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Milano fuori dalla narrazione

Written by Alessandro Maggioni.

MilanoArticolo di Alessandro Maggioni, Presidente del Consorzio Cooperative Lavoratori di Milano.

L’attuale campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio Comunale di Milano, per una serie di ragioni fisiologiche e per un’altra serie di ragioni patologiche, appare se non sciatta, almeno scialba. Non si coglie, al di là di qualche brillante spunto individuale, né un dibattito su una visione prospettica della città né, tantomeno, una visione prospettica stessa della città.
Sulla politica prevale - in questa epoca di narcisismo digitale - la comunicazione; comunicazione che costruisce narrazioni che divengono a loro volta politiche.
Compito di chi, quotidianamente, ha a che fare con la realtà è quello di dare voce, seppur limitata, parziale e magari flebile, al Reale.
Per tale ragione, dunque, segnalo alcuni punti in una ipotetica agenda che sottoporremmo ai candidati Sindaco di Milano.
1. La Milano post pandemica e “greenpassata” sta dando segni di affanno da un lato e di ulteriore polarizzazione tra alto e basso dall’altro. Urge dare corso alla strutturazione di controspinte significative a questo processo, così da innestare percorsi di riequlibrio nell’accesso all’abitabilità urbana per i più che oggi sono costretti a uscire forzatamente da Milano o che sono obbligati dalle condizioni lavorative a recarvisi quotidianamente.
In tal senso riteniamo che si renda necessaria una revisione parziale, ma fondamentale, del recente PGT approvato poiché, nell’ambito della normativa sull’ERS, un approccio sicuramente progressista e inclusivo negli obiettivi ma estremamente limitato e limitante nella prassi attuale (correlata altresì a condizioni contingenti di mercato non favorevoli a un’automoderazione della rendita fondiaria e immobiliare), non rende efficace il meccanismo previsto nella ripartizione dell’ERS. La ripartizione del 40% della quota ERS in metà da destinarsi alla vendita agevolata e nell’altra metà all’affitto convenzionato non favorisce l’autonomo investimento di soggetti cooperativi e senza attesa di lucro, poiché l’attuazione autonoma di tali quote ERS da un lato non regge e la forte spinta verso l’alto del mercato libero non incentiva i soggetti immobiliari a generare progetti in cui vi sia un vero mix abitativo.
2. In questo quadro anche una certa retorica sull’affitto come soluzione di inclusività va, a nostro avviso, rivista. Se dovessi sintetizzare in uno slogan direi: “O l’affitto è sociale, oppure fa male!”. Una politica che spinga sull’affitto senza aggettivarlo e sostanziarlo con numeri chiari è una politica alleata alla più robusta gentrification. Rendendo strutturalmente fluida la proprietà della casa, senza porre limiti alla dotazione di quote di alloggi locati a costi sostenibili rispetto ai redditi, si espongono gli abitanti redditualmente fragili – ossia i più – ai rischi di repentine espulsioni nel momento in cui un quartiere diviene – narrativamente prima e realmente poi – cool e dunque costoso. Porre il limite dell’affitto sociale alla cifra massima di 100 €/mq annuo può essere un primo passo in questa direzione.
Oltre a ciò si dovrebbe prendere atto di un’altra linea di tendenza che sta emergendo da alcune analisi e ricerche riferite ai Millenials in USA (si vedano i recenti lavori di Abrams e Kotkin). Quello che sta emergendo è che un’altra narrazione dominante di questi ultimi anni, ossia la narrazione per cui i giovani non sarebbero più interessati al possesso di alcuni beni (tra cui la casa) ma solo al loro uso, si stia incrinando; pare, infatti, che queste generazioni, complice anche l’esperienza pandemica che tende a spostare l’interesse verso le città di medie dimensioni, stiano tornando alle aspettative dei loro padri in cui il possesso di alcuni beni, come la casa, torna a essere preferito all’affitto (grazie anche al permanere di grande disponibilità liquida da un lato e bassi tassi d’interesse dall’altro, che favoriscono l’accesso al credito per l’acquisto di casa). Per questo non va abbandonata anche l’offerta di edilizia convenzionata ordinaria e agevolata come obiettivo politico per una città realmente a misura di tutti.
3. Per raccordare in una proposta operativa le questioni sopra (sinteticamente) poste viene da dire che nella prossima consiliatura sarà necessario rivedere, per aggiornare in una prospettiva ancor più sociale, la delibera C.C. n 42/2010 che in maniera lungimirante, ormai undici anni addietro, mise ordine tra le categorie dell’edilizia sociale. Oggi serve una registrazione della stessa per dare ancora più impulso a quell’affitto sociale, nel panorama di mercato, cui si è fatto cenno.
4. Per quanto riguarda l’Edilizia Economica e Popolare auspichiamo un ruolo attivo dell’Amministrazione Comunale come regista di progetti e processi di ristrutturazione edilizia e socio-abitativa dei quartieri storici di Milano, siano essi di competenza comunale o regionale (tramite ALER). In tal senso, avendo a cuore anche noi la priorità della messa a disposizione di alloggi a canoni ERP a persone in stato di bisogno, riteniamo si possano mettere in moto progetti in cui – senza alienare nessun alloggio ERP – si attivino anche risorse economiche del privato sociale nel recupero di importanti quartieri di edilizia economica e popolare.
5. Infine un tema troppo spesso dichiarato, annunciato e mai affrontato in una prospettiva strategica, strutturale e operativa: il tema della Città Metropolitana. Milano senza la sua area metropolitana non sarebbe la Milano che è. Non solo perché la cosiddetta “provincia” è linfa vitale per la città, divenendone linfa vitale, ma anche perché se lo sguardo di Milano si allargasse – in una prospettiva di “egemonia gentile” – alla enorme area metropolitana, si arriverebbe a delineare una città di autentico stampo europeo.
I nodi correlati a tale questione sono tutti intrecciati a una visione di sostenibilità integrale di lungo periodo. Infatti, ricadono in questo ambito:
• La relazione tra casa, lavoro e mobilità: senza un potenziamento radicale della rete di accesso metropolitano al capoluogo ogni discorso sulla mobilità dolce cade in una patetica contraddizione. Ultima grande visione di lungo periodo in tal senso è quella che ha portato alla realizzazione del Passante Ferroviario. Oggi ci sono le condizioni per ripensare a una nuova fase programmatica sul trasporto metropolitano, non solo in termini di integrazione tariffaria, ma soprattutto di dotazione infrastrutturale.
• Avere una visione di tutela che sia al contempo pragmatica del grande sistema dei parchi metropolitani, che sono il vero polmone verde della città di Milano.
• Definire una gerarchia di programmazione con i comuni di prima e seconda fascia su azioni congiunte connesse a programmi di rigenerazione di aree dismesse che possano rivestire un ruolo anche per la città di Milano, così da non agire come soggetto espellente di cittadini che non riescono a vivere a Milano, ma come soggetto pensante capace di co-progettare azioni capaci di costruire offerte abitative anche in contesti differenti (per esempio mappando tutte le grandi aree dismesse presenti alla distanza di 15,30 e 45 minuti dal centro di Milano in connessione alla rete della mobilità su ferro).
Tutto ciò può concretizzarsi attraverso la definizione di un ente/consorzio/società pubblica – sul modello di quanto fatto in molte città nord europee – che rimetta al centro la regia pubblica nei processi di trasformazione urbana, agendo sul regime dei suoli inquadrato in una visione d’insieme.