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La Resistenza è affare di tutti

Scritto da Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani
Discorso tenuto alle Commemorazioni del 25 aprile a Cusano Milanino.

"Colui che credeva al cielo e colui che non ci credeva
Entrambi adoravano la bella prigioniera dei soldati
Colui che saliva sulla scala e colui che aspettava in basso
Colui che credeva al cielo e colui che non ci credeva
Che importa come si chiama questa chiarezza sui loro passi
Che uno fosse di chiesa e l’altro si defilasse
Colui che credeva al cielo e colui che non ci credeva
Entrambi erano fedeli nelle labbra nel cuore nelle braccia
Ed entrambi dicevano che essa viva e chi vivrà vedrà
Colui che credeva al cielo e colui che non ci credeva
Quando il grano è sotto la grandine è pazzo chi fa il difficile
E’ pazzo colui che si occupa dei suoi litigi nel cuore della lotta comune"
Il poeta francese Louis Aragon dedicò questi versi a quattro giovani suoi compatrioti caduti nella lotta contro l’oppressore nazista, due comunisti e due cattolici. Il senso dei versi è, mi sembra chiarissimo: la Resistenza è affare di tutti, di chi comunque vuole riscattare “la bella” – la Patria, la libertà- da ingiusta oppressione e poi per il futuro “che essa viva, e chi vivrà vedrà”.
Quel che valeva per la Resistenza francese vale anche per la Resistenza italiana: ogni riduzionismo, ogni rivendicazione unilaterale, ogni maligna interpretazione è, di fatto, un tradimento di quello straordinario moto di popolo che in forme diverse ha portato alla liberazione del nostro Paese da un’ingiusta oppressione perpetrata sia dal nemico esterno che da quello interno.
La resistenza dei partigiani in montagna e in città, la Resistenza dei soldati dell’Esercito del Sud, la Resistenza dei soldati imprigionati ed uccisi per fedeltà al loro giuramento, la Resistenza delle staffette, dei tipografi che fabbricavano documenti falsi, dei preti, dei frati e della suore che aprivano le porte di canoniche e conventi, dei medici che curavano in segreto i feriti, di chi divideva il suo poco pane con i combattenti per la libertà…
Che avevano in comune i nostri caduti cusanesi, gente del popolo, semplici operai, con gli ammiragli Campioni e Mascherpa fucilati per ordine di un tribunale asservito allo straniero per aver combattuto i tedeschi obbedendo agli ordini del loro Re? Nulla, forse in circostanze normali sarebbero stati indifferenti gli uni agli altri, se non avversari, ora li affratella la memoria comune di persone cadute per la libertà e la dignità d’Italia.
Furono anche anni di guerra civile? Certo, Italiani spararono su altri Italiani. Ma la guerra civile fu una scelta esclusiva di Mussolini e dei fascisti, come riconoscono tutti gli storici a partire dallo stesso De Felice: se non fosse stato messo in piedi il simulacro statuale della Repubblica sociale, quella che scoppiò l’8 settembre 1943 sarebbe stata solo una sacrosanta guerra di liberazione nazionale dallo straniero, dalla Germania nazista che non volle rispettare la scelta legittima del Governo italiano di uscire da una guerra disastrosa ed ingiusta.
In qualunque modo la si consideri, la storia della Repubblica di Mussolini è una storia ignobile di disperazione, di lotte intestine, di furti e di genocidi, di complicità attiva nei crimini dei nazisti, nessuno dei quali venne in alcun modo attutito dalla presenza di questo cosiddetto Stato. Al contrario, i nazisti non ebbero che disprezzo per questi sgherri per bassi servizi, codardi di fronte al combattimento vero, capaci solo di torturare e di uccidere i loro stessi concittadini. Un regime “nemico dei suoi stessi compatrioti” come giustamente ha detto ieri il Capo dello Stato.
In questo è del tutto significativa la fase finale dell’esistenza della RSI, i tentativi affannosi di cercare alleanze con coloro che si erano perseguitati, le fughe ignominiose, a partire da quella dello stesso Mussolini, che non seppe far meglio che nascondersi sotto una divisa straniera nel vano tentativo di sfuggire alla giustizia popolare.
Non si tratta qui di nascondere gli errori e i lati oscuri della lotta resistenziale: se andiamo a vedere le vicende di tutti gli avvenimenti simbolici che segnano le vita degli Stati, rivoluzioni, guerre d’indipendenza, battaglie, e che ora sono diventate giorni di festa nazionale, troveremo ombre e contraddizioni.
Rimane il fatto, preciso ed inequivocabile, che il 25 aprile è la base della democrazia italiana, poiché segna la sconfitta di una dittatura e la liberazione dall’occupazione straniera, e non è un caso che ad istituirlo come festa nazionale sia un decreto dell’aprile 1946 firmato dal Luogotenente del Regno, Umberto di Savoia, su proposta del Governo guidato da Alcide De Gasperi, decreto che venne controfirmato anche dal Ministro del Lavoro Gaetano Barbareschi, e dal Guardasigilli Palmiro Togliatti. Un principe sabaudo, un Capo del Governo democristiano, un Ministro comunista ed uno socialista, quasi una metafora dell’unità resistenziale che precedeva la divisione fra monarchici e repubblicani come pure le ancora più aspre divisioni fra le forze politiche nel clima della Guerra fredda.
Per questo, come è stato giustamente detto in questi giorni, il 25 aprile non è un’opinione ma un fatto, il fatto storico della liberazione d’Italia, la norma fondamentale che regge il nostro impianto istituzionale, l’inaggirabile roccia su cui è costruita, per usare una metafora evangelica, la casa comune degli Italiani.
In questi anni da Sindaco ho avuto l’onore di accompagnare all’estrema dimora gli ultimi due nostri concittadini che potevano considerarsi partigiani combattenti e di pronunciarne l’orazione funebre: l’inesorabile assottigliarsi delle fila dei combattenti per la libertà – ormai ridotti, credo, a poche decine in tutto il Paese - non deve però ridurre le memorie delle loro gesta alla freddezza delle lapidi e dei monumenti, ma deve diventare sempre più il punto di riferimento della nostra battaglia democratica, nella quale, come è giusto in democrazia, ogni cosa può essere messa in discussione, ma esistono valori fondamentali, quelli consacrati nei primi articoli della Carta costituzionale, quelli che furono alla base della lotta antifascista, che debbono rimanere nell’inalterabile DNA della nostra vita pubblica, chiunque governi.
Ciò significa rifiutare ogni forma di discriminazione in base all’appartenenza etnica e religiosa, ogni chiusura nazionalista, ogni compiacenza nei confronti dell’antisemitismo, della xenofobia, del razzismo.
Solo così potremo essere all’altezza del messaggio di coloro che combatterono e caddero per la libertà; solo così potremo continuare a crescere nella democrazia e nella libertà, che non sono patrimonio esclusivo di nessuno ma un dono rivolto a tutti.
E per ridare la parola al poeta:
"Colui che credeva al cielo colui che non ci credeva
ripetendo il nome di colei che nessuno dei due ingannò
e il loro sangue ruscella stesso colore stessa luce
Colui che credeva al cielo colui che non ci credeva
il sangue cola, cola, si mescola alla terra che amò
per far maturare con la nuova stagione un dolce moscato
Colui che credeva al cielo colui che non ci credeva
il grillo canterà nuovamente
ditemi flauti o violini il doppio amore che bruciò
l'allodola e la rondine la rosa e la reseda"
Gloria eterna a chi combattè e cadde per la libertà!
Ora e sempre Resistenza!

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