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No ai populisti ma non possiamo tacere

Written by Debora Serracchiani.

Debora Serracchiani "Il Partito democratico non ha scelto di andare in letargo e, se anche qualcuno di noi nutrisse questa tentazione, non ne avrebbe il diritto. Il 19% ottenuto alle elezioni non relega il Pd ad essere silente, ne' glielo permette".
Lo afferma Debora Serracchiani in un intervento sul quotidiano La Repubblica. "Si deve cominciare seriamente ad analizzare dove abbiamo sbagliato, dove ha cominciato a consumarsi e poi si è interrotto il dialogo tra la classe dirigente del Pd e strati sempre più larghi di cittadini - spiega la presidente uscente del Friuli Venezia Giulia.
Dobbiamo fare i conti con un movimento che si è impadronito militarmente di pezzi della nostra storia, che oggi arriva a citare Pertini come modello di onestà e trasparenza mentre proclama che non c'è differenza tra destra e sinistra.
In parte glielo abbiamo permesso noi, ma non è detto che dobbiamo continuare. Sta a noi segnare il confine. E' un movimento oligarchico che vorrebbe giocare con il Pd come il gatto con il topo, usarci come sponda per raggiungere più comodamente lo scopo finale dell'accordo con la destra". "Diciamolo chiaro: non ci stiamo. E facciamogli anche capire che la disputa tra aventiniani e governisti è assurda - sottolinea Serracchiani -. Perché nessuno di noi pensa di governare con coloro che hanno venduto promesse di impossibile assistenzialismo o concepito l'Europa come il nemico da abbattere. Non accetteremo mai un governo fatto da populisti e sovranisti". "Non abbiamo sotterrato i valori che hanno portato alla nascita del Partito democratico, i nostri valori fondanti, ma dobbiamo rimetterli in primo piano, farli agire, renderli motore di proposta politica", prosegue.
Articolo pubblicato da Repubblica (file PDF)»

Il Partito Democratico non ha scelto di andare in letargo e, se anche qualcuno di noi nutrisse questa tentazione, non ne avrebbe il diritto. Il 19% ottenuto alle elezioni non relega il Pd ad essere silente, né glielo permette. Il secondo partito italiano ha il dovere di fare politica, di esprimere idee e avanzare proposte.
Abbiamo governato cinque anni, fatto leggi utili alla ripresa del Paese e fondamentali per i diritti dell’individuo. Non si cancella di punto in bianco una legislatura, non si liquida dall’oggi al domani un programma di governo.
Piuttosto si deve cominciare seriamente ad analizzare dove abbiamo sbagliato, dove ha cominciato a consumarsi e poi si è interrotto il dialogo tra la classe dirigente del Pd e strati sempre più larghi di cittadini.
C’è stato un momento in cui è sembrato che il Pd fosse la speranza di qualcosa di nuovo, che con noi rinascesse la fiducia nel futuro, e che tutto fosse possibile. Quel sogno si è infranto sugli scogli delle riforme istituzionali.
A prescindere dalla disputa sui personalismi, non abbiamo capito che in questa fase di duro passaggio gli italiani non si aspettavano da noi la creazione di un nuovo assetto tecnico delle istituzioni.
Per quanto giusti, alti e nobili potessero essere i moventi che ci spingevano, mentre si alzava la marea degli sbarchi e non calava l’incertezza del lavoro, l’impegno ad abolire il Senato non poteva essere la risposta.
La buona fede non è in discussione, ma credo sia cominciato lì uno scollamento con cui ora dobbiamo fare i conti. Dobbiamo fare i conti con un movimento che si è impadronito militarmente di pezzi della nostra storia, che oggi arriva a citare Pertini come modello di onestà e trasparenza mentre proclama che non c’è differenza tra destra e sinistra.
In parte glielo abbiamo permesso noi, ma non è detto che dobbiamo continuare. Sta a noi segnare il confine. È un movimento oligarchico che vorrebbe giocare con il Pd come il gatto con il topo, usarci come sponda per raggiungere più comodamente lo scopo finale dell’accordo con la destra.
Diciamolo chiaro: non ci stiamo. E facciamogli anche capire che la disputa tra aventiniani e governisti è assurda. Perché nessuno di noi pensa di governare con coloro che hanno venduto promesse di impossibile assistenzialismo o concepito l’Europa come il nemico da abbattere.
Non accetteremo mai un governo fatto da populisti e sovranisti. Non siamo all’anno zero. Abbiamo impostato la ripresa economica per uscire da una crisi devastante. Lanciamo una sfida sull’Impresa 4.0 a chi ha predicato la decrescita felice, a chi non ha detto una parola sul futuro industriale avanzato dell’Italia, dove ci possono essere milioni di posti di buon lavoro.
Riprendiamo in mano un ragionamento con il mondo della scuola, che ha smesso di guardarci con fiducia ma senza il quale il Paese non riparte sul serio. Rivendichiamo le misure di sostegno al reddito, quelle realistiche e sostenibili, che ha introdotto il nostro Governo e che ora aiutano centinaia di migliaia di persone.
Tracciamo una demarcazione tra chi i diritti delle persone li ha portati in Parlamento e chi invece è uscito dall’aula quando si è trattato di prendere una posizione: chiediamogli che avrebbe votato Pertini, il nostro presidente, al posto loro.
Non abbiamo sotterrato i valori che hanno portato alla nascita del Partito democratico, i nostri valori fondanti, ma dobbiamo rimetterli in primo piano, farli agire, renderli motore di proposta politica.
Altrimenti la subalternità all’astuzia e al trasformismo non è un rischio, ma una certezza. Se il Pd è stato percepito come il partito delle classi sociali garantite, bisogna cambiare rotta, certo senza rinnegare quanto di buono abbiamo fatto, ma avendo ben presente che in politica come in natura non esistono spazi vuoti: c’è sempre chi li riempie.
Ecco perché il Pd ha bisogno di un nuovo inizio, che dobbiamo cominciare a costruire subito, dal nostro interno, tenendo sempre la bussola orientata sui valori e sui contenuti.
Il primo passo sarà l’Assemblea nazionale e poi individueremo il percorso migliore per arrivare al congresso. Ci aspettano intanto appuntamenti elettorali difficili.
Se veti, correnti o ambizioni personali impedissero al Pd di rimettersi in discussione e di ascoltare e vedere con nuovi occhi la società italiana, allora sì che ci aspetterebbe una via amara, quella del declino, dell’irrilevanza e della sconfitta definitiva.