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Scarcerazione di Brusca: facciamo chiarezza

Written by Alessandro Del Corno.

Alessandro Del CornoArticolo di Alessandro Del Corno.

Scarcerazione di Brusca: facciamo chiarezza nella lucidità e non nella pur comprensibile emotività.
La scarcerazione dopo 25 anni di reclusione di Giovanni Brusca, il boia di Capaci, del piccolo Giuseppe Di Matteo e reo confesso di centinaia di omicidi, ha sicuramente indignato l’opinione pubblica e molti esponenti politici di primo piano. Dal mio punto di vista, pur condividendo l’indignazione morale, ritengo però che si debba fare un ragionamento lucido e razionale insito nella complessità strategica di guerra al fenomeno mafioso.
Di conseguenza, bisogna partire dal dato che la legge sui collaboratori, non sui pentiti, in quanto il pentimento personale non deve avere alcuna incidenza sulla sfera giuridica in materia, fu voluta fortemente da Giovanni Falcone, partendo dalla grande esperienza delle dichiarazioni di Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, grazie alle quali, fu possibile imbastire il primo maxi processo alla mafia siciliana denominata “cosa nostra” nel 1984 e che portò per la prima volta nella storia, alla condanna all’ergastolo di molti boss mafiosi, ad infliggere moltissimi anni di reclusione ai loro affiliati ed alla consacrazione giudiziaria del Teorema Buscetta e cioè che la mafia era ed è un’Organizzazione unitaria e verticistica.
Quindi, anche Giovanni Brusca avendo seppur in modo tortuoso collaborato con lo Stato dopo il suo arresto, ha contribuito così ad assestare dei colpi durissimi all’Organizzazione della quale era uno dei capi, almeno dal punto di vista militare, potendo usufruire dei benefici di tale legge.
I pilastri sui quali ha sempre potuto contare la mafia nel suo potere secolare, sono stati l’omertà e l’impenetrabilità che gli ha consentito per troppi decenni l’impunità.
Con l’avvento della legislazione premiale sui collaboratori, tale potere, soprattutto ideologico e culturale, salto’, minando alle fondamenta l’invicivilità di cosa nostra.
Non è un caso che l’allora capo di cosa nostra Riina diede l’ordine di uccidere i famigliari dei cosiddetti pentiti fino alla quarta generazione, cosa del resto già avviato con molti omicidi in tal senso.
A seguito di tali analisi inconfutabili sul piano storico, appare sconcertante non certo la buona fede di certa opinione pubblica schiacciata su una comprensibile lettura emotiva della vicenda, non essendo informata a sufficienza sulla materia, bensì da parte di certa politica e di certa comunicazione televisiva e giornalistica che per “lisciare il pelo” al popolino, sembrano venuti dallo spazio con la loro indignazione, ignorando o nella peggiore delle ipotesi, facendo finta di ignorare che il Brusca, si avvale di una legge che ha consentito d’infliggere dei colpi mortali alla mafia stragista corleonese, la quale ha imperato indisturbata con una serie impressionante di omicidi anche eccellenti in tutti gli anni ottanta, fino ad arrivare agli attacchi di guerra inimmaginabili allo Stato dei primi anni novanta.
Senza i collaboratori di giustizia, saremmo più o meno all’anno zero nella guerra alla mafia.
La solita politica e la solita comunicazione demagogica, populista ed inconcludente.
Chi occupa determinati posti di primo piano in campo politico e giornalistico, avrebbe il dovere innanzitutto di conoscere l’evoluzione storica dei fenomeni di cui si parla e non estrapolarli in modo semplificativo solo per essere comodamente popolari.
A lor signori, vorrei chiedere: cosa facciamo, rivediamo la legge sui collaboratori di giustizia che ha rappresentato, rappresenta e rappresenterà un’ arma formidabile per il contrasto alle mafie?
Potere farlo e faremmo dei passi indietro giganteschi rispetto a fenomeni che hanno dimostrato una forza militare, economica, culturale e sociale devastante, in grado di attentare alle radici il potere legale e repubblicano. Al posto di stracciarsi le vesti per la scarcerazione, certo di efferati assassini che comunque hanno collaborato attraverso un Patto laico con lo Stato ed hanno usufruito dei benefici di legge in tal senso, mi preoccuperei a seguito delle sentenze della Corte europea e della Corte Costituzionale, dell’abolizione dell’ergastolo ostativo e cercherei in Parlamento in tempi celeri di correre ai ripari, se non vogliamo ricordare il 23 maggio 2022 il giudice Falcone e tutte le vittime di mafia, con il rischio di vedere mafiosi pluriergastolani che non hanno mai collaborato e quindi ancora pericolosissimi, in libertà.
Insomma per concludere tale contributo, mi sento di affermare che mescolare anche e soprattutto in vicende così drammatiche e complesse, la morale con la giustizia degli ordinamenti, rischia di compiere dei danni irreparabili.
Una vera guerra alla mafia che deve essere alle mafie, ha bisogno di comportamenti coerenti e lineari, nella consapevolezza che le conquiste legislative di quegli anni, grazie al sacrificio di Falcone, Borsellino e di tantissimi innocenti, non possono e non devono essere disperse sull’altare della pur giusta indignazione ed emotività del momento, bensì sempre di più rafforzate, se vogliamo giungere un giorno a leggere sui libri: c’era una volta la mafia, c’erano una volta le mafie.
P.S. I famigliari delle vittime, hanno tutto il diritto di indignarsi e di protestare.