Esecutivo, fra cui anche quelli connessi al problema migratorio. Il leader social – liberale Morten Ostergaard ha dichiarato che “trova molto strano che si possano cambiare così radicalmente non le proprie politiche ma i propri valori” e ha accusato i due partiti maggiori –appunto socialdemocratici e liberali – di avere tradito i loro valori di base per una “corsa al ribasso con i populisti nel momento in cui hanno ritenuto che per certi settori decisivi dell’elettorato non si ha mai la mano abbastanza pesante sull’immigrazione”.
Dal canto suo Frederiksen ha dichiarato che può negoziare su tutto, ma non sui problemi dell’immigrazione.
Resta da capire quanto queste affermazioni corrispondano ad una scelta di fondo e quanto siano invece il frutto di un calcolo politico –peraltro riuscito, dati elettorali alla mano- di svuotamento della sacca populista per tornare ad una normale dialettica fra destra e sinistra.
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