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Il cigno nero che fa riscoprire comunità e territorio

Written by Aldo Bonomi.

Articolo di Aldo Bonomi pubblicato da Il Sole 24 Ore.

Solo due anni fa, tra Natale e Capodanno, c’era più allegrezza nel nostro canticchiare la filastrocca economica “giro giro tondo tutti intorno al mondo”. Chi lo avrebbe detto che ci saremmo ritrovati “tutti giù per terra” a rivedere e ricalibrare lo spazio-tempo delle forme di convivenza e delle economie, della società e dei flussi, nella prossimità e in un’altra geoeconomia. È stato il cigno nero della pandemia che ci ha fatto riscoprire parole come comunità e territorio nell’acqua della storia dove vedevamo solo il cigno bianco della globalizzazione. La filastrocca infantile non inganni: il girare intorno al mondo non tornerà come prima.
Così come la metafora del cigno nero che interroga il nostro non aver considerato l’evento pandemico non induca un ritorno al passato da comunità e territori rinserrati. Qui siamo e qui ci tocca attraversare il mare delle incertezze nel tessere e ritessere comunità aperte e navigare nell’arcipelago delle economie. Un navigare non facile tra gli scogli dei sovranismi e le sirene dei flussi che ci dicono che tutto tornerà come prima. Riscoperto il cigno nero del territorio sarà bene ricordare anche quando era raccontato come il brutto anatroccolo che turbava lo storytelling della disintermediazione tra flussi e luoghi fossero le forme di rappresentanza o le istituzioni locali. Come l’Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) che ha appena celebrato l’Assemblea Nazionale con 5 giorni di confronto in remoto molto partecipato con sindaci, ricercatori e studiosi. Chi l’avrebbe detto allora che le Comunità Montane irrise senza conoscere la geografia del Paese perché alcune arrivavano al mare, avrebbero posto al centro della riflessione il tema delle metromontagne come spazio da percorrere. Interrogandosi oggi sul come negoziare con i flussi per ridisegnare territorio, dalle poste alle banche alla medicina di territorio, per arrivare ai turismi lenti e a quelli verticali della neve e al tema nodale della crisi ambientale e delle migrazioni. A proposito di impresa e metromontagna il precursore fu Adriano Olivetti con il suo fordismo dolce che teneva assieme fabbrica e territorio nella comunità montana del Canavese. Poi arrivò egemone il fordismo hard di Valletta nella company town Torino. Verrebbe da chiedersi guardando alla storia ed ai modelli di sviluppo se il cigno nero del Pnrr sarà vallettiano o olivettiano nel suo calarsi sul territorio. Questione non da poco per i tanti sindaci del congresso Uncem, ente inutile allora da abolire, dove ci si interroga oggi su temi strategici per imprese e forme di convivenza come la governance di area vasta in rapporto con le Regioni, le Provincie collocate nel limbo, nell’iconoclasta disegno delle sole aree metropolitane mai decollate dove oggi lo spazio urbano in crisi si aggrappa all’eterotopia della città in 15 minuti. Nessuna nostalgia di un ritorno al passato e nemmeno la presunzione di riempire il vuoto presumendosi come ha detto il presidente Bussone “piattaforma istituzionale”. Ma non vi è dubbio che il tema della governance e della perimetrazione degli ambiti territoriali, anche guardando all’uso delle risorse del Pnrr e della co progettazione dal basso, non si risolve pensando il margine come un “brutto anatroccolo” nell’epoca del cigno nero del territorio e della crisi ambientale. Contraddizioni del riapparire “dell’attualità dell’inattualità” anche di organismi come il Cnel, sottoposto allora al referendum per la sua abrogazione, metafora della disintermediazione nel suo essere crocevia delle parti sociali dell’economia del lavoro a cui avevamo aggiunto anche il terzo settore. Anche qui nessuna difesa acritica di un passato novecentesco. Il cigno nero della pandemia ha fatto riapparire la centralità della rappresentanza e del terzo settore non come motore immobile di un passato che non è più, ma ha sfidato tutti ad andare oltre la crisi delle rappresentanze nel fare sindacato di imprese e dei lavori e a dar voce e ruolo al terzo settore. Pare aver reso attuale anche l’ossimoro di un “capitalismo riformista” che riflette su una coscienza dei flussi che contamini e temperi la finanza, il fare impresa, il capitalismo delle reti hard e soft con i loro algoritmi e la politica si interroga sul come andare oltre un ruolo ancillare rispetto ai flussi.
Molto dipenderà da come si strutturerà il medio raggio della coscienza di luogo dei territori, di nuove rappresentanze da green economy e forme dei lavori e welfare inclusivo per fare società. È quel medio raggio, sempre a proposito del Pnrr, che dovrebbe produrre tra il digitale e la conversione ecologica la coesione sociale.
Mai come oggi necessaria nell’epoca in cui anche “il girotondo tutti intorno al mondo” pare aver riscoperto la “globalizzazione a medio raggio” dove a proposito di governance, ci appare lo spazio geopolitico dell’Europa in transizione. Temi grandi per un microcosmo che s’interroga partendo dalle terre alte delle comunità montane.