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In Ucraina è ora che la Ue faccia sentire la voce al tavolo delle trattative

Written by Il Sole 24 Ore.

Articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore.

Lo svolgimento della guerra in Ucraina si sta rivelando sempre più allarmante non solo per le atrocità commesse dall’invasore, per la prima volta rivelate dai media in tempo reale (salvo che in Russia), ma per il rischio crescente di una deriva che può davvero condurre alla terza guerra mondiale, con ricorso alle armi nucleari. Non solo la Russia di Vladimir Putin, ma anche l’Ucraina di Volodymyr Zelensky sembrano decise a proseguire il confronto nell’intento di ottenere risultati positivi sul campo di battaglia. L’Occidente è intervenuto con le più pesanti sanzioni economiche e finanziarie che si ricordino e con robuste forniture di armi a sostegno dell’eroica contro-offensiva ucraina, ma non con interventi diretti, per evitare una escalation fatale.
Tutti percepiscono però che occorrerà giungere a una trattativa che ponga fine al conflitto, dal momento che il disegno originario di Putin di conquistare o egemonizzare l’Ucraina con la forza è fallito; e che la pretesa dell’Ucraina di riprendersi la Crimea e le due provincie del Donbass appare irrealistica, per non dire francamente impossibile.
A questo punto sembrano delinearsi due strategie. La prima mira a una sconfitta piena della Russia, tale da renderle per il futuro impensabile la ripetizione di tentativi di annessione con la forza in Europa; questo sembra il disegno di una parte importante dell’amministrazione americana, che parrebbe attualmente condiviso dallo stesso presidente Joe Biden (anche se ora, come già in passato, su questo fronte vi sono all’interno degli Stati Uniti linee diverse).
Una seconda prospettiva mira invece ad avviare quanto prima una trattativa sui possibili contenuti di un accordo di pace, anzitutto per concordare nuovi confini territoriali tra Russia e Ucraina, ma anche per assicurare garanzie internazionali di indipendenza dell’Ucraina, più efficaci rispetto a quelle convenute nel trattato del 1994, brutalmente violate dalla Russia. Tali garanzie dovrebbero essere sottoscritte, oltre che da Russia e Ucraina, dagli Stati Uniti, dall’Unione europea o almeno da un gruppo di Stati europei, ma anche da Cina, India e Turchia, nella cornice dell’Onu. Alla firma dell’accordo anche le sanzioni contro la Russia potrebbero venir revocate.
È chiaro che la prima opzione, oltre a essere probabilmente irrealizzabile senza un intervento diretto americano, prolungherebbe di molto la durata della guerra con le sofferenze e con i gravissimi rischi militari ed economici connessi. Per questa ragione sarebbe invece auspicabile che proprio l’Europa si facesse quanto prima portavoce di una concreta iniziativa di pace. Gli europei stanno dando prova di una straordinaria solidarietà umana verso l’Ucraina assalita, uniti tra loro ben al di là di quanto si poteva sperimentare anche solo due mesi fa. Certo, se l’Unione europea avesse provveduto per tempo ad attrezzarsi con una difesa comune, anziché con 27 eserciti ben poco coordinati che impiegano tra l’altro oltre il doppio delle risorse di spesa della Russia per le proprie forze armate, l’intervento di pace europeo sarebbe stato più credibile. Su questo versante, grazie alla crisi, le cose sanno forse finalmente cambiando; e si spera che le risorse militari aggiuntive appena deliberate da Francia, Italia e Germania vengano devolute in larga misura proprio alla difesa comune europea e come tali incluse nel quadro istituzionale dell’Unione. Tuttavia già ora l’Europa può svolgere un ruolo fondamentale nelle relazioni con la Russia, come pure con la Cina e con l’India, sulla base di una concezione multilaterale e condivisa dei rapporti internazionali, necessaria e urgente pur tra regimi di ben diversa natura e struttura politica e ideologica.
Un intervento di pace dell’Europa è possibile, ma a una condizione: che l’Ue operi con una voce sola. Occorre rammentare non solo il fatto che la guerra si sta svolgendo in Europa, ma che è l’Europa a sopportarne maggiormente i rischi sia militari sia economici e finanziari per l’energia, il gas e i fertilizzanti. Giustamente i Paesi europei stanno ora lavorando su questi fronti per affrancarsi dall’eccessiva dipendenza dalla Russia.
La vittoria di Emmanuel Macron costituisce un risultato fondamentale per l’Ue, la cui stessa esistenza sarebbe stata messa a rischio da una presidenza di Marine Le Pen. Ora occorre che un’iniziativa di pace abbia il sostegno congiunto quanto meno dei governi di Francia, Germania e Italia, oltre che del Parlamento europeo e della Commissione. Questo è possibile. Ed è giusto che pur nel quadro della Nato tuttora fondamentale per la nostra sicurezza, il polo europeo raggiunga finalmente una propria autonoma strategica e una voce in capitolo tale da poter influire anche sulle scelte degli Stati Uniti.
Del progetto di pace dovrebbero essere parte il rafforzamento delle politiche e delle istituzioni multilaterali nella cornice dell’Onu, nonché la ripresa di iniziative condivise e controllabili sul disarmo, che Biden aveva riaperto dopo la sconfitta di Donald Trump, ma che potrebbero presto tornare a rischio negli stessi Stati Uniti. E così pure si impone un approccio multilaterale globale sul controllo del clima che minaccia la sopravvivenza della specie umana.