Print

Una nuova età responsabile

Written by Matteo Bianchi.

Matteo BianchiNella storia e nella politica, ma si potrebbero citare esempi in altri contesti, i processi di cambiamento sono sempre seguiti da fasi di normalizzazione, che molti scambiano per stanchezza o per resa di fronte al pragmatismo. In queste fasi, è scontato che qualcuno cominci a vagheggiare il passato mitico in cui la purezza dell’ispirazione originaria trovava spazio per sprigionare tutta la sua carica tonificante ed “eversiva”: ed è altrettanto scontato incolpare dell’attuale risacca proprio il tradimento di quella ispirazione, l’abbandono della spregiudicatezza rivoluzionaria per un più rassicurante approdo istituzionale in cui, diciamo così, preoccuparsi di tenere il nodo della cravatta ben aderente al colletto.
Niente di strano, dunque, che all’indomani del controverso risultato delle amministrative, si cominci ad invocare il ritorno al volto più tipico del renzismo, quello che negli ultimi due anni ha oggettivamente rimescolato le carte offrendo al centrosinistra il codice di accesso per intercettare l’aspirazione legittima dell’Italia ad una politica diversa. Niente di strano, se non si trattasse di un travisamento del problema. Volendo assecondare il gergo corrente, si potrebbe dire che la questione non riguarda il ritorno al Renzi 1, ma come completare definitivamente la transizione verso il Renzi 2. Sarebbe ingeneroso chiedere a chi si è assunto con tanta pervicacia l’onere di cambiare davvero il Paese di farsi contagiare dalla sindrome di Peter Pan, e rinculare verso la beata incoscienza dei tempi andati, quando si trattava soltanto di buttare il cuore oltre l’ostacolo del grigiore di cui la politica era prigioniera, non solo a sinistra. Oggi, come è del tutto naturale, quello slancio fa i conti con la responsabilità del governo, con la necessità del compromesso, a volte con il funambolismo: il difficile è saper trasformare tutto questo in un valore, perché per farlo occorre dare più forza e robustezza ai contenuti. Puntare ancora e sempre sull’irritualità dei modi, o sul coraggio con il quale ci si contrappone al conservatorismo più refrattario, si trovi esso nella società o nello stesso Partito Democratico, non basta più da solo per dare respiro al riformismo di cui si ha bisogno: vincere le battaglie in Parlamento, in barba alle maggioranze basculanti e al disfattismo dei gufi, è fondamentale oltre che ricostituente, ma serve scrivere un nuovo capitolo. Serve approfondire la ragione delle scelte, evitando di cadere nelle strumentalizzazioni che enfatizzano solo gli elementi conflittuali, come è accaduto ad esempio con il Jobs Act. Serve consolidare un metodo di costruzione delle proposte che si giovi di un’ampia condivisione, dentro e fuori il perimetro della politica, senza che questa venga puntualmente scambiata per subalternità, o peggio per debolezza. Serve soprattutto dare ai molteplici percorsi del cambiamento una destinazione comune, un’idea di futuro riconoscibile nella società per la sua concretezza in rapporto alle difficoltà del presente: misurandosi cioè con le paure vecchie e nuove, le incertezze, le pulsioni che continuamente minacciano la crescita civile e democratica del Paese Questa nuova età responsabile, se così si vuole definirla, è il passo necessario per completare ciò che è stato ambiziosamente iniziato, e per sancire con i cittadini un nuovo patto fiduciario. Solo così la cosiddetta Fase 2 dell’attuale Governo, e insieme della parabola renziana, centrerà l’obiettivo di realizzare la speranza. Quella stessa speranza che, abbandonata a se stessa, serve solo a far ammalare di nostalgia.