Print

Riformare

Written by Mariapia Garavaglia.

Maria Pia GaravagliaArticolo di Mariapia Garavaglia.

Riformare, parola abusata, quasi sfinita, vuota. Nell’infinito spazio dei logaritmi può darsi che si volteggi il numero delle volte in cui viene usata.
Soprattutto la politica è colpevole per il cattivo uso che ne fa. Da decenni, quasi appena dopo l’approvazione della Costituzione, si incominciò ad evocare la riforma dello Stato. Quante altre riforme sono invocate ad ogni piè sospinto, praticamente ogni volta che si presenti una difficoltà ordinatoria nelle procedure della nostra vita civile. Invece di semplificare - altra riforma promessa da sempre - si aggiungono norme a nome.
A suo tempo il ministro Calderoli fece un falò per bruciare migliaia di leggi, il risultato è che continuiamo ad avere circa 150.000 leggi e l’Inghilterra 30.000. Non sono nemmeno scritte in modo tale che possano essere lette da tutti, in buon italiano, senza continui richiami e riferimenti e rinvii ad altre norme. Sarebbe assai più economico riscrivere un testo ex novo, riprendendo le parti da salvare e abrogare tutte le altre. Speriamo sulla tenacia del ministro Brunetta. La riforma dei codici? non è mai stata completata. La riforma del parlamento? Alcuni referendum l’hanno bloccata, ma quella approvata è stata solo la riduzione dei parlamentari: una bandierina di 5S e una vergognosa ritrattazione di tutti i partiti che avevano votato contro per ben tre volte: per un piatto di lenticchie, alla Esaù. La riforma dell’università è stata di volta in volta peggiorata.
Quante ne possiamo ancora elencare? Citiamo ora la scuola perché è diventata anch’essa insieme ai suoi naturali fruitori (bambini e adolescenti) vittima di Covid-19 e della cattiva programmazione. Si sono spesi ingenti fondi per i banchi (con o senza ruote) come se le scuole non ne fossero già fornite. Qualche anno fa furono investiti 20 milioni per le lavagne interattive ma durante la DAD la gran parte di coloro che avrebbero dovuto seguire le lezioni era privo degli strumenti informatici necessari. Secondo il ministro Colao il 60% delle famiglie italiane non ha né rete veloce né internet. Tuttavia l’esperienza di DAD e di didattica integrata potrà essere utile nel ripensamento organizzativo della didattica in generale.
La riforma della scuola parte anche dalla organizzazione diversa delle aule, dei piani di studio, della attualizzazione delle discipline nonché degli orari. La pandemia ha segnalato tutte le lacune del caso. In particolare non si può tacere il gravissimo danno - le cui conseguenze chissà come le analizzeremo - di aver impedito le lezioni in presenza per molti mesi per quasi la totalità degli scolari. Sarebbe aggiungere danno se non fosse accettata la proposta di prolungare le lezioni anche nei mesi estivi. Sono convinta che i docenti accetterebbero le ferie in agosto e settembre e i ragazzi avrebbero la possibilità di rivedersi prima delle vacanze.
Sarebbe importante soprattutto per gli alunni degli ultimi anni perché possano salutare i compagni che non incontreranno più l’anno successivo. La Francia non ha mai chiuso le scuole: copiare un po’ dagli altri no? Covid ci ha insegnato molto anche in merito al nostro diritto alla tutela della salute. Abbiamo apprezzato il nostro Sistema Sanitario ma conosciute anche le sue mancanze, prima fra tutte la inattuata organizzazione della medicina extraospedaliera che già la riforma del 1978 aveva previsto. Due termini hanno inquadrato i problemi sollevati, autonomia e territorio: riguardano l’ambito di competenza in materia sanitaria e assistenziale che la improvvida e intempestiva riforma della Costituzione del 2001 ha affidato alle Regioni. Queste all’inizio della pandemia, rivendicando la loro autonomia hanno di fatto creato disparità di trattamento fra i cittadini Italiani. Il territorio è soggetto alla legislazione e alla programmazione dei servizi da parte della Regione. Anche in questo caso non c’è uniformità in tutto il territorio nazionale e quindi c’è disparità fra i cittadini. Non bastano i cosiddetti LEA, livelli esistenziali di assistenza, per garantire l’uguaglianza dei cittadini nell’accesso ai servizi come richiesto dall’art.3 della Costituzione. Perciò ci dovremo aspettare una ‘Riforma della Riforma’ che tenga conto dei principi fondanti il diritto alla tutela della salute secondo uguaglianza, uniformità, universalità ed equità.
I servizi alla persona e di cittadinanza - giustizia, lavoro, proprietà, ecc.- esigono uno Stato giusto nei confronti dei cittadini quanto a prelievo fiscale affinché ciascuno ottenga ciò di cui ha bisogno perché lo Stato (articolo 3 Cost.) rimuova gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza e ciascuno dia, con le tasse, secondo le capacità di reddito che ha. La riforma fiscale è la riforma delle riforme perché deve consentire ad ogni cittadino di essere degnamente tale, evitando il lavoro nero, la elusione e, peggio ancora, la evasione. Ridicolo che per far emergere il nero si sia ricorso ad una lotteria. Meglio dedicare i fondi destinati ai premi a quei redditi tuttora inferiore al livello di povertà (nonostante qualcuno abbia detto che è stata sconfitta) e utilizzare gli strumenti che lo Stato ha per controllare i redditi. È impensabile che ogni piattaforma informatica sappia tutto di ciascuno di noi e non lo Stato. Giustizia vorrebbe anche che non ci siano condoni, perché sarebbero sempre i furbi a farla franca.
Anche per le cartelle esattoriali un po’ di decenza: basterebbe far riferimento agli anni coinvolti dalla pandemia per una sanatoria a partire dal 2019 e a cancellare quelli inesigibili. Quando lo Stato non incassa diminuiscono i servizi per i più poveri. La nostra società complessa ci consente di non sfinirci solo se i servizi funzionano, da quelli alla persona a quelli infrastrutturali, che sono comunque necessari alla vita quotidiana di studio e di lavoro. Che dire perciò della burocrazia? È certamente la spina dorsale degli adempimenti attuativi dei servizi della pubblica amministrazione e perciò preziosa per la efficienza dello Stato e dovrebbe essere sentito come privilegio lavorare in quella filiera come interfaccia dello Stato verso i cittadini. Grande responsabilità!
Nel pensiero collettivo però non è avvertita come alleata ma come un ostacolo con cui confrontarsi, talvolta addirittura con rassegnazione. La riforma delle riforme riguarda questa spina dorsale. Perché non deve essere efficiente come il settore privato? Perché deve continuare ad essere un mastodonte invece di un’infrastruttura snella, senza call center che infastidisce (imbestialisce) i cittadini che si perdono- e perdono tempo- nei meandri dei rinvii, ritardi, perdita di documenti? Se lo Stato non ci conoscesse... possiede big data per eccellenza: anagrafe, codice fiscale, tessera sanitaria, pin per Inps e INAIL, agenzia delle entrate, ecc. non basta un click?! Contiamo su questo governo, sul ministro esperto di digitalizzazione e soprattutto sulla volontà politica.
Semmai riuscisse nell’impresa andrebbero a segno altre caselle importanti come quella della giustizia cui è preposto un ministro di particolare competenza, Marta Cartabia. È settore delicatissimo a giudizio di tutti. Solo per ricordare i tempi dei processi, recentemente dopo troppi anni sono stati assolti con formula piena Descalzi e Scaroni (tangente Eni), e anni addietro Orsi (tangente elicotteri). Danni di immagine ed economici. Per il mondo si sono presentati grandi manager italiani con la tara di essere inquisiti nel proprio Paese. In India abbiamo pure perso una grande commessa di elicotteri. Altro ministro competente, Enrico Giovannini, si dedicherà alle grandi infrastrutture. Speriamo di vedere una riforma degli appalti che li renda trasparenti all’origine, con norme chiare che implichino tempistica, qualità dei materiali, rispetto degli stati di avanzamento, con controlli in corso d’opera e sanzioni per ritardi anziché perizie suppletive e costi aggiuntivi. Si ricordi come e in quanto tempo, e addirittura con risparmi, in situazioni in cui non ci si poteva avvalere degli strumenti di oggi, fu completata l’autostrada del sole, Milano-Roma.
Cavour soleva ripetere che “le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano”.
Il governo Draghi ha tempo fino alla primavera del 2023. Poi non si possono ipotecare gli eventi, ma una riforma etica sarebbe dare continuità istituzionale alle scelte avviate.
Al Parlamento - non al governo - compete infine la riforma elettorale.
Gli attuali eletti hanno l’occasione di recuperare un po’ di fiducia tra gli elettori, perciò pongano mano ad una riforma che soddisfi il desiderio - ma è un diritto! - degli elettori di scegliere i propri rappresentanti. Tanto la ruota gira e questa volta è bene non fare conto sul proprio... tornaconto, perché le ultime tornate elettorali hanno segnato la sconfitta dei partiti che avevano creduto di vincere attraverso l’alchimia della legge elettorale.