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Il voto in Finlandia

Scritto da Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani E' temerario parlare di vittorie e sconfitte in un contesto come quello finlandese in cui nessun partito arriva al 20%: guardando i dati elettorali definitivi si può dire che c'è stato un incremento di voti del partito socialdemocratico che dopo molti anni inverte la china negativa e guadagna quasi due punti percentuali e sei seggi, mentre il partito dei Veri Finnici, ossia l'estrema destra, perde due decimali rispetto alle elezioni di quattro anni fa ma guadagna un seggio (miracoli del proporzionale) , i conservatori del Kokomus (legati al PPE) perdono l'1,2% ma guadagnano anche loro un seggio.
Di certo la botta peggiore la prende il Partito di Centro (legato all'ALDE) del premier uscente Juha Sipila che perde il 7,3% e diciotto seggi , mentre avanzano decisamente i Verdi e l'estrema sinistra.
Diciamo dunque che c'è stato uno spostamento di voti dai centristi alle forze di sinistra, mentre gli altri partiti rimangono al livello precedente. I Veri Finnici, che hanno solidi legami con i leghisti nostrani, erano al governo con le forze della destra tradizionale fin dal 2015, ma avevano subito una scissione nel 2017 quando alla guida del partito era stato eletto Jussi Halla-Aho, personaggio dal torbido passato segnato da condanne penali e da dichiarazioni che lo allineavano addirittura ai negazionisti della Shoah. A questo punto i partiti della destra tradizionale che non gradiscono simili vicinanze (a differenza di quanto accade in Italia) imposero ai ministri VF di scegliere se rimanere al Governo o rimanere nel partito, ed essi scelsero la prima ipotesi dando vita al partito dei Riformisti Blu, che alle elezioni di ieri ha raggiunto uno score men che mediocre e nessun seggio. Sicché, un elettorato radicalizzato dalla crisi economica e sociale da un lato ha dato fiducia alle forze di sinistra, dall'altro lato si è mantenuto fedele ad un'estrema destra ancora più spinta nei suoi discorsi contro l'immigrazione, e che ha assorbito senza troppi problemi la defezione di alcuni dei suoi più qualificati dirigenti fra cui il fondatore Timo Soini, Vicepremier uscente (e anche queste sono cose già viste altrove). Il Parlamento finnico è composto da 200 deputati, e il Primo Ministro deve radunare una maggioranza di 101 - anche tenendo conto dei sostenitori esterni- per poter dar vita al suo Governo. La consuetudine costituzionale vuole che il Presidente della Repubblica affidi in prima istanza al leader del partito di maggioranza relativa (in questo caso il socialdemocratico Antti Rinne) il compito di formare il Governo. La distribuzione dei seggi vede i socialdemocratici con 40 deputati, i VF con 39, i conservatori con 38, i centristi con 31, i Verdi con 20 e l'Alleanza di Sinistra con 16. Un Governo retto dai voti della sola sinistra è aritmeticamente prima che politicamente impossibile. Se i partiti della destra tradizionale manterranno la loro "conventio ad excludendum" nei confronti dei VF e di Halla-Aho, sarà possibile mettere in piedi (come è accaduto spesso in passato) un Governo di grande coalizione fra socialisti, popolari e liberali, magari con l'appoggio dei Verdi e del partito che rappresenta la minoranza svedese. Credo che da questa elezione si possano almeno dedurre due tendenze generali: la prima è la radicalizzazione dell’elettorato, che in un contesto di crisi economica e sociale penalizza chi governa e dà fiducia alle proposte alternative, anche se veicolate da personaggi come Halla-Aho (per il quale evidentemente la defezione dell’ala ministeriale dei VF è stata quasi una benedizione, rendendolo irresponsabile delle azioni del Governo Sipila). La seconda è che comunque l’avanzata dei populisti fascistizzanti non è inarrestabile, e che una sinistra democratica che abbia proposte credibili e una vera attitudine al governo può ancora dire la sua.